Sistemi da Grand Guignol

L’aborto clandestino è ancora vivo e vegeto. Una volta per alcuni esistevano solo gli aborti clandestini, oggi, per gli stessi, esistono solo quelli legali. Eppure anche Chiara Valentini, sull’Espresso del 10 novembre 2005, accenna a un fenomeno quantitativamente significativo, che dà addirittura in crescita: parla di un esercito di extracomunitari e di giovanissime che abortiscono “con improbabili decotti”, con “raschiamenti devastanti fatti per poche centinaia di euro”. E di cliniche compiacenti dove l’aborto procurato viene fatto passare per spontaneo

Sembra, pensate un po’, che di eutanasia clandestina si possa persino morire: è l’allarme lanciato con estrema serietà dai sostenitori dell’eutanasia legale, come il segretario radicale Capezzone il prof. Umberto Veronesi. Per loro l’aggettivo “legale”  è evidentemente un toccasana universale. Aspettiamoci a breve, elenchi delle cliniche europee più “avanzate”, e discorsi filosofici alla severino o alla Mori, sulla loro stessa indegnità, come vecchi, a essere considerati persone.

Se è concesso, vorrei allora discutere anch’io di qualcosa di clandestino, di cui non si parla più molto: gli aborti. La legge 194 avrebbe dovuto sconfiggerli: come ha scritto Emilio Bonicelli, nel suo “Gli anni di Erode”, ci si sarebbe potuto aspettare che nella 194 vi fossero pene durissime per scoraggiare i medici praticoni, le mammane, i “cucchiai d’oro”. Non è così:”Tutte le pene vengono diminuite rispetto alla legislazione precedente”. Il risultato è che l’aborto clandestino è ancora vivo e vegeto. Una volta, per alcuni, esistevano solo gli aborti clandestini, oggi, per gli stessi, esistono solo quelli legali. Eppure anche Chiara Valentini, sull’Espresso del 10 novembre 2005, accenna a un fenomeno quantitativamente significativo, che lei dà addirittura in crescita: parla di un esercito di extracomunitari e di giovanissime che abortiscono “con improbabili decotti”, con “raschiamenti devastanti fatti per poche centinaia di euro”, e di cliniche compiacenti dove l’aborto procurato viene fatto passare per spontaneo.

Tutto detto è però detto en passant, oerchè i nemici della Valentini sono altri: gli obiettori, e i medici che ospitano un “Centro di aiuto alla vita nel bel mezzo del (loro) reparto”. Insomma i tempi sono cambiati: contro l’aborto clandestino più alza la voce. I problemi sembrano essere altri, e massimo D’Alema è uno di quelli che se li prende a cuore: per questo nei giorni scorsi ha visitato il San Camillo di Roma, “in difesa della 194”, si dice. Ma in realtà, almeno in parte, contro la sua completa applicazione. Ed è inevitabile che venga voglia di consigliare al presidente della Quercia un’altra visita: precisamente a “Villa Gina”, sempre a Roma. Per chi non lo ricordasse trattasi di una delle sei cliniche private fondate a suo tempo da Mario Spallone, “comunista puro e staliniano”, già medico personale di Palmiro Togliatti. Di Spallone, già ai tempi, non tutti avevano grande stima: Aldo Natoli, ad esempio, segretario della federazione romana del Pci, non sopportava “il suo carrierismo” e “fa raccogliere delle informazioni professionali e politiche sul suo conto, le invia alla segreteria del partito e viene a sapere che, regolarmente, scompaiono dall’archivio per ordine di Togliatti” (lo ha scritto Giorgio Bocca in “Palmiro Togliatti”, Laterza).

Nel marzo del 2000 i giornali annunciano che a Villa Gina si compiono aborti anche contro la legge. Le descrizioni sono da grand guignol: si uccidono con “i ferri grandi” bambini anche di sette-otto mesi, dietro compensi che arrivano fino a dieci milioni per aborto, “in contanti”, spesso preceduti dalla” pretesa di un assegno in garanzia”. Per evitare guai, “i pezzi più grandi del feto venivano bruciati, mentre il resto veniva gettato nel water o nel lavabo”, in un “lavandino tritatutto”. Ferri grandi sui bambini grandi, ,alformazioni inesistenti, diagnosticate per incrementare gli aborti e il relativo giro d’affari, e violenze, non poche, sulle donne che quegli aborti subiscono. Le storie sono tragiche: c’è ad esempio quella di una donna che “era contraria, e quando arrivò in sala operatoria scoppiò a piangere gridando che non voleva abortire: Ilio Spallone (fratello di Mario, ndr) urlava e la colpiva sulle gambe, un altro la tratteneva, finchè l’anestesista non riuscì ad addormentarla…”.

Ecco, se a Massimo D’Alema interessa davvero il dramma dell’aborto, le prospettive ci sono. C’è l’impegno per combattere gli aborti clandestini, che continuano a essere una cifra importante (ventimila negli ultimi anni, secondo la relazione sullo stato di attuazione della legge, presentata lo scorso 25 ottobre dal ministero della Salute). Oppure per verificare che le cliniche convenzionate osservino veramente che la 194, e cioè non pratichino aborti oltre i tempi stabiliti, magari spacciando per spontanei quelli procurati.

Francesco Agnoli
professore di storia
studioso di filosofia della scienza
fondatore del circolo culturale Il Castello, collaboratore del Foglio e di Avvenire

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