Quello schermo sempre acceso

Uno studio dell’Università “La Sapienza” conferma che i bambini dai sette agli undici anni vedono in media tre ore e mezza di televisione al giorno durante i giorni feriali, con punte che raggiungono anche le quattro-sei ore per il 24% dei bambini intervistati

Sono le 7:00. Una buia giornata di Novembre. Matteo, sette anni, si sveglia al terzo richiamo della mamma: si alza, si lava svogliatamente il viso, si veste intontito e si dirige verso la cucina per fare colazione. Li lo attendono il latte, i biscotti… La cartella è pronta sulla sedia. Matteo entra in cucina e la prima cosa che fa accende la TV perché a quell’ora danno i cartoni animati.

Arrivano le 7:50 e intanto anche il papà ha finito di prepararsi, sorseggia velocemente un caffè, aiuta Matteo, distratto dai cartoni, a indossare il cappotto, lo zaino e via verso la scuola.

La sera prima, a cena davanti al telegiornale, la mamma ed il papà gli avevano permesso di vedere insieme a loro “..quel film tanto divertente..”. “Dopo, però, subito a letto che domani devi andare a scuola!” aveva affermato il papà. “D’altronde, sono così poche le occasioni per stare insieme…che come fai a dirgli di no?” aveva pensato il genitore.

Dopo un po’ di peripezie nel traffico cittadino, Matteo arriva a scuola, saluta con un bacio il papà e tira fuori dalla tasca dello zaino della marca di moda (un cartone animato che è diventato un marchio di accessori per la scuola quali astucci, cartelle, etc.) un pacchetto di figurine “ispirate” ai cartoni animati da scambiare con Gabriele, il suo amico prediletto. Insieme parlano un po’ dell’ultima puntata dei “mostri tascabili” che hanno visto ieri pomeriggio alla televisione, rispettivamente ognuno a casa propria. Ora però sono le 8:30: la maestra richiama i bambini e inizia la lezione. Riprenderanno a ricreazione il discorso…

Questa situazione che, forse leggermente esagerata, si ripete più o meno in questi termini, quotidianamente, per migliaia di bambini, ci da l’idea di quanto pervasiva sia la televisione nel “mondo” dei nostri ragazzi.

Come riporta uno studio svolto in quattro quartieri di Roma da Oliverio Ferraris e collaboratori dell’Università “La Sapienza”, i bambini dai sette agli undici anni vedono in media tre ore e mezza di televisione al giorno durante i giorni feriali, con punte che raggiungono anche le quattro-sei ore per il 24% dei bambini intervistati. Il peso che ha la televisione sulla crescita e sull’apprendimento dei bambini è ormai un dato incontrovertibile sotto gli occhi di tutti, ma soprattutto degli educatori professionisti i quali hanno un punto di osservazione privilegiato sulle abitudini e sugli atteggiamenti dei loro piccoli allievi.

Il tema del rapporto bambino – TV è vasto e ricco di contenuti, oltre che molto complesso, per essere trattato esaustivamente in uno spazio ridotto. Nonostante ciò, volendo trattare in breve ma efficacemente l’argomento, lo possiamo fare considerando la televisione un “contesto di apprendimento”, ovvero uno degli ambienti attraverso il quale il bambino cerca di “capire il mondo”, come ha suggerito John Condry, psicologo americano e studioso della relazione televisione-bambino.

Sappiamo che crescere è un compito molto difficile. Il bambino cresce e si sviluppa grazie a complesse interazioni che avvengono tra lui e l’ambiente sul quale egli agisce e con il quale interagisce. L’ambiente dei bambini oggi è costituito dalla loro famiglia, dagli amici, dalla scuola e dalla televisione, la quale, presente dagli anni cinquanta, è diventata gradualmente e sempre di più un elemento centrale della famiglia. Questo, assieme a molti altri radicali cambiamenti che la società ha subito, può dare una prima parziale spiegazione alle diversità che i più anziani tra noi riscontrano tra i bambini contemporanei e quelli di solo uno o due decenni fa.

L’influenza che i diversi contesti di apprendimento hanno sullo sviluppo del bambino dipende da alcune variabili quali: l’età del bambino, il tempo che il bambino passa esposto ad ognuno di essi, la qualità degli stimoli che essi forniscono, la quantità e la qualità dell’interazione che c’è tra i vari ambienti di apprendimento, in termini di coerenza educativa.

Per quanto riguarda l’età del bambino e la sua relazione con il contesto “televisione”, è possibile affermare che l’attrazione che questo elettrodomestico sortisce sui piccoli può essere precocissima. I sistemi percettivi auditivo e visivo del bambino sono in grado di cogliere i suoni, i colori, i movimenti che il televisore trasmette già dal primo anno di vita. Le variazioni nel volume e nella tonalità dei suoni, la “luce tremolante del tubo catodico”, come la definiva McLuhan, provocano nel bambino, come nell’adulto delle “reazioni di orientamento” verso la fonte di stimolazione, che in questo caso è l’apparecchio televisivo. La reazione di orientamento è il precursore dello sviluppo dei successivi meccanismi dell’attenzione, ed è già presente alla nascita nelle prime ore di vita. Ciò rende l’idea di come la TV possa influenzare lo sviluppo di questa importante funzione cognitiva fin dalla nascita, quando il bambino, nella sua culla, ascolta le variazioni sonore provenienti dalla TV o, poco più grande, gioca assorto sul tappeto del soggiorno, distratto periodicamente dai richiami televisivi.

