Le riflessioni di un giudice tutelare

 Gentile Direttore,

mi permetta di inviarLe in luogo di una relazione sull’istituto dell’amministrazione di sostegno, una breve, ma sentita, riflessione su un istituto, introdotto con la legge n.9 gennaio 2004, n.6, che è stato giustamente definito un innovativo strumento di protezione delle persone prive in tutto o in parte della capacità di provvedere autonomamente ai propri interessi.

Tale definizione va confermata, con la convinzione che deriva dall’esperienza sul campo e dopo l’esame di centinaia di casi portati alla mia attenzione.

Si potrebbero enunciare tante differenze rispetto al precedente sistema, ma non volendo annoiarLa con un elenco di articoli e di precetti normativi, tento di farLe percepire la portata di questa rivoluzione con una riflessione che inerisce il ruolo del giudice proprio nella sua relazione con la persona destinataria di questa misura.

Prima della legge 6/2004 il giudice (il tribunale in composizione collegiale) doveva solo valutare (generalmente con il supporto di una consulenza medico legale) se la persona fosse “inferma di mente”; l’audizione dell’interessato era contrassegnata da domande volte a saggiare le sue capacità cognitive, il suo orientamento spazio-temporale, il suo senso del denaro, ecc; dagli esiti di questa valutazione conseguiva, come una sorta di effetto automatico, la pronuncia dell’interdizione o dell’inabilitazione, che scendevano sulla testa della persona con un pacchetto preconfezionato di effetti tutti totalmente o parzialmente ablativi della sua capacità di agire.

Dopo la legge 6/2004 il giudice (il giudice tutelare) deve valutare non solo se vi siano infermità o menomazioni, fisiche o psichiche, che impediscano, anche solo in via parziale o temporanea, alla persona di provvedere da sola alla gestione dei propri interessi, ma deve chiedersi anche di cosa abbia bisogno, quali obiettivi intenda perseguire, se una protezione sia necessaria e come possa essere adeguata alla persona.

Lei comprende allora come l’istruttoria di questi procedimenti abbia un respiro e una finalità completamente diversa da prima: la protezione viene infatti elaborata caso per caso con un decreto del giudice tutelare che, proprio considerando ad un tempo infermità e bisogni, indica gli atti che il Beneficiario può compiere con la necessaria assistenza dell’amministratore di sostegno, oppure gli atti che l’amministratore di sostegno può compiere in nome e per conto dell’interessato, come suo rappresentante puro e semplice o come rappresentante con poteri esclusivi (ai quali soltanto corrisponde una limitazione di capacità del beneficiario);

al giudice viene imposto di valutare le esigenze della persona, i suoi bisogni e le sue aspirazioni (che non sempre l’infermità le consente di esprimere), contemperando l’utilità di una protezione/sostegno/rappresentanza con i suoi concreti interessi, sia nella gestione del suo patrimonio, sia nella cura della sua persona.

Mentre Le scrivo, mi vengono in mente le tante persone che ho conosciuto e ascoltato, nella propria casa o in ospedale, in casa di riposo o in strada, dovunque si trovassero, come prescrive la legge.

L’amministrazione di sostegno impone infatti al giudice di uscire dal proprio ufficio per entrare nella storia di una persona, storia di cui poi deve seguire gli sviluppi, modificando, quando serve, il decreto (aggiungendo o togliendo o cambiando i poteri dell’amministratore di sostegno), in un rapporto che viene mantenuto vivo finché la persona è in vita, oppure fino a quando cessa la causa dell’infermità.

Da quando alle mie funzioni di giudice civile si sono affiancate quelle di giudice tutelare, è come se si fosse allargata in un certo senso la mia famiglia, perché questo ruolo comporta di entrare in una rete di relazioni e di tesserle: con i familiari (quando ci sono) del Beneficiario, con l’amministratore di sostegno (al quale viene chiesto di presentare periodicamente una relazione dell’attività svolta e delle condizioni di vita personale e sociale del Beneficiario, non solo un mero rendiconto contabile), con gli operatori sociali e sanitari, con i responsabili dei servizi alla persona, i quali sono ora direttamente tenuti a segnalare al giudice tutelare o al pubblico ministero le situazioni in cui possa essere opportuna la nomina di un amministratore di sostegno.

Questa legge ha portato con sé vari problemi:

– non sembra ancora spenta l’eco dei nostalgici dell’interdizione e dell’inabilitazione (spesso tuttora applicate a sproposito), né sembrano definitivamente dissipati, viste le differenze che ancora si rilevano tra i tribunali (pur dopo le chiare sentenze della Corte di Cassazione), tutti i dubbi sulla linea di demarcazione tra le misure di protezione attualmente vigenti e sul ruolo e la necessità di un difensore in questo procedimento;

– questa legge ha aumentato, oltre ogni prudente valutazione, il lavoro dei giudici tutelari, rendendone radicalmente insufficienti le forze rispetto alla quantità di casi che si palesano in costante aumento, soprattutto in realtà sociali come quella in cui vivo, dove anziani, disabili e infermi costituiscono una significativa componente della popolazione.

Ma la bellezza di questo istituto sta nel far toccare con mano, ogni giorno, la portata e la possibilità di realizzare principi costituzionali come la dignità della persona, l’uguaglianza, la solidarietà sociale, e nel far sentire al giudice – tessitore di in una rete di operatori e volontari – l’intensità del proprio lavoro come servizio.

Trieste 16 agosto 2008

Gloria Carlesso
Giudice civile e tutelare

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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