Per una città (che) si-cura

Ha senso discutere di sicurezza solo se questa è intesa come percezione, sentimento, condivisi da tutti senza distinzioni. Essa è costituita da diversi aspetti: la sicurezza urbana, intesa anche come cura dei luoghi e della buona prassi amministrativa, e la sicurezza sociale, intesa come cura delle relazioni.

L’immigrazione è un fenomeno sociale complesso che investe sia le strutture del paese d’accoglienza, sia la storia del singolo individuo genera sofferenze psicologiche e problemi di adattamento che difficilmente vengono trattati nel dibattito pubblico. Infatti attualmente risulta dominante un’impostazione della questione dell’immigrazione di tipo criminologico, dovuta a come i mass media trattano il tema, – ma anche le università – che accompagnano le notizie e le ricerche sull’immigrazione associandole spesso a degrado, emarginazione, etc. è assai probabile che il quadro che ne possa emergere non faccia altro che avvalorare il binomio emigrazione-(in)sicurezza. La sicurezza diviene così un termine che sempre più nel dibattito pubblico viene accostato al fenomeno dell’immigrazione. Sembra scontato che ogni qualvolta si affronti l’uno si finisca per evocare l’altro. La costruzione sociale dell’immigrato come portatore di insicurezza avviene attraverso i mass media con la spettacolarizzazione di eventi di cronaca nera e alimentando un immaginario dello straniero che invade gli spazi pubblici e li utilizza in modo improprio. L’insicurezza che gli immigrati sono accusati di generare sembra in ultima analisi legata indissolubilmente alla loro visibilità pubblica. Si tratta per lo più di giovani adulti, di volta in volta polacchi, albanesi, marocchini, rumeni ecc… che in pieno giorno se sono sfaccendati, o alla fine della giornata lavorativa se hanno lavorato, affollano piazze, parchi, argini dei fiumi ecc… per trasformarli in luoghi di ritrovo, di svago, di passaggio e perché no anche di riposo. è in questo modo che nell’immaginario collettivo l’immigrato negli ultimi 15 anni ha sostituito tutti quei “capri espiatori” prima rappresentati da tossicodipendenti, emarginati e delinquenti nostrani, ecc… Sono cambiati i soggetti del quadro, ma non le modalità del dipingere la realtà sociale nelle sue svariate forme di esclusione ed emarginazione. In questo contesto:

– per i cittadini è assai difficile maturare livelli di consapevolezza che permettano di avere una visione complessiva del fenomeno immigrazione. Infatti risulta complesso riconoscere senza pregiudizi l’alterità, gli eventuali cambiamenti in corso in termini di inserimento e di integrazione, e quindi sostenere tali processi;

– sono aumentati gli interventi pubblici, spesso si sommano l’uno all’altro, a volte senza produrre trasformazioni sostanziali nel “quadro” e quindi senza determinare un cambiamento nelle “cornici” con cui osservare i vari fenomeni sociali, più che i quadri. La sicurezza viene così identificata con la necessità di maggiore controllo e repressione. Sembra inevitabile che la maggior sicurezza di alcuni (italiani) si trasformi in insicurezza di altri (stranieri). Tuttavia ha senso discutere di sicurezza solo se questa è intesa come percezione, sentimento, condivisi da tutti senza distinzioni. Essa è costituita da diversi aspetti: la sicurezza urbana, intesa anche come cura dei luoghi e della buona prassi amministrativa, e la sicurezza sociale, intesa come cura delle relazioni. Sono due facce della stessa medaglia. Una lente mediativa, ossia incentrata sulla lettura dei conflitti, permette in primis di riconoscere e mappare l’entità, il peso della presenza di questi, poi di analizzare le modalità secondo cui questi vengono percepiti e gestiti dai diversi attori territoriali che, in maniera diretta o indiretta, divengono anch’essi descrittori della realtà immigratoria. In questa ottica il Progetto “Mediazione Sociale” (nato nel luglio 99 e attualmente operativo in 11 contesti territoriali di 9 Municipi romani), occupandosi della “rimessa in comunicazione” tra cittadini (italiani e di diversa nazionalità), servizi e istituzioni, lavora insieme a questi con l’obiettivo di generare un approccio condiviso “per una città (che) si-cura”. Anche nei contesti multiculturali (Esquilino e Largo Sperlonga, rispettivamente I e XX Municipio) il territorio diviene il primo elemento mediativo su cui incentrare – dopo l’analisi e restituzione ai cittadini delle interviste in profondità ai testimoni privilegiati sui fattori di rischio presenti in esso- la prevalenza delle azioni in grado di rafforzare le risorse e tutti quei fattori protettivi che permettono di diminuire sensibilmente la percezione dell’insicurezza urbana. Quest’ultima quando viene indagata ascoltando “attivamente” anche i cittadini delle diverse nazionalità che abitano o lavorano in uno specifico territorio, non si discosta troppo da quella che emerge analizzando solo i cittadini italiani. La domanda di sicurezza, prevalentemente di carattere sociale, è ovviamente maggiore tra gli immigrati, soprattutto tra coloro che vivono ai margini e nella più assoluta precarietà, da cui è assai difficile uscire, così come è arduo fuggire agli schemi mediatici in cui l’attuale condizione li relega. Quando invece questi si trovano nello stato di poter usufruire, oltre che di una condizione alloggiativa, seppur modesta, anche di un lavoro più o meno regolare, le problematiche e le criticità territoriali che emergono non sono dissimili da quelle degli italiani. Le paure, le ansie e preoccupazioni rispetto alle violenze, ai furti, alla sopraffazione, al degrado o agli atti di vandalismo sono vissute e percepite da tutti. Lavorare in maniera condivisa sui fattori protettivi significa, quindi, lavorare sull’ascolto attivo, sull’accoglienza e sulla partecipazione. In questa ottica i soggetti del cambiamento sono i cittadini stessi che riscoprono la competenza e la voglia di fare. Un forte tessuto associativo permette di far crescere la partecipazione; la sicurezza diventa non un problema da affrontare ma una risorsa da costruire insieme: il risultato della cura di sé e del territorio. Questo processo virtuoso permette di dare cittadinanza a partire dalle esigenze e dai bisogni di molti. La domanda di sicurezza sociale intesa come la presenza di “servizi sociali universali” è un desiderio di tutti i cittadini, ma è maggiore tra gli immigrati. Per esempio, l’istituzione scolastica che permette ai bambini, italiani e non, di accedere ad un’istruzione gratuita e pubblica e offre ai padri e le madri, di tutte le nazionalità, la possibilità di imparare la lingua italiana, rappresenta un fattore di protezione sociale che aumenta il livello di sicurezza di un territorio. L’esigenza di spazi urbani vivibili è una richiesta costante da parte dei cittadini di tutte le nazionalità. Assume maggiore significato per gli immigrati poiché a molti di questi luoghi viene dato un forte significato simbolico di incontro e di socialità. La progettazione partecipata per riqualificare una piazza, il sostegno organizzativo a momenti di festa e/o ricorrenze locali, la costruzione di iniziative comuni per la pulizia di spazi urbani, sono processi che permettono di prendersi cura dei luoghi e delle relazioni poiché in “una città (che) si-cura” non si abitano i luoghi ma le relazioni.

Leonardo Carocci
responsabile progetto mediazione sociale – comune di roma
Mohamed A. Tailmoun
progetto mediazione sociale

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

Rispondi