Donne e aborto: si soffre per sempre

Attualmente si distinguono tre quadri nosologici definiti: la psicosi post-aborto, lo stress post-aborto e la sindrome post-abortiva. Il primo insorge immediatamente dopo l’interruzione della gravidanza ed è un disturbo di prevalente interesse psichiatrico. Per il secondo si ha un’insorgenza dai tre a sei mesi dalla data dell’Ivg ed è più “lieve”. La sindrome post-abortiva, invece, comprende un insieme di disturbi che possono insorgere subito dopo l’interruzione ma anche dopo diversi anni, in quanto può rimanere a lungo latente a livello inconscio

Nel presente contributo verranno prese in considerazione esclusivamente le conseguenze psico-cliniche dell’aborto volontario. Si analizzeranno quindi l’interruzione di gravidanza voluta e i suoi effetti clinici a carico della madre, evidenziando le problematiche che possono emergere nel proseguo della vita dopo l’aborto. (…) Il dibattito sull’Interruzione volontaria della gravidanza (Ivg), sia in Italia che nel mondo, ha sempre riguardato gli aspetti di tipo motivazionale e cioè le condizioni che potessero giustificarne l’effettuazione. Si è quasi sempre rimosso, però, il pensiero di cosa avrebbe potuto comportare l’interruzione della gravidanza sia nel breve tempo che a distanza di anni e quanto avrebbe condizionato la vita psichica futura della donna. (…)

Credo che che i primi a superare questa struttura difensiva siano stati proprio gli “addetti ai lavori” e cioè gli psicoterapeuti, ai quali non poteva sfuggire la presenza dell’Ivg nelle storie cliniche di alcuni pazienti e la somiglianza dei quadri sintomatologici. Negli Stati Uniti sono stati impostati dei lavori di ricerca che indagassero il dopo aborto, i quali hanno portato, pur con i limiti dell’iniziale approssimazione, a una prima codificazione sintomatologica negli anni 1989-1990, ed è proprio in quel periodo che anche in Italia si è cominciata ad affrontare tale problematica. Sono state effettuate alcune ricerche mirate a un approfondimento della casistica che hanno condotto a delineare sostanzialmente i sintomi psichici riconducibili a un pregresso intervento per Ivg. Nel dizionario di psicologia (1994) di U. Galimberti, alla voce “aborto” si legge: “[…] è frequente che il ricordo di aborti provocati in epoca lontana e superati apparentemente senza difficoltà, ricompaia carico di sensi di colpa in occasioni di episodi depressivi […]”.

Attualmente si possono indicare tre quadri nosologici ormai sufficientemente definiti: la psicosi post-aborto, lo stress post-aborto e la sindrome post-abortiva (spa). Senza dilungarsi nella descrizione clinica dei primi due, si può affermare che il primo insorge immediatamente dopo l’interruzione della gravidanza, che perdura oltre i sei mesi, e che è un disturbo di prevalente interesse psichiatrico. Per il secondo si ha un’insorgenza dai tre a sei mesi dalla data dell’Ivg ed è il disturbo più “lieve” finora osservato. La sindrome post-abortiva, invece, comprende un insieme di disturbi che possono insorgere subito dopo l’interruzione ma anche dopo diversi anni, in quanto può rimanere a lungo latente a livello inconscio. Pertanto non è facilmente prevedibile né riconoscibile. Ricorrendo a un’esemplificazione, si può paragonare l’Ivg a una mina che dopo essere stata innescata viene gettata in mare. Può rimanere inattiva per svariati anni, esplodere dopo breve tempo o anche non esplodere. Però una “piccola” mina può anche affondare una “grande” nave! (…)

La sindrome post-abortiva viene considerata all’interno dei post traumatic distress disorder (ptdd) (…) poiché l’Ivg è ritenuto evento traumatico in quanto: 1. produce uno stress tale da creare dei disturbi alla vita psichica; 2. sopprime gli elementi di identificazione con il bambino; 3. nega la gravidanza, ma anche quella parte del sé che si era identificata con il bambino/a. A questi elementi se ne potrebbero aggiungere altri, più legati alla cultura, alla morale, ecc., ma potrebbero essere soggettivi. Sta di fatto, però, che a livello antropologico sono stati condotti degli studi su quanto e dove è accettato l’aborto volontario. Paradossalmente più la popolazione ha un livello di sviluppo inferiore tanto meno vi è il ricorso all’aborto. (…) Di contro, tanto più il grado di civiltà si eleva tanto maggiore è il ricorso all’Ivg.

