Etimologa e storia dell’eutanasia

Affrontare il tema dell’eutanasia significa addentrarsi in una questione che trova fondamento fin dagli albori della storia. Il termine eutanasia non presenta ambiguità nel suo significato etimologico che sostanzialmente è quello di “buona morte” (dal greco εUθανασία, composta da εU – bene e θανατσς morte) ovvero la pratica che consiste nel procurare la morte nel modo più indolore e rapido possibile ad una persona al fine di evitare, in caso di malattie incurabili, una lunga agonia. Ma chi parla di eutanasia oggi, a quale realtà intende fare riferimento?

Nell’antichità, salvo qualche eccezione riferibile a costumi primitivi o a pratiche empiriche nelle fasi evolutive delle civiltà, non fu legalizzato alcun diritto al suicidio o alla soppressione quasi “pietosa” degli inetti, degli incurabili, dei malformati e simili. Un avallo a tale concezione si trova anche nel Giuramento di Ippocrate (420 A.C.) in cui si legge: “non somministrerò ad alcuno, neppure se richiesto, un farmaco mortale, né suggerirò un tale consiglio”.

Dall’altra parte l’epicureismo e lo stoicismo, le principali correnti di pensiero nell’ambito della filosofia morale in epoca classica pre-cristiana, consideravano il suicidio in linea di massima come un atto eticamente accettabile e degno di rispetto, in determinati contesti, senza trattare l’eutanasia medica come tipologia specifica. Erano citati come esempi considerati ammirevoli il suicidio di Socrate e quello di Seneca. Nel Medioevo, poi, il Cristianesimo monopolizza il rapporto con la morte e soltanto nel Rinascimento Thomas More (1478-1535) torna a giustificare l’interruzione volontaria della vita venendo così considerato il primo sostenitore moderno della liceità dell’eutanasia. Nella sua “Utopia” infatti si legge: “nella migliore forma di repubblica i malati incurabili sono assistiti nel miglior modo possibile. Ma se il male non solo è inguaribile, ma dà al paziente continue sofferenze allora sacerdoti e magistrati, visto che il malato è inetto a qualsiasi compito, (…) lo esortano a morire liberandosi lui stesso da quella vita amara, ovvero consenta di sua volontà a farsene strappare dagli altri…sarebbe un atto religioso e santo”. Procedendo lungo il corso dei secoli non è raro veder inserire nella storia dell’eutanasia alcuni degli orrori commessi dal nazismo in Germania, cioè l’eliminazione sistematica di vecchi, malati di mente, bambini handicappati: la cosiddetta “eutanasia sociale”. Ma appare decisamente improprio considerare eutanasia, cioè morte indolore e dolce (oramai il significato attualmente predominante nell’opinione pubblica delle società occidentali), quella atroce procurata nelle camere a gas, o con altri sistemi motivati non da preoccupazione per il benessere dell’ammalato, come il desiderio di liberarlo dalla sofferenza ma per migliorare l’«igiene razziale» secondo l’ottica dell’ideologia nazista allora imperante.

Questa non è eutanasia ma puro sterminio. Alla fine però della seconda guerra mondiale nel mondo occidentale cresce e si sviluppa l’humus adatto a far emergere un atteggiamento di crescente favore verso forme, più o meno ampie, di eutanasia: una concezione immanentistica della realtà, con conseguente negazione di tutta la sfera religiosa e spirituale; una concezione perciò antropocentrica, con l’uomo arbitro assoluto di tutto, misura insindacabile del bene e del male. Contemporaneamente si manifesta il graduale oscurarsi dell’assolutezza del valore di ogni vita umana con la sua conseguente inviolabilità e il farsi avanti di una esigenza di “qualità della vita”, per cui la vita ha valore solo se possiede, o può recuperare, condizioni di efficienza, di produttività e di benessere; senza queste qualità, la vita diventa senza valore. Si ha dunque l’impossibilità di scoprire un senso e un valore nella sofferenza, che è vista come il vero e solo male per l’uomo, il male assoluto, per cui tutto quello che può prevenirla o eliminarla, purtroppo, è lecito.

Mauro Volpatti

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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