Dal 29 giugno ’99 non so più niente di Francesco

Io sono un papà che non ha nessuna idea di dove possa essere finito il proprio figlio. Non ho nessuna certezza riguardo alla sua stessa esistenza in vita. Continuo tuttavia a lottare, utilizzando i pochi mezzi giuridici che questo Stato mi mette a disposizione, nella speranza che egli possa essere comunque ancora vivo

Sono Pierluigi Bruno, il papà di Francesco.
Mio figlio è stato rapito il 29 giugno 1999.
Esattamente dalle ore 14.00 del 29 giugno 1999 io non ho più avuto sue notizie. Sono trascorsi ormai otto anni.
è come se qualcuno lo avesse spinto in un buco nero; è come se la terra si fosse aperta… lo avesse inghiottito… e si fosse richiusa. Sono un papà, uno dei pochi viste le statistiche, a cui è stato affidato il figlio. La mia ex moglie, che lo ha portato via, è stata dichiarata – nei diversi gradi di giudizio – decaduta dalla potestà genitoriale. Io sono un papà che non ha nessuna idea di dove possa essere finito il proprio figlio. Non ho nessuna certezza riguardo alla sua stessa esistenza in vita. Continuo tuttavia a lottare nella speranza che Francesco possa essere comunque ancora vivo. Lotto, utilizzando i pochi mezzi giuridici che questo Stato mi mette a disposizione. Non mi piace apparire. Non mi piace spettacolarizzare il mio dramma. Non mi piace portare il mio dolore (che è privatissimo) sul proscenio televisivo. Tra i tanti delitti commessi nei confronti dei minori, il rapimento è uno dei più gravi e dei più ignobili.

Nel mio caso la mamma di Francesco, novella Medea, non ha esitato ad uccidere contemporaneamente il figlio nel padre ed il padre nel figlio. Io ho un figlio ma non sono un genitore, nel senso che non ho mai potuto compiutamente esercitare la funzione genitoriale.
Il caso di mio figlio ha ripercorso i canoni classici dei sequestri di persona. Con annesso invio di un video del rapito. La videoregistrazione del messaggio di un bambino (che non so neanche se è mio figlio) fatto recapitare un paio di anni fa, fornisce la prova della profondità e della distruttività della azione manipolatoria a cui mio figlio è stato drammaticamente sottoposto dalla madre, dalla nonna materna e dai soggetti (allo stato ignoti) che lo circondano. Non c’è dubbio che, per questa mamma, il mondo rigidamente scisso in amici e nemici, è popolato da bugiardi, inaffidabili e cattivi, ed è minaccioso per la diade madre-figlio. Per questo nel caso di specie il possesso del bambino e la iperprotezione sono irrinunciabili.
Ed è proprio questa irrinunciabilità (che è tra l’altro lo stesso contenitore della sua angoscia di separazione) il principale fattore di rischio per l’incolumità di Francesco. La tecnica seguita da questi soggetti è ormai consolidata: hanno la necessità di guadagnare tempo. Creare confusione. Indurre all’esitazione ed all’inazione le Istituzioni competenti.
Ma è proprio l’inazione o l’esitazione delle Istituzioni a rendere ancora più alto il rischio per l’incolumità di Francesco (e di tutti i bambini costretti loro malgrado a vivere in queste condizioni). Infatti è proprio dall’inazione degli organismi preposti alla tutela dei minori in pericolo e dall’assenza di limiti di realtà che tutti dovremmo urgentemente dare a queste persone, che viene pericolosamente prolungato il rischio collegato all’escalation di questi comportamenti criminali.

