L’uomo e il suo essere “persona”: l’avvio di una discussione

In alcune culture emergenti i diritti dell’ essere umano si riducono progressivamente con la perdita dell’autonomia. L’essere una persona implica, in un tale contesto, la capacità di farsi sentire e di difendersi

Al di là delle soluzioni operative che il Sistema Sanitario Nazionale non può non porre in essere, nell’attuare i dispositivi della legge 194,  rispettando i princìpi c.d. dell’autonomia, del consenso, di beneficità e di giustizia ispiratori delle dottrine di bioetica e dei criteri di organizzazione dell’attività medica, assistenziale e di ricerca all’interno delle aziende sanitarie e delle Università, c’è una questione, insidiosa, un nodo cruciale che interpella la cultura laica: diversi studiosi, osservatori e cultori di tematiche umane e sociali, sono condotti ad escludere o negare, in talune fasi dell’esistenza, all’essere umano, la qualità di persona. Mancanza di autonomia, incapacità di vivere senza aiuto di terzi, incapacità a relazionarsi lo farebbero divenire un essere effimero (sarebbe simile ad un oggetto che può essere distrutto). Tipico di tale situazione è il caso del concepito. Secondo una tale cultura è come se, in date circostanze, non avessimo o perdessimo dei pezzi del nostro essere persona. A dispetto del riconoscimento del principio di “continuità biologica”, che rappresenta, tra l’altro, un presupposto della logica “evoluzionista” si pensa che sia privo di effetti e perciò lecito intervenire, sopprimendo la vita, quando le cellule del concepito non avessero ancora….compiuto un “certo” salto di qualità. E’ come se si ritenesse (o si volesse far credere) che tale intervento non altererebbe la continuità biologica, e cioè che l’azione di soppressione di quella vita, nel descritto stato dell’esistenza dell’embrione, non avrebbe poi l’ovvio l’esito di pregiudicarne ed impedirne la transizione verso quella qualità biologica che detti studiosi sarebbero poi disponibili a riconoscere.

Secondo detta cultura l’essere persona significherebbe essere riconosciuti come tali, in base a date convenzioni. Estremizzando (per farsi capire) l’adulto in forza e salute, capace di esprimersi, e di lottare con voce ed  energia, sarebbe un simbolo della  persona. Certo che non verrebbero escluse numerosissime posizioni intermedie. Ma chi è veramente debole rischia assai. Sembra quasi che l’essere persona implichi, in un tale contesto, l’ essere capaci di farsi sentire…di difendersi.

Con riguardo alla legge 194, la questione posta e la risposta alla domanda…ma tu sei persona? non sono prive di  conseguenze. Il tema comincia a coinvolgerci tutti, per il peso che le dottrine di bioetica hanno su tutti i rapporti di vita/morte, di salute, malattia, ecc. e perciò sui criteri di organizzazione ed operatività del Sistema Sanitario Nazionale.

Vi sono, insomma, dei pericoli che chi si occupa di bioetica e di traduzione di questa in forme di scelte ed organizzazione sanitaria ha l’obbligo di evidenziare e che sono identificabili, rendendoli palesi e cioè svelandoli, attraverso l’esame di alcuni quesiti quali i seguenti:

  1. chi è il debole nella nostra società?
  2. siamo disposti ad accettare l’dea che il concepito non possieda autonomia di vita e non abbia valori soggettivi rispetto ai suoi genitori?
  3. siamo disposti ad accettare l’idea che l’incapacità di dialogo e di difesa faccia perdere all’essere umano la qualità di persona?
  4. siamo disposti ad accogliere l’idea di chi afferma che tutto è lecito se c’è il consenso tra le parti?

Se ci rendiamo conto che ciascuno di noi, nei vari momenti dell’esistenza (perché divenuto debole, o handicappato, o malato di Alzheimer, ecc.) può essere chiamato in causa e messo a rischio reale da una cultura che è sì orientata verso la funzionalità del sistema (e l’azione dei soggetti forti) ma non necessariamente verso la difesa della vita propria o di quella dei propri cari, di certo sarà disposto a discutere e ad approfondire, in termini laici e non religiosi, dei temi della bioetica riconoscendo come questi siano divenuti cruciali sotto il profilo politico e strategico per il futuro della nostra società.

Maurizio Fanni
Prof Ordinario di Organizzazione Aziendale, Facoltà di Economia dell’Università degli Studi di Trieste Membro del Centro Universitario Etica e Scienza “Vittorio Longo”di Trieste

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