La nuova frontiera della lotta al cancro

L’aumento di incidenza della malattia, conseguente alla transizione demografica dei paesi ricchi dell’Europa verso una società di anziani, si è accompagnato ad un marcato prolungamento della sopravvivenza dei pazienti. La sopravvivenza dei malati di cancro e la speranza di vita, infatti, sono fortemente correlate, in quanto dipendenti entrambe dal benessere economico e sociale della popolazione

L’incidenza del cancro è andata aumentando fin da quando le prime statistiche oncologiche si resero disponibili. L’aumento è stato in parte dovuto all’aumentato rischio di ammalarsi ad ogni età e in parte alla crescente speranza di vita delle popolazioni. La figura seguente mostra l’evoluzione della speranza di vita nei paesi europei coinvolti nel progetto EUROCARE sul confronto della sopravvivenza dei malati neoplastici in Europa, coordinato dall’INT. L’Italia, con la Francia,  è uno dei paesi che negli ultimi 20 anni hanno registrato i più marcati incrementi dell’aspettativa di vita.

Poiché l’incidenza del cancro e di varie altre patologie croniche aumenta con l’età, l’invecchiamento della popolazione è oggi il principale determinante dell’aumento della spesa sanitaria. I tassi di incidenza specifici delle varie età, e i tassi standardizzati per età non aumentano più, ed anzi hanno cominciato a diminuire. I tumori legati al tabacco, in particolare, stanno diminuendo nella maggior parte dei paesi europei, a causa del diminuito consumo di tabacco. Assieme alla diminuzione del cancro dello stomaco e della cervice uterina, la diminuzione del cancro del polmone e del collo dell’utero bilancia l’aumento del cancro della prostata, della mammella, del rene, e dei linfomi non-Hodgkin.

         La priorità della prevenzione

Questi fenomeni di continuo aumento del numero di casi nonostante sia iniziata la diminuzione del rischio di ammalarsi sono illustrati nelle stime dell’andamento temporale di incidenza, mortalità e prevalenza in Italia:

L’aumento di incidenza del cancro conseguente alla transizione demografica dei paesi ricchi dell’Europa verso una società di anziani si è accompagnato ad un marcato prolungamento della sopravvivenza dei pazienti. La sopravvivenza dei malati di cancro e la speranza di vita, infatti, sono fortemente correlate in quanto dipendenti entrambe dal benessere economico e sociale della popolazione. L’aumento di sopravvivenza è un fenomeno complesso, conseguenza di una somma di fattori, fra cui la disponibilità di terapie più efficaci, la maggior efficacia delle terapie quando la diagnosi è anticipata (grazie agli screening, alla maggiore cultura della popolazione, alla maggiore sensibilità degli strumenti diagnostici). La distinzione fra queste differenti cause di aumento di sopravvivenza, nonché della differenza di sopravvivenza in diversi paesi, è un obiettivo di ricerca prioritario dell’INT, per il quale è essenziale la collaborazione di epidemiologi e clinici, che può essere favorita dalla creazione dei dipartimenti funzionali. Le prime analisi indicano che gran parte delle differenze di sopravvivenza in Europa occidentale, e anche fra l’Europa e gli Stati Uniti d’America, dipendono da una diversa precocità diagnostica piuttosto che da una diversa disponibilità  di terapie. Qualunque siano le sue ragioni, l’aumento di sopravvivenza comporta un aumento di prevalenza, cioè del numero di persone che vivono dopo una diagnosi di cancro, e quindi della domanda di sorveglianza sanitaria per il rischio di recidive o di secondi tumori. All’aumento di incidenza e prevalenza si accompagna inoltre l’aumento dell’offerta di tecnologie diagnostiche e terapeutiche moderne e dei costi per il sistema sanitario. In molti paesi i servizi sanitari nazionali non sono più in grado di sostenere l’aumento dei costi oncologici.Per chi ha la responsabilità della pianificazione sanitaria e dell’allocazione delle risorse una prima deduzione è che il contenimento del numero di persone che si ammalano (la prevenzione primaria) è una priorità. Una seconda priorità è la prevenzione (ma anche la diagnosi precoce e la terapia) nelle persone anziane. Una terza priorità è la promozione della ricerca in questi campi. La nuova organizzazione dell’Istituto che prevede una Unità di ‘Studi descrittivi  e pianificazione sanitaria’ è funzionale a queste priorità. Il successo di questa nuova Unità nell’ottenere un importante finanziamento e la leadership della definizione degli indicatori oncologici per la Comunità Europea testimonia la validità di questa scelta.

La priorità della prevenzione primaria.

Un pregiudizio diffuso in economia sanitaria è che la prevenzione primaria non comporti una riduzione ma un aumento di costi per il sistema sanitario e previdenziale, a causa del prolungamento della vita in età non produttive. Fino a qualche decennio fa il progresso in campo preventivo e assistenziale, avendo un grande successo nella riduzione delle malattie acute (infettive) in età giovane, favoriva di fatto la sopravvivenza di soggetti suscettibili di aumentare il carico di malattie croniche, ben più costose, in età avanzata. Oggi che l’investimento preventivo è prioritariamente rivolto alle malattie croniche,  prevenire le morti premature per malattie croniche è verosimilmente vantaggioso per la società anche in termini economici. Smettere di fumare, ad esempio, prolungherebbe la vita dei fumatori di 3-4 anni in media (fino a 7-8 anni per chi non inizia affatto a fumare). Gran parte del vantaggio sarebbe per quel 20-25 % dei fumatori che sarebbero morti per una malattia del tabacco: in media prolungherebbero la loro vita di 12-20 anni. Il vantaggio economico non dipenderebbe soltanto dal non dover trattare le malattie da tabacco ma anche dall’aumento di produttività che si otterrebbe evitando la morte precoce dei lavoratori, riducendo l’assenteismo, e anche il ‘presenteismo’ dei famigliari, cioè la ridotta produttività legata alla preoccupazione per la salute dei congiunti.

