LA “LUCE” DEL POTERE

Le aree dedicate alla ricreazione diventano un’ottima occasione per mettersi in mostra prima delle elezioni. Ma poi bisogna gestirle ed evitarne il degrado, facendo in modo che non diventino spazi in cui concentrano piccola delinquenza e disordine sociale. Ma per fare questo occorre una sana e concreta opera di salvaguardia e controllo. 

In quel pomeriggio di anni fa, alla cerimonia d’inaugurazione del campo giochi rionale erano presenti le autorità competenti, il comandante dei Vigili di zona, giornalisti, operatori televisivi di emittenti locali e, ovviamente il parroco il quale, come vuole la tradizione, avrebbe provveduto non solo alla benedizione, ma persino alla celebrazione di una Santa Messa con l’uso di un simpatico altare un po’ improvvisato sulle prime gradinate del campo.

Taglio del nastro tricolore, discorsi delle Autorità, compiacimenti, ringraziamenti, scambi di inchini, strette di mano e applausi finali all’immancabile bambina con il mazzo di fiori per il Parroco. Il tutto si era svolto come in un film della fortunata serie  di «Don Camillo e Peppone», tratta dai romanzi di Guareschi. Mancava solo l’accompagnamento musicale della «banda del partito», orrendamente diretta dallo stralunato «Smilzo», e il tutto sarebbe stato secondo copione.

Da quel giorno non è passato tantissimo tempo ma, da come il campo giochi si presenta oggi, sembra sia trascorso un secolo. Non è il caso di iniziare un elenco di danni alle attrezzature e di lordature dei muri da parte degli artisti della bomboletta. Ogni lettore sarà in grado di intuirli e comunque di immaginarli «in linea» con altri casi analoghi.

Dopo alcuni anni, la gente del rione ha protestato per la totale mancanza d‘illuminazione dell’area giochi e per gli schiamazzi dei ragazzi più grandi durante le partite a pallone prolungate fino a tarda sera. Tra gli abitanti serpeggiava anche una certa preoccupazione, in quanto erano state rinvenute siringhe e altri “arnesi” in uso tra i tossicodipendenti. A tutto questo il Comune ha provveduto in modo “esemplare”. Se credete che abbia mandato dei Vigili per  ronde nelle ore a rischio vi state sbagliando. Sarebbe stato forse troppo costoso o, molto più probabilmente, impossibile. Probabilmente giustificando il disservizio a causa del sempre scarso numero di Vigili urbani disponibili dopo le 22.

La soluzione adottata è stata impiantare un numero esagerato di lampioni che ora illuminano a giorno tutta l’area. Questi non hanno alcuna copertura sulla parte superiore che permetta di riflettere la luce verso il basso, per cui illuminano il cielo (?) e le case che li circondano, obbligando gli abitanti a chiedere le finestre anche nelle afose notti estive. Non solo, ma questa luminaria hollywoodiana continua ovviamente per tutta la notte, con un conseguente spreco energetico. Però ora, grazie a questa economica, si fa per dire,  e “luminosa” soluzione, gli schiamazzi non durano più fino a tarda sera, ma bensì tutta la notte e le “vene” finalmente si trovano meglio. Eppure l’idea di partenza era giusta e fondamentale per i minori presenti nel rione popolare.

I fatti fin qui descritti ricordano in un certo senso alcuni aiuti “a perdere” verso le popolazioni del terzo mondo. “Non portiamo loro del pesce, istruiamoli a pescarlo”: questo è il concetto corretto del vero aiuto. Certo, nei casi d’una emergenza umanitaria dovuta a una catastrofe naturale o ad altre imprevedibili circostanze, porgere a piene mani tutto quello che possiamo è fondamentale alla sopravvivenza.  Ma non risolviamo  i loro problemi secolari aumentando il debito nei nostri confronti.

Il concetto è molto aderente anche nelle iniziative che vedono gli amministratori locali quali generosi erogatori d’interventi a pioggia. Questo denaro pubblico ha però un sacrosanto diritto: quello di essere salvaguardato dallo stesso munifico erogatore.

Non basta inaugurare una struttura e darla in «omaggio» al popolo che se la gestisca. Il giardino condominiale è di tutti ma… anche di nessuno. Se curato da tutti diventa un guazzabuglio botanico e se non curato, una jungla di sterpi. Ci vuole un giardiniere, oppure un condomino che si prenda la responsabilità di gestirlo nel migliore dei modi a lui possibile.

La stessa cosa dovrebbe avvenire anche con le architetture urbane e in particolar modo in quelle dedicate ai minori. Un gestore, un guardiano del bene comune, che provveda a correggere con garbo certe male abitudini e che, a una determinata ora della sera, chiuda il campo giochi e le sue luci hollywoodiane, è come minimo auspicabile.

Al termine della sorveglianza il testimone e le relative responsabilità passerebbero a quelle autorità competenti che tempo prima si erano messe in bella vista durante l’inaugurazione. Se così non avviene, invece, negli abitanti del rione può sorgere un piccolo dubbio. Che sia stato solo un gesto «umanitario» pre-elettorale?

La concretezza della salvaguardia delle opere pubbliche e delle strutture architettoniche destinate ai minori può sciogliere il dubbio, ma non operando in tal senso il «giardino condominiale» diventa una jungla. Terreno fertile per certe male piante che possono prendere il sopravvento sui germogli più deboli ma sani causando pesanti risvolti sociali, decisamente più costosi di una pattuglia di Vigili urbani.

 

Davide Bordon
Architetto

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