Se l’Italia resta al palo

Il ciclo economico negli ultimi 5 anni è stato sfavorevole, soprattutto il zona Euro. Non si fanno “le nozze con i ficchi secchi”: ed è difficile – per le imprese come per i giovani – creare lavoro, o incrementare i fondi per la ricerca se si è in recessione, o in stagnazione

Si apre oggi uno dei momenti istituzionali che scandiscono il ritmo della costruzione Europea: il cosiddetto “Vertice di Primavera” dei Capi di Stato e di Governo.
È davvero il momento di chiedersi dove va l’Unione. Ho difficoltà a ricordare un periodo paragonabile a questo, in cui si cumulano senso d’inerzia nell’integrazione europea e assoluta mancanza di leadership.
Al Vertice, 3 “E” saranno al centro dei dibattiti: Europa/Economia/Energia.
Sul “Futuro dell’Europa” il dibattito langue. O piuttosto: languirebbe, se fosse mai cominciato. Chi sta discutendo di cosa, dove, e con chi, al di là di qualche dibattito per iniziati a Strasburgo, o nei soliti “think-tank” bruxellesi? A saperlo, avrei partecipato volentieri anch’io!
Se vogliamo essere seri, il dibattito non è mai iniziato. Le ragioni sono politiche, e tutt’altro che misteriose. Nessuno ritiene politicamente fattibile un nuovo referendum in Francia ed in Olanda sul testo attuale del Trattato Costituzionale – in ogni caso non prima delle scadenze Presidenziali e Politiche di maggio/giugno 2007. Ergo, nessuna discussione seria comincerà fra i leaders prima di quelle scadenze. E’ inutile aspettarsi, quindi, che al Vertice di giugno si metta fine alla “pausa di riflessione” presa all’indomani del No francese e olandese: la pausa per riflettere durerà almeno un altro anno.
Difatti, è solo a partire dall’estate 2007 che cominceremo a vedere più chiaro nell’agenda francese e olandese. E non è che il punto di partenza. Non dimentichiamo che fra le ratifiche che mancheranno all’appello in quel momento ci saranno ancora quelle del Regno Unito, della Danimarca, della Repubblica Ceca, della Polonia e della Svezia.
Il punto politico per noi tutti è che, in questa impasse costituzionale, l’Europa non avanza neanche sui grandi dossiers di fondo: la governance economica; la politica estera e di difesa; l’ambiente; la sicurezza energetica; la piena realizzazione del mercato interno. Bisognerà chiedersi ad un certo punto, seriamente, se il cammino dell’integrazione possa solo ripartire dal Trattato, o da questo Trattato. Il Primo Ministro Belga, Guy Verhofstadt, ha teorizzato un rilancio del l’integrazione partendo dell’EuroGruppo, i 12 Paesi della zona/Euro.
È sarebbe importante per l’Italia tornare al centro del motore europeo, dopo anni di latitanza. È facile sparare sulle Istituzioni, o sull’Euro (salvo poi andar a cercare l’appoggio della Commissione sul caso Enel!): il difficile è costruire.
Sulla situazione dell’economia europea, i capi di Stato e di Governo faranno il punto sui progressi (scarsi, in verità!) realizzati nell’agenda di Lisbona. Risentiremo le abituali invocazioni a fare dell’Unione “l’economia più dinamica e competitiva del pianeta” ecc…? Sembra un rituale da sciamani che invocano la pioggia, piuttosto che un serio processo istituzionale, con obiettivi e cifre realistici.
Certo, il ciclo economico negli ultimi 5 anni è stato sfavorevole, soprattutto in zona Euro. Non si fanno “le nozze con i fichi secchi”: ed è difficile – per le imprese come per i governi – creare lavoro, o incrementare i fondi per la ricerca se si è in recessione, o in stagnazione. Per la prima volta da qualche anno, tuttavia, le previsioni economiche – ed un buon numero di indicatori affidabili – puntano verso una ripresa, forse già nel secondo trimestre di quest’anno, con una crescita possibile nella zona Euro di oltre il 2,5%.
Inoltre, il deprezzamento relativo dell’Euro (-10% rispetto al dollaro da marzo 2005) può contribuire a rendere sostenibile questa dinamica positiva, laddove la crescita inarrestabile del tasso di cambio €/$ (+22% dal 2001 al 2005) aveva prodotto uno shock negativo per le esportazioni europee.
