Consapevolezza e procreazione responsabile

Solo il 34,4% delle donne si rivolgono al consultorio familiare (uno dei servizi che vengono indicati dalla 194/78 per il perseguimento delle sue finalità) mentre più frequente resta la scelta di appellarsi ad un medico di fiducia, ad un servizio ostetrico ginecologico o ad altre soluzioni. Il ricorso era ancora minore in passato, tanto che circa vent’anni fa stesso dato si fermava al 24,2%.

41,8%: tale è il decremento degli interventi di interruzione volontaria di gravidanza rispetto al 1982 (anno in cui si è registrato il più alto ricorso all’IVG) secondo i dati provvisori per il 2004 forniti dall’ultima Relazione del Ministro della Salute sulla attuazione della legge 194/78. Dato che indica inequivocabilmente un aumento della consapevolezza verso una procreazione responsabile, ma da leggere alla luce delle ulteriori precisazioni fornite dalla Relazione: la costante diminuzione del ricorso all’IVG tra le italiane è disomogenea perchè dipende dalle diverse classi di età e dai diversi livelli di stato civile, istruzione ed occupazione; bisogna tener conto, poi, del fatto che nel corso degli anni è andato crescendo il ricorso alla IVG di donne con cittadinanza estera (nel 2003 il 25,9% degli interventi è stato effettuato da straniere, mentre nel 1998 tale percentuale era del 10,1%). Un altro dato che può destare interesse è che solo il 34,4% delle donne si rivolgono, per il ricorso alla IVG, al consultorio familiare (uno dei servizi che vengono indicati dalla 194/78 per il perseguimento delle sue finalità) mentre più frequente resta la scelta di appellarsi ad un medico di fiducia, ad un servizio ostetrico ginecologico o ad altre soluzioni (ed il ricorso al consultorio, negli anni precedenti il 2003, era ancora minore: vent’anni prima, ad esempio, lo stesso dato si fermava al 24,2%).

Ma che cos’è il consultorio familiare e cosa sta alla base della scelta della maggior parte delle donne di adire agli altri servizi per la certificazione dell’IVG?

Il Consultorio Familiare è un servizio sociale e sanitario pubblico completamente gratuito cui si può accedere direttamente, senza l’impegnativa del medico: anche i minori di età possono rivolgersi al servizio autonomamente, senza il consenso dei genitori. Nel Consultorio lavorano ginecologi, ostetriche, psicologi, assistenti sociali e consulenti legali: questo gruppo di operatori si occupa non solo della certificazione per un’eventuale interruzione di gravidanza ma anche di offrire colloqui per informazioni e approfondimenti, visite ginecologiche, prescrizione di contraccettivi, sostegno psicologico e psicoterapico, interventi psicosociali in situazioni familiari difficili.

La legge 194/78 stabilisce, all’articolo 4, che “per l’interruzione volontaria della gravidanza entro i primi novanta giorni, la donna che accusi circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in relazione o al suo stato di salute, o alle sue condizioni economiche, o sociali o familiari, o alle circostanze in cui e’ avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito” si può rivolgere ad un consultorio pubblico ma anche ad una struttura socio-sanitaria a ciò abilitata dalla regione o ad un medico di sua fiducia.

Il percorso di una donna che volesse ricorrere alla IVG, pertanto, non passa necessariamente attraverso un consultorio: entro l’undicesima settimana di gravidanza la donna può presentarsi, in alternativa, in un qualsiasi studio medico compreso quello del suo medico di fiducia chiedendo l’IVG ai sensi del citato articolo. Il medico le rilascerà un documento con il quale, trascorsi sette giorni, la donna potrà rivolgersi al servizio sanitario nazionale o a una clinica privata dicendo di voler procedere all’intervento. Gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate, come ordina l’articolo 9 della 194, devono assicurare l’effettuazione degli interventi di interruzione della gravidanza richiesti. A costo, nel caso estremo in cui tutti i medici ed il personale sanitario dell’ospedale sollevassero obiezione di coscienza, di assumere altri medici a gettone per l’intervento.