Se il fenomeno noi lo analizziamo solo sotto l’aspetto psicologico e sociologico le risposte che arriveranno non potranno che essere parziali ed insufficienti. Ed è proprio per evitare di dare risposte incomplete, che il mio intervento è quasi tutto impostato sugli aspetti giuridici del fenomeno. A mio avviso, infatti, è proprio il piano giuridico che deve sorreggere i papà, le mamme, o comunque i genitori che si trovano a vivere drammi di questo tipo. Oggi, rapire un bambino è un atto criminale di serie “C” è un reato tra i meno perseguiti e comunque tra i meno puniti. A parte l’emotività mediatica che suscitano i casi che assurgono all’onore della cronaca, il resto è avvolto nel silenzio. Questo è un Paese strano, un Paese di guano: sparisce un bambino……. gli organi di informazione si scatenano (spesso strumentalmente e quasi sempre con scarsa professionalità) per qualche giorno………. si registrano poche settimane di mobilitazione e poi…………….e poi cala naturalmente il silenzio. Delle tante (troppe) parole spese (quasi tutte ipocrite e false) non rimane nulla, avanti con la nuova notizia. Avanti con un nuovo caso Cogne.

L’unica trasmissione che in questi anni ha seguito (e sta continuando a seguire) con professionalità questi casi è “Chi l’ha Visto”. Anzi è necessario evidenziare come la trasmissione “Chi l’ha Visto” (senza mai lasciar cadere l’attenzione e soprattutto senza mai strumentalizzare i drammi sottostanti), di fatto si è sostituita allo Stato nello svolgimento di compiti e ruoli che – in altri paesi civili – di solito sono svolti dagli stessi organismi statuali.
Vorrei fare una domanda: chi le ferma queste persone? Sono persone malate. Dobbiamo avere il coraggio di denunciare che queste sono persone malate, che sono affette da gravi disturbi di personalità e vanno fermate. Qualcuno le deve fermare. E’ lo Stato che dovrebbe (prima che sia troppo tardi) intervenire. Intervenire non tanto per tutelare gli adulti (io porto le mie ferite, vado avanti, in qualche modo vado avanti) ma per tutelare i bambini. Ripeto per tutelare i bambini. Queste persone, proprio perché malate, mostrano un sostanziale disprezzo per la legge, per le regole. Le regole se le fanno da soli. Per queste persone la legge non esiste. E questo perché hanno anche chiara la consapevolezza di una sostanziale assenza dello Stato.
Queste persone progressivamente cosificano il bambino; il bambino diventa un oggetto, una cosa da poter e dover manipolare, il bambino come essere umano viene azzerato, viene annullato. Continua a sopravvivere solo come appendice dell’adulto malato. Il bambino diventa psicofarmaco dell’adulto malato.

Giuridicamente un bambino è una persona incapace, nel senso che acquisisce capacità giuridica solo con la maggiore età. Per capire l’assoluta illogicità di questa qualificazione giuridica, basta ricordare che la sottrazione di persona incapace, o comunque la sottrazione di minore è un reato a querela di parte. Ciò significa che se un genitore decide di non presentare denuncia, il minore resta di fatto abbandonato al proprio destino. Di fatto può essere massacrato, può essere devastato nella propria sfera fisica e psicologica senza che questo produca nessun tipo di tutela ed intervento d’ufficio. La sottrazione di minore nel nostro ordinamento non è un reato contro la persona perché il bene giuridico tutelato non è quello riconducibile al bambino, ma è quello dell’esercente la potestà genitoriale. Anche per le istituzioni statali, quindi, il bambino è una cosa, non è una persona, non è un portatore di diritti. E questo trova conferma nella stessa terminologia giuridica utilizzata in Italia. Si usa il termine “sottrazione”. Si usa il termine “sottrarre”. Ma se ci pensiamo bene si sottrae una penna, si sottrae un oggetto, si sottrae un bene inanimato. Non si sottrae un bambino. Non si sottrae un essere umano. Un bambino si rapisce. Un essere umano si rapisce. Non si sottrae. Ecco dimostrato che è la stessa legge italiana, le stesse istituzioni statuali, che danno vita ad un sostanziale processo di cosificazione dei bambini e degli esseri umani in genere. Ecco, quindi, provata la saldatura tra questi soggetti che disprezzano le leggi e le regole e che pongono in essere la cosificazione del minore, e l’organizzazione statuale che considera il minore una cosa, un oggetto che può ben essere abbandonato (come mio figlio) al proprio destino. Ecco perché, in tutti i casi di sottrazione di minore, deve essere necessariamente contestato il sequestro di persona.

