Il mondo di sofferenza nascosta

Che i comportamenti criminali siano strettamente correlati e indotti dall’ambiente di riferimento in cui i bambini crescono, è ormai risaputo. Testimoni di violenza o, ancora peggio, vittime di maltrattamenti e abusi, i bambini già nell’adolescenza tendono a manifestare la loro sofferenza sotto forma di aggressività. La situazione diventa ancora più delicata se la violenza subita è di carattere sessuale, anche questa purtroppo, il più delle volte conosciuta proprio tra le pareti della propria casa, che invece dovrebbero essere associate a luogo di rifugio e tranquillità. E’ proprio qui che vengono prodotti i traumi che poi accompagnerà le vittime lungo tutta la loro vita. ‹‹Non c’è abuso sessuale che non abbia conseguenze psicologiche, nessuno ne è escluso›› afferma Valentina Peloso, psicologa e psicoterapeuta che si occupa anche di abusi sui bambini. E anche nel comportamento dell’aggressore sono sicuramente rintracciabili delle motivazioni di carattere psicologico. L’abuso di un bambino innesca un fenomeno contaminante che rischia di imbattersi a sua volta su altre vittime alimentando un meccanismo degenerativo che tesse la tela di una società infelice e violenta. Gli aggressori di oggi molte volte sono stati vittime di ieri e creano a loro volta la generazione futura di altri aggressori. E’ infatti l’identificazione con l’aggressore una delle conseguenze possibili al trauma, che viene messa in atto soprattutto dagli adulti maschi, mentre le femmine tendono a mantenere il ruolo di vittima appreso, anche nelle relazioni interpersonali dell’età adulta. ‹‹Maggiormente prematura è la violenza, più gravi sono i danni – spiega la Peloso -. Le conseguenze dipendono poi anche dalla frequenza degli atti e dal numero dei personaggi››.

La violenza intrafamiliare

Dietro tutte le possibili maschere alle quali si può nascondere, la violenza è principalmente una questione di violazione di diritti umani. E’ questa la chiave di lettura proposta nel 1995 nella Conferenza mondiale delle donne di Pechino della quale si può facilmente cogliere la relazione tra l’apprendimento della violenza e i comportamenti lesivi di diritti indotti da esso. Altro binomio diffuso tra gli addetti ai lavori, è quello “violenza sulle donne – violenza sui minori”. ‹‹I due fenomeni sono strettamente correlati – spiega Daniela Gerin, ginecologa responsabile per l’Azienda sanitaria dei progetti contro la violenza sui minori –. Al di là di qualsiasi pregiudizio di genere, gli attori in entrambi i casi sono degli uomini››. Infatti, mentre la violenza sulle donne è riconducibile a un vero e proprio fenomeno di portata mondiale, al contrario, la violenza esercitata da donne sembra avvenga solo episodicamente, con un’incidenza insufficiente per poterne parlare in termini generali. Su 500 donne prese come campione, nell’ambito di un’indagine svolta a Trieste, ben il 10% ha detto di essere stata in passato vittima di violenza psicologica, fisica o economica. Il secondo tratto condiviso dalle violenze del binomio proposto è la natura intrafamiliare che riconferma, tra l’altro, il loro primo tratto comune, l’attore tipo, il cui identikit a questo punto diventa più chiaro: una figura maschile presente nel contesto familiare. Punto, quest’ultimo, discutibile qualora si volesse considerare violento anche l’atteggiamento passivo assunto dalle madri conniventi. Dietro il loro atteggiamento, secondo l’esperienza della Gerin, si nasconde spesso un’altra verità. ‹‹La figura va capita e analizzata – dice –. Molte vote si tratta di una donna che, a sua volta maltrattata e indebolita dalle violenze subite dal marito, ha modificato i suoi criteri che poi applica nel momento di difendere suo figlio››. La violenza nell’infanzia avviene in un mondo nascosto e negato, dalle dimensioni  non misurabili, che produce paura e vergogna. Rischio oggi molto diffuso, secondo i dati diffusi dal Centro del Bambino Maltrattato di Milano, è quello corso da figli di coppie separate, possibili pungiball di uno dei due genitori, mosso da sete di vendetta nei confronti dell’ex partner.

Per raggiungere le vittime mediante un sostegno che pervada gli ambienti caratteristici del loro percorso di crescita, risulta necessario creare delle forti sinergie assistenziali. Un esempio ne è il Malab di Trieste, un servizio integrato tra Aziende sanitarie e Comuni della provincia di Trieste che operano in sinergia con l’ospedale infantile Burlo, l’ufficio Servizi sociali del ministero di Grazia e Giustizia, il volontariato e, dal prossimo anno, anche con il ministero dell’Istruzione. Abusi e maltrattamenti gravi sono i suoi due ambiti occupazionali e secondo quanto riferito dalla dottoressa Odilia Bufon, nel 2004 i bambini seguiti sono stati ben 114: per 56 di questi è stata fornita consulenza mentre 58 sono stati presi in carico. Tra i casi seguiti 78 sono vittime di un abuso sessuale e di queste il 71,8% sono femmine. La fascia di età prevalente, sempre secondo quanto riferito dalla Bufon, è quella compresa tra i 6 e gli 11 anni. Oltre a fornire consulenza agli operatori dei distretti sanitari, il Malab valuta i casi segnalati dalla Magistratura, ascolta i bambini nell’apposita sala per l’audizione protetta, consiglia al tribunale in merito al momento più opportuno per sentire la vittima che per lo shock subito potrebbe non essere una fonte attendibile, organizza corsi di formazione e si impegna attivamente nella costruzione dell’indispensabile rete di solidarietà.

Daniela Bandelli

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