Un tabù per farsi belli

Come si può parlare di un fenomeno che non si conosce?
I dati che vengono divulgati sono sempre incompleti e parziali. Ad esempio non si riesce ancora a capire, ovvero ad incrociare, il dato sulla età dell’interruzione di gravidanza (IVG) e quello sul ritardo della maternità

Vi è una strumentalità ideologica ed elettorale sulla questione dell’aborto così duramente emersa alle attenzioni della cronaca che non ci consente di guardare con la necessaria attenzione ad una questione in se drammatica. Pare che l’aborto nel nostro paese sia un tabù di cui  non si possa parlare, o di cui farsi belli verso un certo elettorato. Prima di aprire un dibattito sul tema sarebbe opportuno realizzare in un modo più ampio e leggibile quella Relazione al Parlamento sullo stato di applicazione della legge 194 che il Ministero della salute redige come puro computo delle prestazioni e sul quale non si assiste da svariati anni ad un vero dibattito nelle commissioni competenti.

Come si può parlare di un fenomeno che non si conosce? I dati che vengono divulgati sono sempre incompleti e parziali. Ad esempio non si riesce a capire, ovvero ad incrociare il dato sulla età dell’Interruzione di gravidanza (IVG) e quello sul ritardo della maternità. È vero che nel nostro paese si partorisce in media a 30 anni e l’IVG si fa in media ad una età precedente? È vero che una porzione non irrilevante di IVG sono richieste da persone che non hanno ancora figli e non sono coniugate o conviventi? In buona sostanza  l’IVG è applicata sempre tenendo presente la chiara indicazione del legislatore che essa non deve divenire un metodo anticoncezionale o di controllo delle nascite?

Questo poca chiarezza e sistematicità statistica emerge in modo evidente se si analizzano i dati relativi all’IVG nell’area minorile. I dati che ho sono abbastanza vecchi, ma gli unici disponibili, e si possono tranquillamente verificare perché pubblicati dal Centro nazionale di documentazione per l’infanzia e l’adolescenza.

Tra il 94 ed il 99 in media sono 3800 le infradiciottenni che hanno vissuto questa esperienza in media intorno ai 16 anni e mezzo. Per gli anni successivi le tabelle parlano di donne con meno di 20 anni e ciò non aiuta a leggere il fenomeno che riguarda le minorenni. Il dato più sconvolgente però emerge dal Rapporto di abortività per le donne tra i 14 ed i 17 anni: ogni 100 parti nel 94 vi erano 101 IVG, nel 1995 il rapporto era 117,1 e nel 1996 era addirittura di 135,9 IVG ogni 100 parti. Tutto ciò a fronte di un dato che rapportato all’intera età feconda si è mantenuto oramai costante intorno a 25/26 IVG ogni 100 parti. Questo numero assoluto dimostra che le adolescenti utilizzano l’aborto come metodo anticoncezionale. Se a ciò aggiungiamo il fatto che troppo spesso questo intervento è disposto dal giudice in assenza del consenso dei genitori o addirittura segretamente da questi, ne viene fuori un quadro preoccupante. Il mio ragionamento non riguarda il giudizio etico o morale sull’aborto in se, ma si sviluppa su di un piano educativo e sociale; ritengo importante nella veste istituzionale che ricopro tenere il mio giudizio morale distinto dalle necessità del ruolo anche perché la evidenza dei fatti si denuncia da sè. Da un lato è necessario garantire alle minorenni il ricorso a questa pratica quando essa sia liberamente scelta, ma pare di tutta evidenza che tale libertà è abbastanza relativa se così massicciamente si ricorre al giudice in quanto non si ritiene di poter coinvolgere la famiglia nel sostegno educativo, morale, affettivo alla scelta della ragazza.

Questo aspetto mi pare lasci intravedere ancora più drammatica la solitudine di queste ragazze costrette ad una scelta su una questione di enorme portata senza un adeguato contesto di contenimento affettivo del dramma né di  preparazione al gesto. Trovo infatti assurdo che per quante indagini si facciano sulla vita degli adolescenti pochissimo si sappia della loro sessualità e del modo in cui essi la vivono. Se ne parla solo in termini di allarme sociale solo per condannarne eccessi, o per correggere aspetti patologici, per esempio la necessità di fare informazione sessuale nelle scuole si concentra sull’uso del preservativo quale presidio sanitario di prevenzione della diffusione dell’AIDS. Certo il tema va trattato, ma perché non riusciamo a comprendere che i ragazzi hanno bisogno di una società adulta che sappia accompagnarli verso un esercizio adeguato e responsabile della propria affettività e della propria sessualità? Questo loro diritto, a mio modo di vedere dovrebbe essere precedente a quello sull’accesso all’aborto o agli anticoncezionali visti come presidi sanitari. O forse ci spaventa troppo l’idea che i nostri figli come è giusto che sia vivono le loro pulsioni e scoprono il corpo ed il sesso? Chissà se provassimo ad ascoltarli di più, forse ci spaventerebbero di meno e rischieremmo di scoprirci dentro anche quell’incontenibile bisogno di amore che li spinge!

Francesco Milanese
Pubblico Tutore dei minori
Regione Friuli Venezia Giulia

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