Il timore di una nuova Chernobyl

Falso allarme a giugno per la centrale slovena, vicinissima al confine italiano. Ma cosa potrebbe accadere in caso di incidente nucleare?

Fortuna che a Krsko il 4 giugno scorso si è trattato solo di un falso allarme. Una fuoriuscita d’acqua dall’impianto di raffreddamento all’interno del reattore che non ha causato alcuna fuga radioattiva nell’ambiente. L’emergenza è rientrata immediatamente: grazie alla tempestività della procedura di spegnimento, l’impianto è tornato in condizioni di sicurezza nell’arco di poche ore. Nessun rischio per la popolazione, insomma. Ma l’episodio ha riacceso il timore di una nuova Chernobyl, prossima ai confini croato, ungherese e austriaco. Avevo preso in considerazione un’ipotesi di questo tipo circa vent’anni fa quando, allora giovane studente in medicina, a tre anni dal disastro avvenuto in Unione Sovietica, realizzai uno studio dal titolo: “Krsko: radiazioni nucleari e protezione civile a Trieste”. Supponevo che a Krsko venisse a crearsi l’incidente più grave che possa accadere in un reattore ad acqua, la perdita totale del liquido usato per raffreddare il nocciolo di uranio.

In questa disgraziata eventualità, il nocciolo di uranio si surriscalderebbe, il materiale fuso entrerebbe in contatto con l’acqua delle turbine trasformandola in vapore. Questo causerebbe lo scoperchiamento del recipiente di contenimento con conseguente fuoriuscita del materiale radioattivo. Supponevo ancora che, a causa di questa esplosione, nell’aria venissero emessi un terzo di tutti i nuclei radioattivi presenti nel reattore. Secondo vecchi studi di oltre 30 anni fa, in un incidente di questo tipo la radioattività del materiale fuoriuscito ammonterebbe a circa un miliardo e mezzo di Curie e la nube radioattiva, con un vento di 24 km/h, presenterebbe un’estensione di contaminazione pesante del raggio di 68 km dalla centrale di Krsko.

A questo punto, da parte nostra è possibile stimare diversi livelli di contaminazione radioattiva che si avrebbero su Trieste, sul Friuli e sulle zone confinanti. Con un debole vento di 6 km/h proveniente da est l’Italia non verrebbe raggiunta dal Fall out* proveniente da Krsko, a parte una debole radioattività temporanea che si definisce Fall out bianco (0,05 RAD** all’ora). Ma già con un vento costante di 15 km/h, la contaminazione radioattiva andrebbe da Trieste a Tarvisio, fin quasi a Tolmezzo, investendo in circa 8-10 ore una buona metà del Friuli, compresa Udine, e presentando un livello di contaminazione che si definisce Fall out giallo (0,5 RAD/h), visti i soli 130 km in linea d’aria che Krsko dista dalla frontiera italiana. Nei quattro giorni successivi, la dose di radiazioni complessivamente assorbiti da ogni abitante andrebbe da 10 a 50 RAD, di cui circa la metà nel primo giorno. Con un vento costante di 50 km/h, sempre proveniente da est, la contaminazione radioattiva andrebbe di nuovo da Trieste a Tarvisio, escludendo questa volta Tolmezzo, ma investendo in circa 4 ore una buona metà del Friuli, compresa Udine e presentando un livello di contaminazione che si definisce Fall out arancione (1RAD/h). In quest’area, nei quattro giorni successivi l’incidente, la dose di radiazioni complessivamente assorbiti da ogni abitante andrebbe da 20 a 100 RAD, di cui circa la metà nel primo giorno.

L’area di contaminazione che definiamo gialla arriverebbe invece fino a Bologna, anche qui con dosi di radiazioni accumulate per ciascun abitante da 10 a 50 RAD, di cui circa la metà nel primo giorno. Con un vento costante di 100 km/h, sempre proveniente da est, la zona di Fall out arancione arriverebbe fino a Pordenone, Treviso e Venezia, mentre la zona di Fall out giallo si estenderebbe ad aree ancora più vaste dell’Emilia Romagna e del Trentino-Alto Adige (Figura C). Nella parte meridionale dell’Austria (Klagenfurt, Graz), con venti provenienti da sud e superiori ai 70 km/h, predominerebbe la contaminazione da Fall out rosso, vale a dire con dosi di radiazioni assorbite dalla popolazione, nei primi quattro giorni, variabili da 100 a 500 RAD.

In Slovenia e in Croazia si assisterebbe invece alle pesantissime contaminazioni da Fall out nero e da Fall out grigio. Il primo determinerebbe dosi di contaminazione per abitante variabili da 1.000 a 5.000 RAD nei primi quattro giorni, di cui circa la metà nel primo giorno; il Fall out grigio determinerebbe invece livelli di radioattività più bassa, comunque letali, con dosaggi variabili fra 200 e 1.000, sempre nei primi quattro giorni. Le implicazioni sul piano medico sarebbero pesantissime. Radiazioni da 500 RAD assorbite in pochi giorni determinerebbero infatti la morte da midollo osseo dovuta alla distruzione dei globuli bianchi e delle piastrine entro un mese circa in metà della popolazione. A 200 RAD morirebbero solo un decimo degli esposti, ma tutti i sopravvissuti non potrebbero più concepire figli (sterilità permanente). Per i sopravvissuti resterebbero poi la possibilità di ammalarsi di cancro e di leucemia negli anni successivi, di aborti spontanei e di nascite di bimbi malformati.

Dott. Giuseppe Nacci
Medico Chirurgo, Specialista in Medicina Nucleare

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

Rispondi