L’ombra di Caino

Il rifiuto della pena di morte è radicato per noi nel pensiero nonviolento, il quale si propone di realizzare alternativa etica ed un’innovazione politica basandosi sulla coerenza tra mezzi e fini e sul concetto di cittadinanza umana (per i Cristiani, sul Vangelo, di giustizia e di pace).

Accogliere e dissipare l’ombra di Caino
Il rifiuto della pena di morte è radicato per noi nel pensiero nonviolento, il quale si propone di realizzare un’alternativa etica ed un’innovazione politica basandosi sulla coerenza tra mezzi e fini e sul concetto di cittadinanza umana (per i Cristiani, sul Vangelo, di giustizia e di pace).
Affermare la civiltà del diritto
Viviamo immersi in conflitti che possono diventare sfide innovatrici. La pace è la trasformazione nonviolenta dei conflitti. È possibile farlo se c’è reversibilità, se si può fare ciò che può essere disfatto, visto che potremmo sbagliare (Johan Galtung, Pace con mezzi pacifici, Milano 2000). È il primo passo per affermare la civiltà del diritto. La pena capitale, infatti, oltre ad essere irrevocabile, costituisce una violazione dei principi di uguaglianza e libertà sanciti dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. Il rispetto di questi diritti è bene comune universale. L’abolizione della pena di morte è garanzia di umanità per tutti. È liberazione dall’ideologia sacrificale ed espiatoria che avvelena culture e religioni. Lo intuiva bene Beccaria, anticipando René Girard. La pena di morte è “un sacrificio umano” commesso per rassicurare le paure di alcuni e rafforzare il potere di pochi. L’esperienza ha, inoltre, dimostrato che la pena di morte è priva di utilità, non costituisce un deterrente e non procura sollievo ai parenti delle vittime. Anzi, la sua perversa suggestione imitativa brutalizza tutta la società. Grande è stata la mobilitazione di milioni di persone dall’epoca di Sacco e Vanzetti ad oggi, con Sakineh ed Asia Bibi, dalle adozioni di condannati a morte, per opera soprattutto di Amnesty International, alle indagini di commissioni d’inchiesta. Famosa quella istituita nel 2003 da Georges H. Ryan, allora governatore dell’Illinois, il quale, in base allo sconvolgente rapporto finale, sospese ben 164 esecuzioni. L’indagine portò alla luce che molti condannati erano stati rappresentati da avvocati indegni, allontanati dalla professione, che più dei due terzi erano afroamericani giudicati da giurie costituite esclusivamente da bianchi e che determinanti per l’esito del processo erano stati testimoni non attendibili (vedi Scott Turow, Punizione suprema. Una riflessione sulla pena di morte, Milano 2003). Un episodio oggi da chiarire è quello denunciato dall’organizzazione britannica “Reprieve” a proposito di un’azienda italiana che produce ed esporta negli Stati Uniti scorte di Pentotal, utilizzato in tutti i protocolli di iniezione letale. Il sostegno alla campagna perché la UE non venda veleni per la pena di morte negli Usa (e altrove) è dovere di tutti.
L’ombra di Caino
Tonino Bello, vescovo di Molfetta e presidente di Pax Christi dal 1985 al 1993, riteneva essenziale accogliere l’ombra di Caino per dissiparne lo spirito. Il testo biblico è forse «il più antico dettato costituzionale sulla nonviolenza». Rivela che «ogni omicidio è un fratricidio». La fratellanza, visibile in due esemplari, introduce inevitabilmente la differenza di cultura e di culto, l’unità nella diversità. Dio mette in guardia Caino dal pericolo dell’odio, “accovacciato” alla porta. Invita a dominarlo accettando la differenza. La violenza entra in lui perché non riesce ad accogliere la diversità. Dio si rivela come colui che custodisce il fratello e lo offre alla mia attenzione perché io, a mia volta, sono custodito da Dio. In ogni caso, «la vita fallita di Caino è proprietà di Dio e non viene da lui abbandonata. Non si rimedia a una morte aggiungendo altre morti. Dio riserva a sé il diritto alla vita» (T. Bello, Dissipare l’ombra di Caino. Appunti sulla nonviolenza, Molfetta 1996, pp. 14, 18, 19). Da qualche anno, le religioni concordano sul fatto che la violenza sia male e bestemmia, se commessa in nome della religione. Ma i fondamentalismi sono diffusi e tenaci, creano capri espiatori, proiettano fuori di sé l’ombra di Caino. In mezzo ad incertezze e contraddizioni, si comincia a capire che la prima verità da difendere è la dignità della persona umana. Nella Chiesa cattolica ci sono le premesse per il superamento dell’attuale dottrina che ammette, sia pure in casi estremi e rarissimi, la pena di morte (Catechismo n. 2266), visto che si afferma anche «il dovere di ricorrere a vie alternative» (n. 2267). Lo gridava Giovanni Paolo II nel 1979: “Proclamo, con la convinzione della mia fede in Cristo e con la coscienza della mia missione, che la violenza è un male, che la violenza è inaccettabile come soluzione dei problemi, che la violenza è indegna dell’uomo”. Su tale argomento è bene recuperare le esperienze di giustizia riconciliativa o ricostituiva sviluppatesi soprattutto in Africa e Sud America, seguendo l’idea contenuta nel titolo del libro di Desmond Tutu, Non c’è futuro senza perdono (2001). Nelle “commissioni per la riconciliazione nella verità e nella giustizia”, la partecipazione al dolore accompagna il riscatto della dignità e la ritessitura paziente dei rapporti. La fiducia che ogni persona sia in grado di intraprendere un nuovo corso testimonia la fede in un futuro umano.

Sergio Paronetto
Vicepresidente di “Pax Christi” Italia

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