Il sequestro di persona è un reato che ha punibilità d’ufficio, nel senso che non c’è la necessità di una querela di parte per attivare la magistratura. La magistratura, con questa qualificazione giuridica, è tenuta ad attivarsi d’ufficio non appena viene a conoscenza del fatto criminoso. In questo caso la vita di un minore (o di un infermo) non è lasciata nelle mani del genitore (o del curatore) che ha subito la sottrazione, ma nelle mani più sicure di un potere dello Stato che procede d’ufficio. Questo non è un problema che può essere affrontato privatamente. Non è un problema che può essere risolto su un piano personale. Il singolo genitore o entrambi i genitori che si trovano a fronteggiare simili drammi non hanno strumenti per risolvere i propri casi. Questo è un fenomeno (quello legato alla scomparsa dei bambini) che ormai si sta allargando a macchia d’olio. Qualunque Stato democratico, qualunque Stato civile di fronte ad un fenomeno di tale portata risponderebbe (così come hanno fatto altri Paesi) mettendo in campo strumenti adeguati.

E allora due proposte concrete.
Prima proposta: è necessario adeguare il quadro normativo.
Non è più accettabile che la sottrazione di minore – che addirittura nell’ambito giuridico, quasi per paradosso, risulta essere un reato di natura speciale rispetto al sequestro di persona – venga punito con una pena da uno a tre anni.
Non è più accettabile:
• utilizzare il termine “sottrazione”;
• che la sottrazione di minore non sia considerato un reato contro la persona;
• che la sottrazione non consenta l’adozione di misure cautelari personali;
• che la sottrazione di minore non possa prevedere né il fermo di polizia né le intercettazioni telefoniche ed ambientali;
• che la sottrazione di minore non possa prevedere nessuno strumento efficace per poter ritrovare le persone scomparse;

Se si facesse un sondaggio, non solo tra i “normali” cittadini italiani, ma anche tra i parlamentari di questo ignobile paese (il cui grado di ignoranza su materie come queste è molto alto) e più in particolare se si facesse la domanda: “secondo lei se sparisce un bambino, se un bambino viene sottratto, è possibile fare intercettazioni telefoniche?”
Io sono convinto che il 99% dei cittadini italiani e soprattutto il 99% dei parlamentari risponderebbe che è possibile. La gente ignora. I parlamentari ignorano.
Seconda proposta: è necessario costituire una unità di crisi centralizzata. Una unità di crisi che dovrebbe in qualche modo prevedere il coinvolgimento dei Ministeri degli Interni, degli Esteri, e della Giustizia. Questa unità di crisi dovrebbe utilizzare e coinvolgere investigatori specializzati, psicologi, uomini dell’intelligence, rappresentanti delle associazioni. è necessario costituire una equipe di esperti che possa affrontare con maggiore efficacia – sia sotto l’aspetto investigativo che sotto l’aspetto giuridico – questo gravissimo fenomeno. Questo perchè è importante? Perchè oggi il caso legato a mio figlio è trattato (male) dalla Procura di Roma; il caso di un bambino sottratto a Caltanisetta è seguito dalla Procura di Caltanisetta e così via. Questo produce dispersione ed inefficienza. Occorre costruire una rete. Occorre fare sistema. E’necessario mettere a confronto le esperienze investigative, bisogna ottimizzare le esperienze investigative. Tutte le esperienze devono trovare una forma di sintesi che non può che essere un’unica unità di crisi coordinata dal Ministro degli Interni. E’ purtroppo in questo contesto che devo misurare la mia speranza di ritrovare Francesco.
Non voglio coinvolgervi nel mio pessimismo, ma personalmente io non ho più la speranza di ritrovarlo. O meglio non ho più la speranza che siano gli organi dello Stato italiano a ritrovarlo.
Non credo più a quella norma generale dell’ordinamento che impedisce che un delitto (e quale delitto) venga portato a conseguenze ulteriori. Questa norma, infatti, prima ancora che dai delinquenti viene violata dagli stessi organismi dello Stato italiano. Io vi ringrazio.

Pierluigi Bruno
Papà di Francesco

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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