I padri servono ad uno sviluppo equilibrato

L’intervento di Maddalena Provini (pres. Commissione provinciale  Cultura-Solidarietà Sociale-Pari Opportunità): “sulla scorta dell’esperienza americana e di quella maturata in alcuni paesi europei, sono stati introdotti anche nel nostro ordinamento l’affidamento congiunto e l’alternato, i quali hanno molti limiti”. 

La separazione rientra tra le possibili trasformazioni dell’esperienza di vita di una coppia di adulti e della loro quotidianità, in particolare se questi hanno figli.

La legge che ha introdotto il divorzio nel nostro ordinamento ha fissato un criterio guida per il giudice in tema di affidamento dei figli: quello della preminenza del loro interesse morale e materiale. Con la successiva legge di riforma del diritto di famiglia ( legge 21 maggio 1975 n.151 ), il medesimo principio viene introdotto anche in materia di separazione.

l giudice nello scegliere il genitore al quale affidare i figli deve tener presente solo ed esclusivamente la posizione dei figli, il loro interesse, le condizioni migliori per lo sviluppo della loro personalità. L’affidamento è inteso quale riorganizzazione di un modello di comunità familiare in cui il minore possa venire educato e realizzare il proprio diritto alla formazione ed alla crescita della sua personalità.

La tipologia di affidamento più praticata nelle aule di tribunale è l’affidamento monogenitoriale.

Eppure la nostra Costituzione all’art. 30 stabilisce che “è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio”.  Recentemente, sono state firmate in Europa risoluzioni e convenzioni sui diritti dei bambini che fanno riferimento, in caso di separazione o divorzio dei genitori, al “diritto di mantenere contatti diretti e permanenti con i due genitori”, che hanno gli stessi doveri. Inoltre “il fanciullo deve essere ascoltato specialmente in tutti quei procedimenti e decisioni che implichino la modifica dell’esercizio della patria potestà, la determinazione della tutela e dell’affidamento…”.

Sulla scorta dell’esperienza americana e di quella maturata in alcuni paesi europei, sono stati introdotti anche nel nostro ordinamento l’affidamento congiunto e l’alternato, i quali hanno molti limiti. L’affidamento ad un solo genitore, che nella prassi italiana, rappresenta la regola, potrebbe non soddisfare il principio dell’ “esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale” dei figli. Questi, infatti, hanno esigenze diverse e desiderano la presenza di entrambi i genitori anche in seguito ad una separazione o ad un divorzio.

Gran parte dei problemi associati all’affidamento dei figli nascono dalle difficoltà dei genitori a superare il processo di separazione. Inoltre la separazione dei genitori avviene, in genere, dopo un lungo periodo di relazioni conflittuali, che possono avere un impatto anche forte sull’equilibrio psicologico dei figli. I figli coinvolti nelle separazioni sono stati più volte definiti “a rischio”, e il livello di problematicità è tanto più alto quanto minore è l’età dei figli coinvolti.

Si è visto, peraltro, che la maggior parte dei minori coinvolti nelle separazione dei genitori ha un’età inferiore a 11 anni.

La tendenza a ritenere il padre poco competente sul piano affettivo ed emotivo è stata smentita da molti studi recenti. Le ricerche affermano non solo che il padre è in grado, nell’attuale società, di rispondere alle esigenze affettive e protettive dei figli, ma anche che questi abbiano bisogno di avere un riferimento educativo paterno per una crescita ed uno sviluppo equilibrato.

La possibilità di stabilire l’affido congiunto, prevista dalla legge 74 dell’86, ha oggi un applicazione su valori che rimangono ben al di sotto del 5%. In effetti risulta di possibile attuazione per quelle coppie che sono state in grado di elaborare la separazione centrata sulla condivisione dei compiti genitoriali. Sono adulti che sanno controllare gli effetti distruttivi del conflitto e sanno mantenere intatta la stima reciproca al di là del fallimento del progetto matrimoniale, capaci di mantenere aperto quel canale di comunicazione, quel dialogo continuo sui figli, che permette ai figli stessi di muoversi tra l’ambiente materno e quello paterno sentendosi protetti da una continuità di pensiero.

E’ da dire che questa forma di accordo è più adeguata a famiglie separate con figli già abbastanza autonomi ma è meno funzionale quando i bambini sono nella prima infanzia ed ancora hanno da stabilire un legame sicuro con il secondo genitore.

L’affido alternato è una possibilità residuale poiché il più delle volte si arriva alla separazione coniugale in una situazione esacerbata, in cui il conflitto è dilagato fino ad investire anche le relazioni genitoriali e le dinamiche tra genitori e figli, situazioni in cui i bambini sono testimoni spaventati di umiliazioni e perdita di rispetto per l’altro.

La loro condizione diviene quella di ostaggi in balia della guerra degli adulti.

E’ vero ci sono molti padri separati che si trovano ad essere esclusi dalla vita quotidiana dei figli, o si vedono relegati ad essere il “padre della domenica”. Come ci sono padri che faticano a far quadrare il proprio bilancio personale per la partecipazione al mantenimento dei figli, ma questo dipende da un generale impoverimento di risorse in cui incorrono entrambi, sia uomo che donna, in primis in quanto necessaria la doppia abitazione.  Ma risulta che il 30% dei padri a due anni dalla separazione non contribuisce al loro mantenimento.