Ma quali sono i sintomi della spa? Schematicamente, e rifacendosi agli studi dell’Harvard Medical School, coordinati da W. Worden, iniziati nel 1987, si ha il seguente quadro clinico (Worden, 1990): disturbi emozionali (ansie, ecc.); disturbi della comunicazione; disturbi dell’alimentazione; disturbi del pensiero; disturbi della relazione affettiva; disturbi neuro-vegetativi; disturbi della sfera sessuale; disturbi del sonno; disturbi fobico-ansiosi; flashbacks dell’aborto. Tali sintomi possono presentarsi dai sei mesi ai due anni successivi all’Ivg (ma anche oltre tale periodo) mediante due modalità: 1. su base acuta o cronica; 2. in assenza di sintomi specifici, insorgono rischi relativi a eventi stressanti quali: nuova gravidanza; sterilità secondaria; aborto spontaneo; isterectomia; perdite affettive. (…)

Ricollegandosi agli eventi sopra descritti, è interessante soffermarsi brevemente sul fatto che l’Ivg struttura processi difensivi di rimozione o negazione che vanno a indebolirsi in modo significativo in presenza di avvenimenti ricorrenti, quali l’anniversario dell’interruzione, l’ipotetica data di nascita, e tutta una serie di scadenze legate ad anniversari e/o ricorrenze. Questo comporta l’abbassamento della difesa primaria per cui la paziente si ritrova di fronte al proprio aborto volontario con tutto il bagaglio di angosce che ne derivano. Pertanto si può affermare che più tempo trascorre tra l’Ivg e la comparsa del quadro clinico tanto maggiore sarà il senso d’angoscia. Infatti, più è lungo il periodo di negazione (quindi di strutturazione della stessa) maggiore sarà il “peso” clinico del problema.

Tali affermazioni trovano ulteriore conferma in due lavori di indubbio valore scientifico, il primo della Association for interdisciplinary research di Denver (Colorado) (Sim, Neisser, 1979), e il secondo della University of Notre Dame di August (Minnesota) (Angelo, 1992), i quali oltre a definire il quadro clinico danno una percentuale approssimativa del 62% di insorgenza della sindrome post-abortiva. (…) Tutto ciò è una totale e netta smentita dell’assunto teorico che la donna non soffra, ma che al contrario provi sollievo nel liberarsi del proprio figlio non nato. Anche se l’esistenza e la morte del suo bambino non sono riconosciute da nessuno attorno a lei, il legame che la lega a lui è totalizzante e traumatica ne è la rottura, anche se spesso le stesse pazienti non associano i sintomi della spa all’aborto.

È evidente che questo è quanto meno un rischio concreto che l’Ivg comporta e che mette fortemente in dubbio l’indicazione di interruzione volontaria al fine di salvaguardare la salute mentale e l’integrità psico-emotiva della madre. I fattori di aumento di rischio psicopatologico post-Ivg sono: a scadenza dei termini legali; in età adolescenziale; in età preclimaterica; successiva a: morte di un figlio; pregressa morte endouterina del feto; pregressa infertilità; a breve distanza temporale da un lutto; legata a decisioni particolarmente conflittuali (individuale e/o di coppia); a conclusione di una relazione affettiva; in presenza di marcato coinvolgimento emozionale.

Si avverte sempre più l’esigenza di attivare protocolli psicologici di intervento a sostegno della donna con difficoltà in gravidanza, atti al reale superamento delle problematiche che la portano a negare la propria maternità. A ciò si aggiunge la necessità di applicare in ambito ospedaliero un reale consenso informato che oltre ai rischi medico-chirurgici illustri anche il rischio psico-clinico post-Ivg. Si dovrebbero inoltre fornire, anche in fase di ricovero, degli “spazi psicologici” – di competenza della psicologia ospedaliera – miranti all’ascolto e al contenimento delle problematiche che motivano all’interruzione volontaria.

