Demansionamento e Tacit Knowledge

di Maurizio Fanni

La maggiore sfida per gli imprenditori è quella di attrarre e conservare lavoratori qualificati. Si può ottenere tale risultato soltanto grazie all’applicazione di tecniche efficaci e allo sviluppo di un efficace rapporto reciproco

Oggi, il tema del demansionamento non può essere trattato all’interno di una mera prospettiva contrattualistica: deve essere letto alla luce delle migliori prassi che consentono all’impresa di essere socialmente responsabile.
Una delle maggiori prove per le imprese è quella di attrarre e conservare i lavoratori qualificati. In tale contesto, una serie di misure adeguate potrebbe comprendere l’istruzione e la formazione del personale lungo tutto l’arco della vita, la sua responsabilizzazione, un miglioramento del circuito d’informazione nell’impresa, un migliore equilibrio tra lavoro, famiglia e tempo libero, una maggiore diversità delle risorse umane, l’applicazione del principio di uguaglianza per le retribuzioni e le prospettive di carriera delle donne, la partecipazione ai benefici e formule di azionariato e la presa in considerazione della capacità d’inserimento professionale e della sicurezza sul posto di lavoro.
I dipendenti sono i principali interlocutori delle imprese. L’attuazione dei princìpi di responsabilità sociale richiede un impegno reciproco. Il dialogo sociale con i rappresentanti del personale, il principale meccanismo per definire i rapporti tra imprese e dipendenti, svolge, quindi, un ruolo cruciale nel quadro più ampio dell’adozione di prassi socialmente responsabili. Inoltre, dal momento che le questioni relative alla responsabilità sociale delle imprese presentano molteplici aspetti e sono collegate alla quasi totalità delle attività, i rappresentanti del personale devono essere lungamente consultati sulle politiche, sui programmi e sulle misure previsti. Il dialogo sociale deve essere esteso alle questioni e agli strumenti volti a migliorare le prestazioni sociali e ambientali dell’impresa grazie ad una sensibilizzazione della direzione e dei dipendenti, a programmi di formazione, di orientamento dell’impresa nel settore sociale o a quello della protezione dell’ambiente e a sistemi di gestione strategica che integrino considerazioni economiche, sociali ed ecologiche. Efficienza economica e solidarietà non sono in opposizione tra loro. Nell’Economia di oggi che cerca di uscire dalla crisi, l’efficienza economica e le dimensioni della solidarietà si rafforzano a vicenda.
Per realizzarsi durevolmente, un’azione comune ha bisogno del concorso “intenzionale” delle parti in causa. Va però aggiunto che chiama in campo gli interessati: non destina l’esito del rapporto ad una contrattazione collettiva.
Un’azione comune non è un’azione collettiva.
Più precisamente:
1) non può essere compiuta senza il concorso di più soggetti e implica che tutti siano consapevoli;
2) ogni singolo agente mantiene la propria titolarità e la propria responsabilità. Questo fatto distingue l’azione comune dall’azione collettiva, nella quale viene meno il principio di responsabilità individuale, dal momento che il singolo scompare. Nell’azione comune, invece, ciascuno dei partecipanti mantiene la propria responsabilità e la propria identità;
3) richiede relazioni intersoggettive che portino ad una qualche unificazione degli sforzi: i partecipanti all’azione comune devono anche voler far convergere i propri sforzi verso un qualche obiettivo.
Orbene, l’impresa è, tecnicamente, un processo in comunione. Le decisioni assunte devono possedere tutte e tre le menzionate caratteristiche. Ciò chiarito, va detto che l’impegno comune, dentro l’impresa, può essere esercitato in due modi:
a)  nei mezzi
b)  nei fini.
Nel primo caso, si estremizza la logica contrattuale ed il rapporto di lavoro si riversa sulle mansioni, fissate con criteri analitici e fiscali; nel secondo, emerge la responsabilità congiunta dell’impresa verso i lavoratori e dei lavoratori verso l’impresa.
Non c’è alcun dubbio che si debba privilegiare un rapporto fondato sui fini.
Ed ecco, allora, il dispositivo che, sul piano etico, economico e sociale, risolve la questione del c.d. demansionamento.
Quando la comunanza è nei mezzi, il problema posto da lavoratori e sindacati è, fondamentalmente, quello della coordinazione.
Quando la comunanza è nei fini, il coordinamento non basta più.
Quel che in più ci vuole è la cooperazione.
Nel quadro della cooperazione tra impresa e lavoro, la comunanza dei fini può consentire livelli più elevati di efficienza.
Nasce così il Tacit knowledge. Emerge, cioè, una nuova consapevolezza reciproca tra impresa e lavoro riguardo alle caratteristiche del moderno processo di produzione, spesso automatizzato e digitale.
Le cose, ormai, stanno così:
– la conoscenza che guida l’attività di lavoro sfugge all’idea di mansione parcellizzata e codificata. Pretende che l’attività sia letta e giustificata nella sua dinamica: si è di fronte ad un processo che si modifica in itinere mentre l’opera si sviluppa e giunge a compimento;
– si organizza l’attività di lavoro in modo dinamico e non più – come avveniva in passato – esclusivamente ex ante. Anzi, non di rado si mette in cantiere che significative azioni di cambiamento avverranno contestualmente o, addirittura, in itinere.
In conclusione, un demansionamento sviluppato in modo intelligente e condiviso può rappresentare un veicolo di crescita competitiva e di più elevata soddisfazione sia dell’impresa, sia dei lavoratori, e ciò soprattutto nei lavori ad alta tecnologia.

di Maurizio Fanni
docente di Finanza Aziendale all’Università di Trieste.

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