“La mia vita da figlio di Desaparecidos”

di Ana Gabriela Pereyra

Ignacio Guido Montoya Carlotto è stato uno dei tanti bambini affidati a famiglie adottive durante la dittatura argentina. Figlio di oppositori politici, oggi è uno dei pochi che ha potuto ricongiungersi con la propria famiglia e con la propria storia.
In questa intervista esclusiva racconta la sua esperienza

ignacioCiao Ignacio. Raccontami come stai e chi sei oggi. Cosa significa trovarsi tutto ad un tratto in una nuova vita a 37 anni?
In realtà non sono una persona diversa. Di fatto, mi ritrovo in questa situazione con un’identità già formata. Sapevo già chi ero, cosa volevo, chi volevo essere nella vita, chi volevo ci fosse nella mia vita, avevo i miei valori, ecc. Oggi la mia vita è un insieme importante di cose che prima mi mancavano. Ciò che è successo somma, aggiunge, non sostituisce.

Da quando sei a conoscenza del fatto che non eri il figlio biologico dei genitori che ti hanno cresciuto?
L’ho saputo poco tempo fa, il giorno del mio compleanno, il 2 giugno di questo anno (2014, ndr). Dopo, tutto è avvenuto rapidamente ed è diventato di pubblico dominio.

Come hai deciso di avvicinarti al gruppo delle Abuelas De Plaza De Mayo e perché? Avevi dei sospetti o dati concreti sulla possibilità di essere figlio di Desaparecidos?
Conoscevo da tempo la causa delle Abuelas. Partecipavo come musicista a diverse loro attività. Ho sempre cercato di apportare il mio contributo, sfruttando le mie doti musicali ed artistiche, per cercare di diffondere la causa del gruppo, aiutando così la ricerca dei familiari desaprecidos. Non immaginavo fosse una causa che mi riguardava così da vicino.

Conoscevi il problema della sottrazione di neonati durante l’operazione Condor?
Ho cominciato a saperne di più prendendo coscienza della storia del mio Paese. Ho frequentato il liceo negli anni ’90 ed allora, nei programmi scolastici, la dittatura veniva toccata in modo molto superficiale, senza approfondimenti, né dati. Quando iniziai l’Università, ebbi la fortuna di trovare docenti che evidenziavano la brutalità del regime. Lì sono venuto a conoscenza dei primi dettagli sull’operazione.

Cosa hai provato quando hai scoperto la tua vera identità?
Per qualche giorno non ho realizzato. In realtà, non so se nemmeno ora l’ho fatto. Provo una grande gioia perché ho ritrovato la mia famiglia e perché, nella mia vita, unisco due grandi famiglie. Ora ho tre famiglie. Provo gratitudine, quello provo.
Estela de Carlotto, tua nonna, come tutte le Abuelas, e la tua famiglia biologica, hanno basato la loro vita sulla ricerca continua e incessante.

Che sentimenti provoca in te la loro battaglia?
Le nonne, Abuelas, sono un esempio di perseveranza e di un ideale fondato sull’amore e sulla ricerca della verità, con la speranza che, ciò che cercano con tanta partecipazione, prima o poi arrivi.

Com’è stato ritrovarsi o, meglio, trovarsi con la famiglia Carlotto?
Inizialmente un po’ complicato, poi bellissimo. Tutti provavano una forte tensione, accumulata in anni di ricerca. Dopo i primi momenti, però, tutto ha trovato una sua strada naturale, la normalità di una famiglia qualunque, uguale a tutte le altre.

La ricerca della tua identità ha reso possibile l’apertura di un’altra porta, quella della tua famiglia biologica paterna, i Montoya, che non sapevano che esistessi. Com’è stato per loro e per te il primo incontro?
Non meno toccante, né meno meraviglioso che con i Carlotto.
A causa della popolarità della nonna Estela, coloro i quali non hanno seguito la vicenda nei particolari pensano che il ricongiungimento sia avvenuto solo con la famiglia materna, i Carlotto. Ma entrambe le famiglie erano impegnate nella ricerca e l’incontro è stato emozionante e bellissimo anche con la mia fa- miglia del Sud, la mia famiglia paterna, i Montoya.

In che cosa ti identifichi con loro, con la famiglia materna e con la famiglia paterna?
In molto con entrambe. È molto bello trovarmi di fronte a degli specchi nei quali potermi guardare. Il timore iniziale era proprio quello di non trovare questi specchi. Adesso mi sento molto sereno.

Cosa provi per i tuoi genitori, Laura ed Oscar, ora che, in effetti, stai cominciando a conoscerli?
Li rivedo in tutti i parenti, nei miei cugini, nei miei zii. In un certo modo, li sento vivi.

La scoperta della tua origine biologica ha cambiato la tua quotidianità? Come vedi il tuo futuro?
La mia quotidianità è cambiata in modo sostanziale e so che molte cose non saranno più come prima. Nel mio futuro mi aspetto una vita piena, potendomi godere tre famiglie, mia moglie e ciò che mi piace e che faccio da sempre, la musica.

Che valore attribuisci alla Memoria riguardo ai fatti accaduti durante le dittature latinoamericane?
Il valore da me attribuito è totale. Senza la Memoria corriamo il rischio di ripetere gli stessi errori del passato. In questo senso so che, come popolo, siamo sulla strada giusta.
L’Argentina sta, infatti, perseguendo la strada della verità e della giustizia, processando i responsabili dei crimini contro l’umanità commessi durante la dittatura e l’operazione Condor.

Cosa pensi del fatto che, nonostante il ripristino della Democrazia, si siano verificati ulteriori casi di sparizione, come quello di Jorge Julio Lopez, desaparecido nel settembre del 2006?
Da quanto ho potuto vedere, riferendomi anche agli altri Paesi insanguinati dalle dittature, sono ottimista sul lavoro portato avanti in Argentina. Tuttavia, fatti come la sparizione di Jorge Julio Lopez, avvenuta in piena Democrazia, ci impongono di mantenere sempre alta la soglia dell’attenzione.

Quale messaggio senti di trasmettere a chi potrebbe nutrire dubbi sulla propria identità?
Sento di consigliare loro di cercare, domandare, di non avere paura. La più crudele delle verità è infinitamente migliore della più dolce delle bugie.

In conclusione, che messaggio ritieni fondamentale lasciare oggi?
È importante garantire una corretta informazione e mantenere viva la Memoria. Iniziative come questa di SocialNews aiutano molto.

Ignacio Guido Montoya Carlotto, nipote della presidente delle “Abuelas de Plaza de Mayo”, Estela de Carlotto, venne ritrovato dopo 36 anni. I suoi genitori, Laura Carlotto e Oscar Montoya, furono incarcerati, uccisi e Desaparecidos nel 1976, durante la dittatura militare argentina. È il nipote ritrovato n. 114. Poche settimane dopo il suo ritrovamento è stata recuperata la nipote n. 115. Tuttavia, mancano all’appello ancora 400 bambini desaparecidos, oggi, ormai, uomini e donne vittime del terrorismo di Stato perpetrato in Argentina tra il 1976 e il 1983.

di Ana Gabriela Pereyra
Coordinatore Nazionale di @uxilia Onlus.

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