I vaccini possono salvarci?

di Antonio Irlando

Secondo le più recenti ricerche sulla profilassi antitumorale addestrare il sistema immunitario a combattere contro le cellule cancerogene potrebbe non essere un’utopia. Ma non si tratta dell’unica patologia che trae vantaggio dallo sviluppo della vaccinoterapia

Due studiose del dipartimento di chimica “Ugo Schiff” dell’Università di Firenze, Cristina Nativi e Barbara Richichi, rispettivamente Professore Ordinario e ricercatore di Chimica organica, hanno di recente pubblicato una ricerca sui vaccini antitumorali. Viene descritta la sintesi di una molecola capace di stimolare un specifica risposta immunitaria verso cellule tumorali. Formata da quattro residui saccaridici che simulano la struttura di uno specifico marcatore del tumore al seno, questa molecola è in grado di stimolare la produzione di anticorpi diretti contro le cellule neoplastiche, con aumento del tempo di sopravvivenza nel modello animale adoperato nell’esperimento. Le ricercatrici spiegano che tale risultato “…rafforza le evidenze dell’approccio immunoterapico dei tumori e dell’uso di vaccini terapeutici quale strategia biologica per contrastare lo sviluppo del tumore”. Addestrare il sistema immunitario a combattere le cellule tumorali è uno dei percorsi di ricerca più promettenti. Sappiamo che, in alcuni casi, un certo numero di cellule neoplastiche può sopravvivere ai trattamenti chirurgici, chemioterapici e radioterapici e rimanere nell’organismo, originando una malattia residua minima, in grado di riprodurre la neoplasia anche dopo anni. Il sistema immunitario, se correttamente attivato, è capace di trovare e distruggere in modo selettivo anche poche cellule anormali.
Queste terapie si fondano sulla presenza, sulla superficie di queste cellule, di proteine o frammenti di esse denominati antigeni tumore-associati (TAA); questi antigeni possono essere riconosciuti come estranei dal sistema immunitario dell’ospite.
L’attivazione del sistema immunitario può avvenire essenzialmente in tre modi: il primo consiste nell’impiego di cellule tumorali del paziente che, irradiate ed arricchite di materiale antigenico, vengono iniettate in circolo per stimolare l’arrivo di linfociti T specializzati ad aggredire gli elementi cellulari anormali. Il secondo si fonda sulla possibilità di provocare una potente risposta di linfociti T iniettando nel paziente cellule dendritiche (un tipo di cellule immunitarie) precedentemente marcate con specifici antigeni tumorali. Il terzo, infine, induce la produzione di linfociti anticancro mediante iniezione non di cellule intere, ma di frammenti cellulari proteici di origine neoplasica che si comportano da antigeni. La maggior parte dei dati clinici riguardo l’utilizzo della vaccinoterapia è stata prodotta da studi sul melanoma cutaneo. Questa forma, quando è metastatica, rappresenta il modello principale di sperimentazione clinica dei vaccini terapeutici. Altre esperienze scientifiche simili sono state portate avanti nei tumori polmonari, prostatici, renali, mammari, ovarici, ematologici. I candidati migliori a questi trattamenti sono pazienti che presentano un ridotto quantitativo di malattia o che non ne hanno evidenza clinica, ma con alto rischio di ripresa. Gli effetti collaterali locali possono consistere in reazioni flogistiche locali nel punto di somministrazione; quelli sistemici possono essere rappresentati da sindromi simil-influenzali e/o reazioni allergiche di vario grado. Sono in fase di studio approcci immunoterapeutici anche per patologie non neoplastiche, come l’ipertensione arteriosa, l’aterosclerosi, il morbo di Alzheimer. Nell’ipertensione sono stati sintetizzati vaccini diretti verso i mediatori del sistema renina-angiotensina-aldosterone e quello più interessante verso il recettore AT1 per Angiotensina 2. Per quanto riguarda l’aterosclerosi, la vaccinoterapia parte dal riscontro effettuato in animali da esperimento, nei quali linfociti Th1, attivati dall’interazione con lipoproteine (LDL) ossidate, promuovono la formazione della placca aterosclerotica coinvolgendo fenomeni di immunità naturale ed acquisita. I vaccini, determinando una risposta anticorpale contro questo tipo di lipoproteine, potrebbero inibire l’attivazione linfocitaria e la conseguente formazione della placca, determinando la prevenzione della malattia aterosclerotica. Anche nella malattia di Alzheimer si sta cercando di ottenere un effetto terapeutico mediante terapia vaccinale, partendo dal presupposto che, in questa patologia, l’accumulo progressivo di beta-amiloide potrebbe essere causa nella degenerazione delle strutture cerebrali. La produzione di un vaccino contenente un frammento di beta-amiloide (1-6 N-terminale) coniugato con trasportatori specifici potrebbe indurre la produzione di anticorpi.
Altra frontiera della terapia vaccinale è quella verso la dipendenza da sostanze da abuso; la formazione di complessi immuni circolanti, contenenti la sostanza che induce dipendenza, non supera la barriera ematoencefalica. Ciò impedirebbe gli effetti della sostanza sul sistema nervoso centrale e questo effetto potrebbe essere sfruttato nella terapia delle dipendenze da nicotina, cocaina, eroina, amfetamine, ecc. I vaccini potrebbero allora segnare il destino della maggior parte delle tossicodipendenze e i vantaggi per la salute di tante persone sarebbero incommensurabili.

di Antonio Irlando,
Dirigente Medico ASS4

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