Come sappiamo, il nostro Paese è fra quelli che più soffrono in questa congiuntura (-18% nell’export). Il nostro PIL è rimasto largamente al di sotto del tasso medio di crescita della zona Euro di almeno 1 punto percentuale. Invece d’imprecare per la pubblicazione delle cifre della Banca d’Italia o di fare piazzate alle riunioni di Confindustria, un Governo serio concluderebbe che sarebbe gravissimo per la nostra economia non intercettare il trend positivo che si annuncia.
E’ innegabile che ci siano dei nodi strutturali da risolvere nel nostro sistema economico. Ed è inutile insistere con l’argomento che la Germania non fa meglio dell’Italia, in termini di crescita ed occupazione. A conti fatti, sarà sorprendente per molti scoprire che il più grande esportatore al mondo non è la Cina, né gli USA; ma la Germania: 940 miliardi di dollari nel 2005 (nonostante l’Euro!), con una leadership tecnologica riconosciuta in settori cruciali quale chimica, IT, biotech, energie rinnovabili. Se il ciclo economico riparte, la Germania riparte alla grande.
Da noi, non parte nessuno: c’è un problema strutturale di “ingessatura” della nostra economia, ed una politica economica da ripensare. Ma rimanere al palo, mentre Cina ed India crescono a livelli spettacolari, ed il resto dell’Europa riparte, non significherebbe solo ristagnare, bensì perdere terreno, dopo essersi già praticamente fermati. Bisogna invece lavorare per colmare il vuoto tra l’Italia e le altre grandi economie mondiali. Come non ci stanchiamo di ripetere richiamandoci alla cosiddetta “Agenda Giavazzi”, questa mi pare una delle priorità ineludibili del futuro governo.
Infine l’argomento di moda: la sicurezza energetica. Tutti ne parlano, ed è all’ordine del Vertice di oggi e domani. La Commissione ha prodotto un Libro Verde sull’Energia, che analizza la situazione, e suggerisce delle piste di riflessione. Sarebbe stato un documento interessante un paio di anni fa. Al punto in cui siamo, è chiaro che la situazione dell’approvvigionamento energetico è già entrata in fase critica, a causa della crescente domanda di fonti energetiche da parte di Cina ed India, e delle preoccupazioni legate alla sicurezza delle fonti e/o del transito di prodotti energetici (in gran parte localizzati in aree instabili: Est Europeo, Caucaso, Iran, Asia Centrale, Libia, etc.).
Non so dove porterà il dibattito europeo sul “Libro Verde”. Temo non molto lontano. Se è vero che nell’Unione tutti i Paesi membri (incluso il Regno Unito) dipendono oramai da fonti di approvvigionamento esterno, il tasso di dipendenza rimane estremamente variabile. E varia, ovviamente, il mix di fonti disponibili, a seconda che si disponga o meno dell’energia nucleare.
Per il nostro Paese, per una volta, è tempo di pensare strategicamente, ad orizzonti che superino le prossime scadenze elettorali, e persino il mandato del prossimo governo.
Siamo il Paese industrializzato più dipendente dall’esterno, e meno organizzato per far fronte ad una crisi energetica. I nostri principali paesi fornitori si chiamano Libia, Arabia Saudita, Iran, Russia! Gli altri grandi Paesi dell’UE hanno avviato o risolto la riflessione strategica in materia: la Francia conferma la scelta nucleare; la Gran Bretagna ha avviato una riflessione sul tema; la Germania terrà un Summit nazionale sull’energia in aprile; la Spagna ha in corso uno sforzo spettacolare per creare i terminali per la distribuzione del Gas Naturale liquido (LNG).
Da noi, la strategia del ministro Scajola è: non preoccupatevi, è tutto sotto controllo. Invece, è tempo di scelte. E di rivedere la nostra posizione sul mix delle fonti. Per il nucleare mi sembra che ripartire da capo oggi non corrisponda in termini di tempo alle necessità del paese, che sono impellenti. D’altra parte, i terminali a metano sono essenziali e il governo dovrà per questo trovare accordi con le amministrazioni locali, mentre il carbone rimane una risorsa complementare.
Quello che è certo è che non possiamo più rinviare di governo in governo decisioni strategiche che richiedono anni di messa in opera. Sono convinta che il futuro governo debba farsi carico di scelte difficili, in questo come in altri settori in cui il Paese è fermo, mentre il resto del mondo avanza a grande velocità. In qualche caso, bisognerà forse rimettere in gioco passate certezze. Come disse John Maynard Keynes: “Se i fatti cambiano, cambiano le mie opinioni…”.

 

 Emma Bonino
Ministro per gli Affari Europei

Rispondi