Gli sfollati filoucraini: “Nel Donbass militari dalla Russia”

di Matthias Canapini

Sono fuggiti in un centro di accoglienza di Kiev, dove sono al sicuro. Fra di loro tante donne e tanti bambini

Uno sfollato mostra una foto con i ruderi della sua casa nel Donbass in fiamme.

Uno sfollato mostra una foto con i ruderi della sua casa nel Donbass in fiamme.

L’altra parte della barricata, nel vero senso della parola.
Se i profughi filorussi di Novoshakhtinsk raccontano la loro verità, quelli di Kiev, naturalmente filoucraini, scappati anche loro dal Donbass in fiamme, espongono tutta un’altra versione. E non potrebbe essere altrimenti.
“Siamo arrivati qui da Alcevsk, nella regione di Lugansk – racconta Lina Sokolova, che con il marito Andrei ed i loro tre figli sono fuggiti in estate nella Capitale – Le persone rimaste nei centri di fuoco nelle zone sud-orientali sono lasciate a loro stesse. Nella nostra città è rimasto un centro per anziani completamente abbandonato dal personale. Molti stanno soffrendo la fame. Da qui proviamo a mandare qualche aiuto, ma i prezzi in questi mesi sono aumentati di quattro volte. Alcuni civili hanno scelto di rimanere lì ed aiutare i più bisognosi: dei veri eroi.
Siamo scappati perché numerosi soldati russi erano entrati in città. Tutti ragazzi giovani, alti, muscolosi, ben equipaggiati con armi professionali, vestiti come nei film! Ho chiesto da dove venivano e mi hanno risposto da Rostov, alla faccia di chi continua a sostenere che Mosca non ha inviato propri militari nel Donbass… Occhi freddi, i loro, profondi. Ho capito che erano venuti per ammazzarci tutti. Abbiamo preso i bambini e siamo partiti”.
Ciò che colpisce, in questo conflitto non etnico, ma politico, è che il fratello di Lina, scappata a Kiev come profuga, combatte dall’altra parte della barricata, nelle fila dei separatisti filorussi.
Una guerra familiare.
Nel centro di accoglienza di Kiev incontriamo anche Alexey Pretov, robusto ragazzo dagli occhi azzurri. “Molte zone del Donbass sono distrutte, ma chi può torna ugualmente a casa.
Molti preferiscono essere lì piuttosto che abbandonare definitivamente le loro mura domestiche. Alcuni miei amici ed io eravamo volontari pro-Ucraina. Dipingevamo le bandiere russe issate tempo fa nella nostra città con i colori giallo e azzurro del nostro Paese. Filmavamo ogni giorno la realtà con i cellulari o con piccole telecamere, ciò che accadeva per strada e le violenze a cui assistevamo. Immagini terribili. Un giorno i separatisti ci hanno catturato. Ci hanno fatto mettere in ginocchio dicendoci di pregare perché ci avrebbero ucciso. Fortunatamente, grazie all’intervento di un nostro conoscente tra le fila russe siamo riusciti a scappare, ma è stata un’esperienza traumatica”.
Il piccolo Andrei, invece, ha 10 anni. Ha sei fratelli che vivono con lui nel campo ed altri quattro (i più piccoli) rimasti a Sloviansk con i genitori. “Bombardavano in continuazione. Crollavano case vicino a noi, avevamo molta paura”. Gli fa eco il coetaneo Sasha: “Ho timore di perdere la mia casa di Donetsk, di tornare un giorno nella mia città e non trovare più niente”.
Mark, 9 anni: “La mia mamma è rimasta lì. La prima cosa che ho chiesto quando i volontari mi hanno fatto uscire dalla cantina è stata di portarmi lontano da dove cadono le bombe. Ero molto spaventato”.
A Kiev, se non altro, sono al sicuro. Ma un giorno vorrebbero rientrare nel loro Donbass.

Matthias Canapini
Video-maker e editore

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