All’origine di indebolimento cognitivo e demotivazione

Lo segnala con urgenza il nuovo libro di Claudio Risé “Cannabis. Come perdere la testa e a volte la vita” (San Paolo ed., 2007) nel capitolo: “Alla guida: il controllo è tutto”.
La cannabis rende difficile studiare e portare a termine la propria formazione scolastica. In Europa ormai molti governi se ne stanno accorgendo e avviano campagne mediatiche e nelle scuole contro il dilagare dell’uso di questa droga. In Italia ancora si attendono risposte, mentre negli ultimi 5 anni il consumo di cannabis tra gli studenti (e in particolare le studentesse) ha continuato a salire. Ne parla il nuovo libro di Claudio Risé “Cannabis. Come perdere la testa e a volte la vita” (San Paolo Ed., 2007, www.claudio-rise.it ) di cui proponiamo un estratto.
La cannabis è la droga più diffusa fra i giovani, soprattutto delle scuole superiori, che affermano di poterla reperire con grande facilità proprio tra aule e corridoi. Dal 2001 al 2005 i consumatori di cannabis in Italia sono raddoppiati passando dal 6,2 all’11,9%. Nel 2005 almeno 75.000 giovani in età scolastica ne hanno fatto uso quotidiano, mentre 145 mila studenti hanno fatto uso combinato di più sostanze, in cui nel 98% dei casi le principali sono state marijuana e hashish. Quando c’è “fumo” in giro, magari durante la ricreazione o le pause del pranzo prima delle attività pomeridiane, ogni sforzo dei docenti per creare un clima di classe sereno e favorevole ai processi di apprendimento e studio rischia di essere vanificato. Per questo motivo è necessaria un’informazione chiara, destinata agli insegnanti, ai ragazzi e alle famiglie, sugli effetti della cannabis. Il principio attivo della cannabis colpisce diverse parti del cervello, provocando sintomi che possono durare per ore. Agisce sulla corteccia prefrontale, che presiede ai meccanismi di ragionamento e capacità di giudizio e decisione, determinando atteggiamenti provocatori o devianti. Agisce sulla corteccia cerebrale che regola i meccanismi del linguaggio, dell’udito e della vista (nonché della comprensione di ciò che si vede o si sente). Agisce sull’amigdala e l’ippocampo, da cui dipendono il controllo delle emozioni e gli stimoli all’apprendimento, provocando incapacità di attenzione e soprattutto assenza di motivazione e indifferenza. Agisce poi sull’ipotalamo che regola i meccanismi del sonno e della veglia, e l’equilibrio nel livello di alcuni ormoni provocando sbalzi tra momenti di grande eccitazione e di sonnolenza. Infine, agisce sul cervelletto che nel corpo dell’essere umano garantisce una buona postura, il corretto svolgersi del movimento, le abilità di manualità fine e l’equilibrio, provocando anche difficoltà a scrivere, usare una gomma o girare una pagina.La prima cosa che gli insegnanti devono sapere, quindi, è che “la cannabis non è un prodotto banale, ma comporta alterazioni cerebrali e influenza il comportamento”. Essa provoca negli studenti che ne fanno uso, magari nei bagni della scuola per poi rientrare in classe, una trasformazione delle percezioni, la perdita di controllo di sé, comportamenti compulsivi irresistibili con rimozione di qualsiasi inibizione; e ancora: grande euforia, stati di confusione mentale, fino a sonno ed apatia, o ritiro in una vera letargia.

Secondo altre ricerche poi, giovani sofferenti di dipendenza da questa sostanza, contraggono debiti per acquistarla ricorrendo poi a comportamenti devianti o violenti, come il bullismo,per recuperare il denaro. In una situazione scolastica in cui, come abbiamo visto dalle statistiche, il consumo di cannabis è sempre più diffuso, può risultare molto difficile stabilire una relazione educativa, didattica, ma anche personale, con i ragazzi che presentano questa abitudine e i sintomatici problemi comportamentali connessi, che spesso danneggiano, disturbano e sfavoriscono il successo scolastico di un’intera classe. Altrettanto frequentemente, poi, le principali vittime sono proprio questi ragazzi “difficili” che rischiano di essere abbandonati a se stessi (magari con l’invito a uscire dall’aula) da una scuola che ancora non vuole e non sa affrontare questi temi specifici, e dai compagni o dagli amici che preferiscono evitare la loro compagnia. Isolandoli, e abbandonandoli a percorsi e compagnie più pericolose. A scuola, inoltre, l’allievo è (o dovrebbe essere) impegnato nel comprendere e acquisire un oggetto culturale, o conoscenze e abilità, nell’imparare a usare strumenti, nel diventare capace di utilizzare tutte queste competenze per conoscere il mondo ed entrare in una relazione costruttiva con esso. Gli insegnanti fanno spesso il loro meglio, con la metodologia e gli strumenti a loro disposizione, per rendere questi oggetti adatti ad essere compresi e utilizzati dagli allievi, ma cosa succede quando un ragazzo ha appena fumato cannabinoidi, o quando addirittura ne è un consumatore regolare? I gravi effetti disturbanti della cannabis sul sistema cognitivo sono confermati ormai da numerosi studi, anche se i ricercatori nell’ambito delle neuroscienze ritengono ci sia ancora molto da mettere in evidenza, sopratutto per quanto riguarda il cervello di preadolescenti e adolescenti, in fase di sviluppo e perciò particolarmente sensibile e vulnerabile. L’effetto tossico sulla corteccia prefrontale disattiva le capacità di ragionamento complesso e le abilità nel prendere decisioni anche operative. La disabilitazione provocata sulla corteccia cerebrale influenza negativamente l’elasticità e la flessibilità del pensiero, le capacità di comprensione ed espressione verbale, il ragionamento finalizzato al risolvere problemi. L’effetto su amigdala e ippocampo poi, a causa dell’alto numero qui presente di neurorecettori sensibili al principio attivo dei cannabinoidi, è particolarmente intenso: da questi organi dipende il modo in cui nel cervello le informazioni si trasformano in pensieri o sentimenti, e i sintomi sono l’incapacità di mantenere l’attenzione, i disturbi della memoria a breve termine, l’impossibilità di formulare correttamente le idee. Compare poi la sonnolenza causata dall’azione del principio attivo sull’ipotalamo. In una situazione così è difficile proporre la lettura di brani, lo svolgimento di esercizi di matematica, l’acquisizione mnemonica di concetti e formule, l’applicazione concentrata sui compiti più semplici.