I dati presentati in questo lavoro si riferiscono all’attività di ricerca clinica effettuata in Italia e sono correlati con quelli di altri centri internazionali quali l’Association for interdisciplinary research in values and social change di Denver (Colorado Usa), l’University of Notre Dame di August (Minnesota, Usa), la Commissione di studio sulle conseguenze dell’Ivg del ministero della sanità inglese. Ciò, oltre a far riflettere sulla globalità delle problematiche connesse all’aborto volontario, evidenzia che quanto descritto e indagato con la ricerca scientifica non può che portare a un’unica conclusione, e cioè che l’Ivg non ha valenza di risoluzione, bensì è a sua volta causa di problematiche, anche gravi. (…) Tale presa di coscienza deve far superare le diversità di opinione di tipo ideologico riportando il confronto in un clima di onestà scientifica e di collaborazione-scambio dei protocolli e delle procedure atte alla prevenzione dell’aborto volontario.

Dario Casadei
Dirigente psicologo, ospedale di Mirano, Venezia

Interruzione Volontaria della Gravidanza (IGV)

Oggi in Italia qualsiasi donna può richiedere l’interruzione volontaria di gravidanza (IVG) entro i primi 90 giorni di gestazione per motivi di salute, economici, sociali o familiari. Dal 1978 questo intervento è regolato dalla legge 194, “Norme per la tutela della maternità e sull’interruzione volontaria di gravidanza”, che sancisce le modalità del ricorso all’aborto volontario. L’intervento può essere effettuato presso le strutture pubbliche del Sistema Sanitario Nazionale e le strutture private convenzionate ed autorizzate dalle Regioni. Negli ultimi 20 anni in Italia si è osservata una riduzione dell’IVG che trova giustificazione in un maggiore e migliore uso dei metodi anticoncezionali, a cui si aggiunge il ruolo sempre più decisivo svolto dai consultori familiari.

L’entità del fenomeno
Dopo un incremento iniziale dell’incidenza del fenomeno, fino a 234 mila IVG nel 1982 (pari a un tasso di abortività di 17,2 per 1000 donne in età 15-49 anni e a un rapporto di abortività di 380,2 per 1000 nati vivi), negli ultimi anni si è osservata una costante diminuzione, arrivando a 135mila IVG del 2000 (tasso di abortività pari a 9,6 per 1000 e 250,1 rapporto di abortività). Questo significa che ogni anno ci sono circa 100 mila interruzioni della gravidanza in meno rispetto ai primi anni Ottanta. Una riduzione che corrisponde a una variazione percentuale di –44% per il tasso di abortività e di –34% per il rapporto nell’arco di 15 anni. Clicca qui per consultare i dati del 2002.
L’incidenza del fenomeno è simile a quella di altri paesi dell’Europa nord-occidentale (i tassi di abortività variano da 6,5 per 1000 in Olanda a 18,7 in Svezia, vedi grafico2), e rimane molto inferiore rispetto a quanto avviene nei paesi dell’Europa orientale (che presentano spesso tassi intorno a 50 per 1000) e negli Stati Uniti (22,9 per 1000).

Ivg: i motivi di una scelta
Dagli studi sino ad oggi effettuati si è osservato che il ricorso all’IVG nella maggioranza dei casi non è una scelta, ma la conseguenza della incapacità concreta di regolare la fecondità con altri metodi. Oltre il 70% delle donne che abortiscono aveva usato un qualche metodo contraccettivo al momento del concepimento, prevalentemente il coito interrotto. L’aborto risulta più elevato fra le donne con figli, quelle con titolo di studio più basso e le casalinghe. La riduzione più consistente del fenomeno è stata osservata tra le donne coniugate, tra quelle di età compresa tra i 25 e i 34 anni e quelle con figli.

Ivg fra le donne immigrate
Negli ultimi anni si è evidenziato un aumento del numero di interruzioni volontarie di gravidanza richiesto da donne straniere immigrate in Italia. Infatti delle 138.708 IVG effettuate nel 1999, 18.806 (pari al 14%) hanno riguardato cittadine straniere, rispetto alle 9.850 registrate nel 1996.
L’apporto delle donne straniere al numero di IVG in Italia potrebbe essere la causa principale dell’attuale fase di stabilizzazione dell’incidenza del fenomeno. Infatti se si considerano solo le cittadine italiane l’aborto risulta essere ancora in diminuzione: 127.700 IVG richieste da donne italiane nel 1996 e 120.407 nel 1999, anni più attendibili perché i casi in cui manca l’informazione della cittadinanza sono pochi.

Rispondi