Il dato secondo il quale solo circa un terzo delle certificazioni vengono rilasciate dal consultorio familiare, quindi, diviene già più facilmente interpretabile. Ed a renderlo ancora più chiaro è sempre la Relazione ministeriale: vi si evidenzia che la “non adeguata presenza del consultorio familiare sul territorio, l’assenza o il ridotto numero di ore lavorative della figura professionale di riferimento, la scarsa disponibilità dei servizi di secondo e terzo livello ad accettare di mettersi in rete con i servizi consultoriali” sono i fattori alla base di questo fenomeno. Vi si sottolinea anche che la recente tendenza all’aumento del ruolo dei consultori (nel 1983 il ricorso al medico di fiducia per la certificazione della IVG era più che doppio rispetto al ricorso ai consultori; nel 2003 invece, per la prima volta, il consultorio familiare ha rilasciato più certificazioni rispetto ai medici di fiducia) è determinata prevalentemente dalle donne straniere che vi fanno ricorso più frequentemente per due motivi: è a più bassa soglia d’accesso e spesso è presente il mediatore culturale.

E’ interessante infine notare anche che la legge 194 attribuisce ai consultori ed alle strutture socio sanitarie compiti che non coincidono esattamente a quelli che attribuisce ai medici di fiducia. L’articolo 5 dice che il consultorio e la struttura socio-sanitaria, oltre a dover garantire i necessari accertamenti medici, hanno il compito in ogni caso, e specialmente quando la richiesta di interruzione della gravidanza sia motivata dall’incidenza delle condizioni economiche, o sociali, o familiari sulla salute della gestante, di esaminare con la donna “le possibili soluzioni dei problemi proposti, di aiutarla a rimuovere le cause che la porterebbero alla interruzione della gravidanza, di metterla in grado di far valere i suoi diritti di lavoratrice e di madre, di promuovere ogni opportuno intervento atto a sostenere la donna, offrendole tutti gli aiuti necessari sia durante la gravidanza sia dopo il parto”. Il medico di fiducia, invece, oltre a compiere gli accertamenti sanitari necessari, valuta con la donna “le circostanze che la determinano a chiedere l’interruzione della gravidanza; la informa sui diritti a lei spettanti e sugli interventi di carattere sociale cui può fare ricorso, nonché sui consultori e le strutture socio-sanitarie” e dunque sembra avere un ruolo più indiretto nell’eventuale superamento della decisione di abortire.

E, sempre sul ruolo dei consultori, arroventa gli animi il dibattito sull’interpretazione e sulla corretta applicazione del secondo comma dell’articolo 2, che dice che “i consultori sulla base di appositi regolamenti o convenzioni possono avvalersi, per i fini previsti dalla legge, della collaborazione volontaria di idonee formazioni sociali di base e di associazioni del volontariato, che possono anche aiutare la maternità difficile dopo la nascita”. E che apre una questione di ben più ampio respiro: ma allora, quale deve essere l’obiettivo primario dei consultori? Quello di informare le donne e di promuovere una procreazione libera e consapevole nel rispetto delle convinzioni etiche, culturali e religiose di ognuno o quello di educare al rispetto della vita umana fin dal primo istante della gravidanza? Perchè, come sostiene chi vuole aprire le porte dei consultori alle associazioni, è un diritto di ogni donna quello di essere messa a conoscenza delle soluzioni che possono farle superare le cause che la inducono all’aborto, ed il lavoro di volontari può aiutare effettivamente la realizzazione di questo diritto. Ma è anche un diritto di ogni donna, ricorda un’altra corrente di pensiero, quello di scegliere liberamente sulla propria salute e sulla propria sessualità: e se una donna che avesse già ponderato e maturato la sua decisione entrando in un consultorio per richiedere la certificazione dell’IVG si trovasse davanti personale di associazioni cattoliche deciso a tentare un’opera dissuasione non vedrebbe forse calpestato il suo diritto?

 

 

Martina Seleni

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