Va considerato poi che i disturbi provocati sulla vista e sull’udito, sulla prontezza dei riflessi e sulla capacità di reagire in modo rapido agli stimoli esterni, sulla capacità di camminare o mantenere il corpo in equilibrio con una postura adeguata, e sull’abilità di eseguire operazioni con le mani, rendono difficile anche formare i giovani nell’ambito dell’istruzione professionale. Se può diventare molto complicato portare un servizio da tavola con un vassoio, ben più pericoloso (per sé e per gli altri) risulta maneggiare coltelli in un laboratorio di cucina, esercitarsi su un tornio o una fresatrice, addestrarsi realizzando un impianto elettrico. L’uso dei cannabinoidi però, ed è necessario che i ragazzi ne siano informati, non produce solo effetti che durano per qualche ora dopo l’assunzione di questa droga. L’azione neurotossica, soprattutto quando subita prima dei 15 anni, e/o con l’uso regolare, determina un definitivo danneggiamento del cervello che si sconta poi per tutta l’esistenza. Innanzitutto la disabilità riguarda la perdita della capacità di memorizzare informazioni ed eventi: il danno provocato dalla marijuana è dovuto al fatto che il THC altera il normale funzionamento dell’ippocampo nell’elaborare informazioni. Normalmente, durante l’invecchiamento le persone perdono cellule neuronali nell’ippocampo, ma alcuni studi realizzati su cavie hanno dimostrato che l’esposizione cronica a THC accelera la perdita di questi neuroni, anche in pochi mesi di consumo. Le cavie, esposte a THC ogni giorno per 8 mesi, esaminate a 11 o 12 mesi hanno mostrato una perdita di cellule nervose equivalente ad animali con il doppio della loro età. Come dire che una persona che ha fatto uso regolare di marijuana, a 40 anni rischia di avere questa area del cervello come quella di una persona di 80. È proprio del dicembre 2006 l’ulteriore conferma, data da Nature,del danno inesorabile provocato dal THC sui neuroni dell’ippocampo, con conseguenze croniche nella capacità di immagazzinare e rielaborare, riprendendole, le informazioni. Diverse ricerche, poi, hanno mostrato che altri danni su alcune aree cerebrali possono essere definitivi, tanto che il deficit nella attenzione, nella capacità di focalizzare un problema e risolverlo può essere permanente. Di ulteriore gravità, e le ricerche svolte riguardano soprattutto gli adolescenti, è lo stato di demotivazione (amotivational syndrome) e incapacità di perseverare nei propri scopi in cui possono cadere i consumatori di cannabis: “il consumatore abituale può cadere in quello stato che gli studiosi americani definiscono ‘avolitional’, letteralmente ‘avolitivo’. È una situazione grave della volontà e della affettività, un appiattimento assoluto della persona”. Sono infatti gli studiosi che si occupano di demotivazione a sottolineare spesso che “aumentano gli studenti che dimostrano un marcato disinteresse per i processi di insegnamento-apprendimento, sono sempre più numerosi i ragazzi apatici, con poca voglia di fare, fisicamente presenti in classe, ma mentalmente assenti. Spesso questi allievi demotivati mettono in luce una serie di problematiche personali: depressione, isolamento, incapacità di socializzare; oppure: aggressività, disadattamento, delinquenza. […] Non bisogna stupirsi di ciò, sappiamo come il mondo della droga sappia facilmente avvicinare i giovani”.

http://www.claudio-rise.it/cannabis/opuscoli.htm

Claudio Risè
Docente di Psicologia dell’Educazione alla Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università di Milano Bicocca, Corso di laurea specialistica in Scienze Infermieristiche. Membro del Comitato Scientifico di Fondazione Liberal.

Antonello Vanni
Scrittore e docente universitario di bioetica
www.antonello-vanni.it

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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