La priorità di promuovere la prevenzione anche in età anziana.

Un grande interrogativo di sanità pubblica e anche di economia sanitaria è se il cambiamento di stile di vita in età adulta sia efficace per prevenire le malattie croniche o se ne sposti soltanto l’incidenza in età più avanzata, con le stesse implicazioni di sofferenza e di costi. Molti studi infatti hanno evidenziato che quanto più precoce è l’acquisizione di uno stile di vita sano tanto più grande è l’effetto preventivo. Anche se la durata media della vita è aumentata considerevolmente nelle nostre popolazioni (da circa 50 anni all’inizio del secolo a circa 80 oggi), la durata della vita umana è finita, probabilmente a causa del numero finito di duplicazioni a cui le nostre cellule possono andare incontro. Ne risulta inevitabilmente una morte naturale, anche senza malattia. Posticipare le malattie croniche consentirebbe alla gente di morire di morte naturale, e alla società di evitare i costi del trattamento delle malattie croniche. Le curve di sopravvivenza globale della popolazione, nel corso dell’ultimo secolo, con l’eliminazione delle morti premature hanno mostrato una progressiva rettangolarizzazione, senza però che l’aumento della vita media si sia accompagnato ad un aumento della durata naturale della vita. La posticipazione dell’incidenza delle malattie croniche, quindi, non implica soltanto una posticipazione del problema, ma può rappresentare una vera prevenzione.

Negli animali di laboratorio la strategia più efficace per ridurre l’incidenza di cancro e mortalità prematura è la restrizione calorica (e la riduzione del consumo di grassi). Gli effetti più marcati si osservano con la restrizione calorica fin dalla nascita, che però comporta un ritardo e una compromissione dell’accrescimento. La restrizione calorica in età adulta ha comunque un effetto preventivo significativo senza compromettere la crescita. La restrizione calorica, infatti,  contribuisce alla prevenzione del cancro attraverso svariati meccanismi che coinvolgono sia le fasi di iniziazione (ad esempio riducendo la produzione di radicali liberi ed attivando le vie enzimatiche di detossificazione degli xenobiotici, quindi riducendo i danni al DNA) sia le fasi di promozione e progressione (ad esempio riducendo la sintesi e la biodisponibilità di fattori di crescita). La prevenzione del cancro non richiede necessariamente la prevenzione dei danni al DNA, già ampiamente verificatisi in età adulta e anziana, ma può essere ottenuta posticipandone le manifestazioni cliniche al di là della durata naturale della vita. Le ricerca epidemiologica e clinica ha dimostrato al di là di ogni ragionevole dubbio che molte malattie croniche possono essere significativamente posticipate: smettere di fumare ritarda l’insorgenza dell’enfisema e del cancro polmonare, curare l’ipertensione ne ritarda o previene le complicazioni, ridurre i grassi nella dieta e gli alimenti ad alto indice glicemico previene il diabete e, molto probabilmente, la demenza di Alzheimer, l’attività fisica previene le fratture osteoporotiche, e ci sono sempre più dati che suggeriscono che una dieta volta a ridurre i livelli di insulina possa prevenire le recidive del cancro mammario.

La priorità di promuovere la ricerca per posticipare/prevenire le malattie croniche

Gli investimenti per la ricerca sul cancro sono dominati dalla ricerca sulle terapie e dalla ricerca di base sui meccanismi molecolari di cancerogenesi, una ricerca quest’ultima da cui ci si attende la scoperta di nuove terapie più efficaci e meno tossiche. Le nuove terapie sono però necessariamente più costose, per la necessità di ammortizzare gli investimenti di ricerca. Le nuove terapie, inoltre, richiedono trattamenti prolungati, talvolta per tutta la vita. Paradossalmente ogni progresso nella terapia medica dei tumori mina la sostenibilità economica dei sistemi sanitari. Questa direzione della ricerca è trainata dai monumentali successi della biologia molecolare, dalle promesse delle nuove tecniche di genomica e proteomica, ed è chiaramente sostenuta da interessi di mercato. Anche le agenzie di finanziamento pubblico ed internazionale, comunque, privilegiano queste direzioni di ricerca e riducono i fondi per la ricerca in sanità pubblica. Quest’ultima, dopo aver dimostrato che il tabacco, la dieta squilibrata e, in grado minore, l’inquinamento ambientale, costituiscono le principali cause prevenibili del cancro, dovrebbe ora spostare la sua attenzione dai classici studi osservazionali a nuovi studi di intervento – progetti dimostrativi e sperimentazioni controllate – mirati a saggiare la fattibilità di mettere in pratica le conoscenze accumulatesi in oltre 50 anni di ricerca eziologica. Ciò richiede un’integrazione delle funzioni di ricerca con le  strutture diagnostico-terapeutiche che la una nuova visione organizzativa dell’Istituto Tumori potrebbe favorire.

 

Franco Berrino, Paolo Baili, Andrea Micheli
Dipartimento di Medicina Preventiva e Predittiva, Istituto Nazionale Tumori di Milano

Rispondi