 Non si intende perorare la causa della maternità come elemento essenziale della vita delle donne: ma è certo che la maternità ha una connotazione in termini di abilità gestionale e di legame di attaccamento con i figli ben diversa dalla paternità, che la stessa psicologia dello sviluppo colloca in fasi successive della vita dei bambini.

Senza nulla togliere ai diritti dei padri, è chiaro che tutto si gioca nell’ambito della correttezza dei rapporti tra gli ex coniugi : se esiste civiltà e comprensione, anche l’affido unico non genera alcuna ritorsione. Rimane comunque necessario recepire questa tendenza che trova riconoscimento anche dal richiamo agli stati membri, della Convenzione di New York, del 1989, sui diritti del minore nella situazione di separazione personale dei coniugi ad essere cresciuto ed educato da entrambi i genitori, quale diritto alla “bigenitorialità” e ben venga che il concetto di “responsabilità genitoriale”, si sostituisca al concetto ormai superato e in sé limitato di “potestà genitoriale”.

L’affidamento congiunto richiede una certa maturità da parte dei coniugi, poiché essi devono assumersi tutte le problematiche relative all’affido, e devono possedere idonee capacità parentali e di collaborazione reciproca. Il limite sta nel fatto che è possibile ricorrere all’affido congiunto se non si verificano, contemporaneamente, alcune condizione quali l’esistenza di un accordo tra i coniugi, e quindi bassa conflittualità tra di loro, la vicinanza degli alloggi, un’età levata dei figli e la mancanza di ostacoli abitativi o lavorativi.

L’affidamento congiunto presuppone inoltre un esercizio congiunto della potestà, per cui ogni decisione riguardante i figli coinvolge entrambi i genitori, che si assumono uguali responsabilità nello sviluppo dei figli e nella continuazione del progetto educativo. Inoltre è prevista una libera convivenza del minore con l’uno o con l’altro dei genitori.

Il minore avrebbe il diritto, anche in seguito alla separazione dei genitori, di mantenere un “rapporto equilibrato e continuativo” con loro, di “ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi” e di mantenere rapporti con ascendenti e parenti. Il giudice potrebbe disporre l’affidamento ad entrambi i genitori avendo come “esclusivo riferimento” l’interesse morale e materiale dei figli.

Solamente in casi di grave motivo, in presenza di un pregiudizio per il minore, il giudice potrebbe disporre l’affidamento a terzi. In casi particolari, il giudice potrebbe inoltre stabilire un affidamento esclusivo ad un genitore.

Un aspetto importante è che i genitori non potrebbero rinunciare all’affidamento, ne’ eludere gli obblighi ad esso associati, qualora il giudice avesse stabilito che ci siano i presupposti per questa tipologia di affidamento.

La potestà verrebbe esercitata, per le questioni di maggior rilievo, da entrambi i genitori che manterrebbero così la piena responsabilità nei confronti dei figli, e prenderebbero in modo congiunto le decisioni più importanti nei loro riguardi.

 Per le questioni di ordinaria amministrazione, la potestà genitoriale verrebbe  a configurarsi come una potestà distribuita, con un insieme differente di compiti da attribuire ad entrambi i genitori.

Essi potrebbero esercitare la potestà in modo separato, sulla base di aree differenti di competenze, e il giudice valuterebbe la passata esperienza dei genitori, le loro attitudini e capacità, il grado di possibile collaborazione, e le indicazioni fornite dai figli.

L’assegno di mantenimento assumerebbe un’importanza secondaria, proprio perché entrambi i genitori contribuirebbero direttamente, per capitoli di spesa e in base al proprio reddito, alle esigenze patrimoniali.

Se i redditi fossero diversi, uno dei genitori potrebbe usufruire di un’ eventuale conguaglio per soddisfare il principio di proporzionalità. I criteri per l’assegnazione della casa familiare dovrebbero privilegiare la necessità di ridurre al minimo il disagio per i figli. In questo senso, i genitori dovrebbero impegnarsi a fissare e a mantenere la propria dimora in abitazioni tra loro facilmente accessibili.

Questo tipo di impegno dovrebbe seguire, in generale, i doveri dei genitori verso i figli, che prevedono anche l’obbligo di non ostacolare il diritto dei figli di ottenere simili prestazioni da parte dell’altro genitore.

Le possibili ricadute dell’utilizzo dell’affido condiviso possono essere diverse. Anzitutto, dovrebbe essere favorita una crescita più armoniosa dei figli, poiché entrambi i genitori sarebbero presenti senza peraltro sovrapporsi nelle competenze e nelle funzioni educative svolte.

 La condivisione della responsabilità dei genitori potrebbe quindi avere un impatto positivo sul benessere dei figli. In secondo luogo, potrebbe essere recuperata la figura del padre che, nella maggior parte delle pratiche di separazione e divorzio con affidamento esclusivo alla madre, tendeva a rimanere sullo sfondo, se non addirittura assente.

Il genitore che non convivesse in prevalenza con i figli parteciperebbe direttamente alle spese sostenute dall’altro genitore, evitando così possibili conflitti dovuti a ricorso agli assegni familiari.

 

Maddalena Provini (Presidente Commissione Provinciale Cultura-Solidarietà Sociale Pari Opportunità Udine)

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