Con lo sviluppo, dal secondo anno di vita, migliora la capacità di discriminare le immagini ed i suoni al televisore, e dai sette migliora l’abilità di comprensione globale dei programmi, che fino a prima vengono percepiti in modo frammentato e disorganizzato, il che ci suggerisce ad esempio che di un testo filmico possano rimanere gli effetti negativi delle immagini a più alto impatto emotivo (ad esempio le scene di violenza) e non quelli positivi della “morale” della storia, collegata alla comprensione globale. Intorno ai dieci anni i bambini sviluppano pienamente, oltre alla capacità di comprensione globale dei programmi, la capacità di differenziare i contesti della vita reale dai contesti creati dalla TV (differenziazione realtà/finzione). Nonostante ciò questi ultimi esercitano ancora su di essi una notevole influenza soprattutto per il loro impatto emotivo e per la “ipersemplificazione” della realtà (es. ricorso a stereotipi tipo “il poliziotto”, “il prete”, “il medico”, “l’eroe”, “l’infermiera”, “il buono”, “il cattivo” ecc.) che rappresentano, la quale si adatta alla mente “semplice” dei bambini, e fornisce loro modelli comportamentali non sempre adeguati. Se l’ambiente presentato è anche molto simile a quello di vita naturale dei piccoli, la loro fiducia in esso aumenta per la sicurezza che esercita un ambiente conosciuto quale ad esempio quello della famiglia, come sanno molto bene i pubblicitari. Questi sono solo alcuni spunti sul versante bambino della particolare interazione bambino/ambiente costituita dal rapporto bambino-TV.

Sul versante ambientale, gli effetti che può sortire la televisione come ambiente di apprendimento, dipendono dagli obiettivi che la governano. Se tali obiettivi sono di tipo educativo, cioè finalizzati al miglior sviluppo del bambino, ben vengano perché possono essere di supporto al lavoro della famiglia e della scuola, se opportunamente programmati.

Nonostante molti buoni propositi però, sappiamo tutti che quello che spinge la macchina televisiva è l’audience, ovvero quell’indicatore mediante il quale è possibile stabilire, attraverso la statistica, quale trasmissione e emittente ha avuto più ascolti. Da ciò deriva il valore relativo di un programma, in termini di denaro incassato per far andare in onda uno spot durante la sua messa in onda.

I programmi per bambini sono molto appetibili per chi gestisce il “business” della pubblicità, vista la facile “manipolabilità” di questa tipologia di telespettatori. Ciò è dimostrato dal fatto che la maggior parte dei bambini a scuola possiede molte cose il cui acquisto gli è stato suggerito dalla televisione tramite la pubblicità, i cui messaggi sono abilmente inseriti e “contestualizzati” nei programmi che loro preferiscono, come ad esempio i cartoni animati. È esperienza comune che la televisione è un potente mezzo di persuasione non solo per menti ingenue come quelle dei bambini, ma anche per menti che dovrebbero essere maggiormente critiche, come quelle degli adulti. Questo accade per le caratteristiche intrinseche a questo media che permette, stimolando i meccanismi emotivi tramite il sapiente gioco immagini-suoni, di aggirare la razionalità. Ma la maggior parte di noi adulti non è cresciuto con la televisione, e ha potuto fare molte altre esperienze, cognitive e motorie, che vengono invece precluse attualmente a molti bambini, visti i massicci cambiamenti subiti negli ultimi decenni dalla struttura sociale e urbanistica delle città. Mi riferisco ad esempio al gioco all’aria aperta, al movimento, alla socializzazione nei cortili, nei giardini e nei parchi,  al rapporto uno a uno con l’adulto (genitore o nonno che sia), al confronto con la “Realtà”.

Per quanto attiene all’interazione tra i contesti di apprendimento, scuola e famiglie possono e devono avere un forte ruolo per ostacolare lo strapotere che la televisione ha sui nostri bambini, tramite l’educazione ad una fruizione attiva della televisione, cioè ad una sua utilizzazione programmata e consapevole.

Se da un lato la famiglia può dare il suo contributo maggiore nella gestione della “esposizione” dei bambini alla TV, supervisionando quando e quanto i bimbi si trovano di fronte al teleschermo, aiutandoli ad interpretare quello che vedono, aiutandoli a “scegliere” quello che devono vedere, programmando la visione con la guida TV e con l’ausilio del videoregistratore, dall’altro la scuola potrebbe promuovere la conoscenza critica di questo mezzo di comunicazione, tramite l’utilizzo didattico delle tecniche di comunicazione che la TV utilizza per rendere il più verosimile possibile la finzione, preparando ad esempio dei videoclip seguendo tutti i passaggi che chi programma un evento televisivo segue, con ad esempio la selezione di cosa dire e fare nel programma, come dirlo o farlo, incominciando ad indurre nei bambini la consapevolezza che ciò che ci propone la TV viene deciso dagli “uomini della TV”.

Un’altra attività didattica che può essere finalizzata alla conoscenza del mezzo e quindi alla sua visione consapevole, è la trasposizione di uno stesso testo letterario che i bambini hanno letto, in uno recitativo, poi visivo, audiovisivo, televisivo, con la disamina dei vari linguaggi che vengono utilizzati di volta in volta per trasmettere certi contenuti.

Anche l’analisi di un programma per bambini, con i suoi tempi, le sue pause, i suoi contenuti, è un utile strumento educativo e didattico, gestibile con un videoregistratore. Come insegniamo infatti al bambino ad essere un adulto adeguato al contesto reale, è dovere della scuola preparare i bambini ad essere fruitori “adeguati” di questo potente contesto di apprendimento che è la televisione.

 dott. Paolo Lindaver
Neuropsicologo clinico dello sviluppo

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