Il coraggio di “osare” il futuro

Una recente ricerca condotta del Centro Internazionale Studi Famiglia di Milano rileva che il fenomeno della convivenza nasce dall’incertezza dei giovani verso il futuro, dalla paura del “per sempre”, da una visione dell’amore identificata nei sentimenti, per loro natura precari e mutevoli.

Sono in aumento le coppie di fidanzati che decidono di convivere per un certo tempo prima di sposarsi in chiesa; la loro presenza nei percorsi di preparazione al matrimonio cristiano è sempre più numerosa e nel nord Italia è ormai oltre il 50%. È una situazione che sta interrogando la pastorale familiare; nel Convegno nazionale che si terrà a Cotronei (KR) dal 24 al 28 giugno p.v. questa tematica è affidata a uno dei 10 laboratori. Volendo sintetizzare in poche parole la posizione attuale della Chiesa, potrei dire che essa accoglie con la massima disponibilità queste coppie nei percorsi di preparazione al matrimonio e le accompagna nel cammino di maturazione verso una scelta consapevole del matrimonio cristiano; nello stesso tempo la Chiesa non si rassegna troppo facilmente di fronte al diffondersi di questo fenomeno, cerca di comprenderne le cause e di prevenirlo con un’azione educativa che va collocata molto prima del matrimonio, già nell’adolescenza.

1. Una recente ricerca condotta del Centro Internazionale Studi Famiglia di Milano rileva che il fenomeno della convivenza (soprattutto per coppie che progettano o desiderano un giorno di sposarsi) nasce dall’incertezza dei giovani verso il futuro, dalla paura del “per sempre”, da una visione dell’amore identificata nei sentimenti, per loro natura precari e mutevoli. Eppure anche oggi i giovani credono in un amore eterno e intramontabile. Basti pensare ai giovani innamorati che sul Ponte Milvio a Roma attaccano il lucchetto alla catena che avvolge il lampione e poi buttano via la chiave: è un gesto altamente simbolico che equivale al giuramento di un legame che non sarà mai spezzato. Ed è significativo che le più recenti inchieste tra gli adolescenti e i giovani rivelano che al primo posto tra i valori fondanti per la loro vita oltre il 90% dei giovani pongono la famiglia; essi sognano nel loro futuro una bella famiglia, anche – e forse in modo ancora più insopprimibile – coloro che hanno sofferto carenze affettive o che hanno avuto dolorosi traumi per il fallimento del legame coniugale dei loro genitori. È da questa intuizione degli adolescenti e dei giovani che bisogna partire con una proposta educativa che sia convincente e che porti al coraggio di “osare” il futuro, anche se non pienamente garantito. Il percorso educativo di educazione esplicita all’amore va iniziato già nella fase adolescenziale, quando accadono i primi innamoramenti; questa è una sfida che non consente ritardi e richiama alla responsabilità famiglie e comunità. Va detto con coraggio che l’amore esige una totalità che non ammette una prova sperimentale; che la conoscenza reciproca e la crescita graduale di un legame affettivo domandano una condizione di libertà che consenta in qualsiasi momento di interrompersi senza rimpianti e senza recriminazioni; che gli inevitabili conflitti determinati dalla diversità delle persone e delle vedute non possono essere risolti con la scorciatoia di un esercizio della genitalità che accantona temporaneamente, ma non risolve i problemi; che, quando ci si dona totalmente l’uno all’altra coinvolgendo i sentimenti e il corpo, la relazione non è più come prima, ma viene segnata in qualche modo irreversibilmente; che è soprattutto la donna a pagare il prezzo di sofferenza più alto per una convivenza di “prova” conclusa con l’abbandono. Bisogna dire con chiarezza ai giovani che la convivenza di “prova” dà l’illusione di attenuare le fatiche e le sofferenze che accompagnano ogni relazione di amore e di prevenire efficacemente il fallimento del matrimonio. In realtà l’esperienza dimostra che il fallimento di una convivenza – salvo le complicazioni burocratiche, peraltro sempre più ridotte anche nella separazione e nel divorzio – è una tragedia pari alla rottura di un matrimonio; e sono frequenti i casi di lunghe convivenze, vissute con l’incertezza tipica di una “prova”, che falliscono a pochi mesi da un matrimonio deciso con l’illusione di risolvere i problemi. Si può capire allora la posizione che la Chiesa continua a sostenere, anche a costo di apparire lontana dalla mentalità corrente; anche se la cultura contemporanea tende a legittimare le convivenze prima del matrimonio, la Chiesa “non può non affermare che esse sono in contrasto con il senso profondo dell’amore coniugale.” L’amore coniugale esige di per se stesso la totalità del dono reciproco e non può essere considerato un “bene privato”, ma ha una implicazione pubblica perché è un “bene comune”: è una ricchezza per tutta la comunità e implica delle responsabilità in ordine al bene dell’intera società, oltre che della propria famiglia. Per i cristiani inoltre c’è una motivazione in più per non ridurre l’amore coniugale nell’ambito della vita privata: esso viene assunto e consacrato perché diventi segno sacramentale dell’amore di Dio per ogni uomo e dell’amore di Cristo per la Chiesa sua sposa. Se oggi la cultura tende a collocare l’esperienza dell’amore umano nella sfera del privato e ad assegnarlo semplicemente al capitolo dei sentimenti, la Chiesa oggi esercita la sua profezia anche affermando con decisione che l’amore umano è una realtà che va oltre il privato della coppia, sta a fondamento della famiglia ed è una ricchezza indispensabile per la costruzione della società e per la edificazione del popolo di Dio.

