La guerra delle pillole

Antidepressivi e ansiolitici sono largamente utilizzati nei minori ma oggi si assiste ad una vera e propria battaglia tra resistenza e resa a questa prassi. Da un lato, in Italia, si è costituito un gruppo di oppositori ad ogni intervento farmacologico, dall’altro esistono associazioni che appoggiano l’uso di psicofarmaci

Psicofarmaci e bambini: ecco un binomio esplosivo, fonte di innumerevoli polemiche e discussioni.
Le posizioni epistemologiche sono state storicamente tre: l’indifferenza (il problema non esiste e non si pone), la resistenza (i bambini non soffrono di patologie psichiatriche e non debbono prendere nessun farmaco), la resa (prescrizione indiscriminata di psicofarmaci nei bambinI). Oggi assistiamo ad una battaglia fra resistenza e resa: da un lato in Italia si è costituito un gruppo eterogeneo di strenui oppositori ad ogni intervento farmacologico, dall’altro si è costituito un vasto movimento di associazioni che hanno lottato altrettanto strenuamente per l’uso di alcuni psicofarmaci (in modo particolare del Ritalin nel disturbo da iperattività e deficit dell’attenzione).
Due fatti emblematici: il primo è legato alle numerose polemiche scoppiate in Italia quando negli Stati Uniti è stato autorizzato l’uso nei bambini di un famoso antidepressivo, il Prozac. Si è scoperto che gli antidepressivi e gli ansiolitici sono largamente utilizzati nei bambini e negli adolescenti. Il secondo fatto è relativo al costituirsi di una associazione di genitori di bambini affetti da ADHD (sindrome da deficit dell’attenzione e iperattività), che sulla base di alcune evidenze scientifiche chiedevano l’autorizzazione all’immissione in commercio in Italia di un controverso farmaco, il Ritalin. Questi eventi hanno alimentato un dibattito ampiamente ripreso ed amplificato dai media. Questa situazione ha però determinato la necessità di un incontro tra neuropsichiatri infantili, psichiatri dell’età adulta e pediatri, incontro che è espressione di una nuova presa di coscienza, del tentativo di colmare di un grave ritardo culturale e, infine, anche di una sfida per il futuro. La presa di coscienza consiste nel prendere atto che ogni soluzione di continuità tra la conoscenza dei processi psicopatologici dell’età evolutiva e dell’età adulta ha costituito un grave ostacolo sia sul piano delle impostazioni teoriche, che nella prassi terapeutica. In altri termini tutti gli operatori della salute mentale sono chiamati innanzitutto a guardare all’infanzia ed alla adolescenza. Questa presa di coscienza sta determinando la necessità di colmare alcuni ritardi culturali.

La psichiatria dell’età adulta, per esempio, ha ignorato per molto tempo che la comprensione dei disturbi psichiatrici è correlata alla conoscenza dello sviluppo mentale del bambino e degli effetti delle interazioni con l’ambiente in periodi critici per lo sviluppo cerebrale. Questo significa che è necessaria una ampia integrazione fra i fattori psicosociali ed i dati derivanti dalle neuroscienze. Due ulteriori dati hanno suscitato la necessità di fronteggiare i ritardi culturali presenti in questo settore:
– il dato epidemiologico (Green WH, 1996: 14 milioni di bambini/anno hanno richiesto un intervento psichiatrico);
– il miglioramento della nosografia (il DSM IV ha rivoluzionato la nosografia dei disturbi infantili e sottolinea la continuità tra i disturbi dell’età evolutiva e i disturbi dell’età adulta).
Inoltre la psichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza ha dovuto superare alcune problematicità inerenti la ormai accettata labilità dei confini fra aspetti biologici e aspetti psicologici e la complementarietà dei due indirizzi. Ma il fattore determinante è costituito dallo sviluppo delle neuroscienze: ampie evidenze mostrano come eventi interattivi hanno conseguenze biologiche sul cervello in sviluppo e alterazioni cerebrali, strutturali o funzionali, si riflettono in modificazioni comportamentali e emozionali. Alla luce di quanto detto, possiamo fare almeno tre osservazioni:
– i disturbi psichiatrici nell’infanzia non sono determinati esclusivamente da fattori psicologici ed ambientali: in realtà alterazioni biologiche condizionano comportamenti devianti e dinamiche interattive alterano il substrato biologico; tuttavia lo stato attuale delle nostre conoscenze, pur lasciando intuire la stretta relazione fra sviluppo cerebrale e stimoli psicosociali, indica che un ambiente sereno, cooperativo, supportivo ed adeguato ai bisogni del bambino costituisce il primo e più importante fattore di benessere. In altri termini i fattori psicosociali, in presenza di disturbi comportamentali, dovrebbero essere accuratamente indagati ed i trattamenti dovrebbero essere soprattutto di tipo psicologico e familiare;
-i farmaci psicotropi hanno un alto livello di rischio nella fase evolutiva; i dati a nostra disposizione sono ancora pochi e non abbiamo sufficienti informazioni sugli effetti degli psicofarmaci sul cervello durante le fasi evolutive. Tuttavia dobbiamo considerare che alcune patologie dell’età evolutiva hanno una base neurobiologica più nettamente definita e che in alcuni casi i benefici derivanti dall’uso di psicofarmaci superano grandemente i rischi;
-la terapia farmacologia rischia di semplificare le problematiche conflittuali ed interattive: la prescrizione dovrebbe essere un atto profondamente relazionale e all’interno di un corretto progetto terapeutico, dove interventi psicosociali ed ambientali sono adeguatamente rappresentati. In conclusione oggi non è possibile escludere a priori l’uso di alcuni psicofarmaci in un certo gruppo di psicopatologie dell’età evolutive, tuttavia i dati disponibili indicano che nell’infanzia e nell’adolescenza l’intervento deve essere innanzitutto di tipo psicosociale e familiare: è necessario innanzitutto proteggere il bambino garantendogli per quanto possibile un ambiente familiare e sociale sano e capace di accompagnarlo in modo efficace nello sviluppo e nella crescita.

Tonino Cantelmi
Professore di psichiatria
e psicopatologia
Università Gregoriana, Roma.
Presidente Associazione Italiana Psicologi
e Psichiatri Cattolici

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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