La passività e l’attività dell’eutanasia

secondo la Dichiarazione della S. Congregazione per la Dottrina della Fede, s’intende: “un’azione o una omissione che di natura sua, o almeno nelle intenzioni, procura la morte allo scopo di eliminare ogni dolore.”

Eutanasia in greco antico significa “buona morte”, cioè l’intervento medico volto a ridurre l’agonia di un malato terminale.  Con il tempo il significato della parola “eutanasia” e andato piano piano modificandosi per cui oggi esso è divenuto l’intenzione di una azione o di una omissione che procura la morte allo scopo di eliminare ogni dolore e di terminare una vita privata della sua dignità. Da non confondere con l’accanimento terapeutico che rappresenta l’attuazione di mezzi terapeutici e tecnologici attivati per tenere in vita una persona con solo funzioni puramente vegetative in soggetti già cerebralmente morti.

Ma la “buona morte” può essere ricercata attivamente ma anche passivamente. L’eutanasia passiva è la facilitazione nell’evoluzione della fine della vita attraverso omissioni di terapie e metodiche e disponibilità tecnico-professionale nei malati terminali. Secondo il punto di vista della giurisprudenza occidentale un atto di eutanasia passiva viene considerato tale da parte di un sanitario o di una struttura sanitaria solo quando la sospensione del trattamento nel malato terminale è dovuta alla manifestazione di volontà da parte del paziente, altrimenti l’omissione verrebbe rubricata come omicidio volontario. L’eutanasia attiva prevede invece la messa in atto di mezzi idonei a sopprimere direttamente la vita. Essa è stata ritenuta legale nella legislazione degli Stati dell’Australia Settentrionale, è permessa in Giappone dal 1997 secondo precise regole stabilite nei codici di quel Paese. Nella Svizzera e da qualche anno e in Belgio e in Olanda dal 2002 «la dolce morte» può essere assistita e pilotata dai medici su richiesta esplicita del paziente. Da allora questi paesi si trovano alla frontiera dei delicati equilibri tra convinzioni etico-religiose, diritti dell’individuo (in questo caso il malato) e responsabilità sociali (dottori e ospedali).

Anche nel resto del mondo ci sono opinioni al riguardo in veloce evoluzione.   In Danimarca i parenti del malato possono autorizzare l’interruzione delle cure. In Svezia l’eutanasia è depenalizzata. In Belgio il 25 ottobre 2001 il Senato ha approvato, con 44 voti favorevoli contro 23, un progetto di legge volto a disciplinare l’eutanasia.  In Germania il suicidio assistito non è considerato reato, purché il malato sia cosciente delle proprie azioni. In Olanda dal 1994 l’eutanasia è stata depenalizzata: rimaneva un reato, tuttavia era possibile non procedere penalmente nei confronti del medico che dimostrava di aver agito su richiesta del paziente. Il 28 novembre 2000 il Parlamento ha approvato (prima nazione al mondo) la legalizzazione vera e propria dell’eutanasia, legge entrata in vigore recentemente.Come già detto i Territori del Nord dell’Austrialia hanno legalizzato nel 1996 l’eutanasia attiva volontaria, provvedimento annullato due anni dopo dal parlamento federale. In Svizzera è ammesso il suicidio assistito. Il medico deve limitarsi a fornire i farmaci al malato. In Cina una legge del ’98 autorizza gli ospedali a praticare l’eutanasia passiva ai malati terminali. In Colombia la pratica è consentita in seguito ad un pronunciamento della Corte Costituzionale, ma una legge non è stata mai varata. Negli stati Uniti la normativa varia da stato a stato nello stato dell’Oregon il malato può richiedere dei farmaci letali, ma la relativa legge è bloccata per l’opposizione di un tribunale federale

La medicina ha fatto grandi progressi e l’eutanasia in generale è diventato un problema della nostra società, di cui si discute apertamente. Secondo gli ultimi dati forniti, solo nel 1999 in Olanda sono stati più di duemila i suicidi assistiti o i casi di eutanasia denunciati alle autorità, ma secondo la Società di volontariato per l’ eutanasia, i dati reali sarebbero circa il doppio. Una recente inchiesta ha inoltre dimostrato che l’ 85% degli olandesi è favorevole alla legalizzazione dell’ eutanasia per quei casi di “grave sofferenza” fisica, mentre la maggioranza (circa il 57%) pensa che anche i malati colpiti da gravi sofferenze psicologiche possano scegliere se mettere fine alla loro vita. Anche in Italia i dati sono significativi: i giovani del nord dicono che essa è: un atto moralmente inaccettabile (55%), un atto da approvare perché pone fine al dolore (31 %), l’ ultimo gesto da accordare ad un malato terminale (9%), altro (3%), non risponde (2%). Quelli del sud rispondono: un atto moralmente inaccettabile (33%), un atto da approvare perché pone fine al dolore (62%), l’ ultimo gesto da accordare ad un malato terminale (2%), altro (1%), non risponde (2%).

Il problema dell’eutanasia non investe quindi soltanto il singolo ammalato, che ha il diritto di decidere del proprio corpo, e gli operatori sanitari, che hanno l’obbligo di procedere nella cura della malattia, ma riveste anche un aspetto giuridico che riguarda sia il legislatore che le commissioni per i diritti dell’uomo e dell’ammalato.

 Ivana Milic

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