2.Pur avendo coscienza di dover mettere in atto un’azione educativa capace di superare il fenomeno della convivenza, che in genere denuncia paura e fragilità ed è fonte di incertezze e spesso di sofferenze per i giovani, la Chiesa sa però esprimere una convinta accoglienza rispetto a quei fidanzati che, vivendo già insieme da poco o da molto tempo, decidono di celebrare il matrimonio cristiano e accolgono la proposta di un cammino di preparazione. È chiaro che dobbiamo far percepire a loro l’affetto e la gioia per questa richiesta, e offrire ad essi un accompagnamento adeguato perché arrivino al Matrimonio in piena consapevolezza: non solo con la maturità umana che tale scelta richiede, ma anche con la fede che sa riconoscere il dono di Dio e la missione che esso conferisce nei riguardi della comunità. Questo atteggiamento accogliente e disponibile all’accompagnamento deve prevalere su tutte le altre considerazioni; in questo modo infatti i fidanzati fanno esperienza di una Chiesa-madre, che lascia intuire in trasparenza la tenerezza e la premura di Dio per i suoi figli. Va messo in atto pertanto un nuovo atteggiamento pastorale – evidenziato nel Convegno ecclesiale di Verona – che pone al centro della vita ecclesiale la persona con “le sue gioie, le sue speranze, le sue tristezze e angosce”: a questa persona la Chiesa offre l’annuncio di Cristo. Se l’obiettivo della pastorale è anche di costruire comunità cristiane capaci di testimoniare la fraternità e la comunione attorno a Cristo, il primo passo indispensabile è quello di affiancarsi ad ogni persona nello stile di Gesù sulla via di Emmaus, ascoltando con pazienza e amore le sue ragioni, le sue attese e le sue paure, per illuminare la sua vita con la Parola che riscalda il cuore perché rivela il Risorto che cammina accanto ad ogni uomo. Consideriamo un dono di Dio incontrare delle persone che, in un punto qualsiasi del loro cammino – può essere una fase di scelta, o di incertezza, o di sofferenza o di ricerca – ci chiedono di accompagnarle per un tratto di strada aprendo il cuore al “lieto annuncio” di Dio sull’amore umano. A noi compete “raccontare” le meraviglie dell’amore di Dio e la possibilità di lasciarsi prendere per mano da Lui, che ci rivela il senso pieno della vita e quale sia la fonte a cui attingere per la nostra sete di amore. Non sappiamo fino a quando potremo accompagnare queste persone, forse anche solo per un breve tratto di strada: ma certamente il Risorto è in grado di far “ardere il cuore” e di lasciare un segno nella loro vita. È questa l’avventura di chi annuncia la Parola. Se coloro che accompagnano i fidanzati verso il matrimonio dimostrano stima e apprezzamento della loro originale storia di amore, e insieme rivelano l’autentico significato e valore del Sacramento, è più probabile che questi scoprano con gioia che il matrimonio cristiano offre ben più che un completamento burocratico; scoprono che esso consente alla loro storia di assumere un significato nuovo e una missione grande in mezzo alla società civile e alla comunità cristiana; scoprono di poter contare sul sostegno della grazia che Dio che rende possibile il “per sempre”, anzi è capace di dare ad una storia di amore quella novità e quella gioia che i sogni dei giovani sanno appena intuire.

don Sergio Nicolli
Direttore dell’Ufficio nazionale della CEI per la pastorale della Famiglia

Rispondi