Fra disoccupazione alle stelle ed auspicata stabilità sociale

Gabriele Lagonigro

Il neonato Paese, situato nel sud dei Balcani, è reduce da una tornata elettorale conclusasi senza vincitori, né vinti. Tante promesse, salari pubblici aumentati, ma il 35% della forza lavoro è inattiva

KOSOVO MINACCIATO DAL NUOVO “JIHADISMO” Hanno destato parecchio scalpore le notizie uscite in queste ul- time settimane, e che sembrerebbero confermare il dilagarsi di un fenomeno oltremodo inquietante: la diffusione, nel sud dei Balcani, dello jihadismo, ed il relativo reclutamento di giovani per combattere con l’Isis o con al Nusra in Siria e in Iraq. È stato soprattutto il Kosovo ad essere interessato da numerosi arresti compiuti a Pristina e dintorni fra agosto e inizio settem- bre, quando una quarantina di sospetti terroristi sono stati fer- mati dalle forze dell’ordine locali. Si tratta per lo più di ragazzi fra i 20 e massimo 30 anni, praticamente pronti per imbarcarsi alla volta del Medio Oriente. Qualcuno è stato addirittura bloc- cato nello scalo aereo della Capitale o in quello albanese di Tirana, ormai pronto per unirsi nelle fila delle milizie più inte- graliste che combattono contro Assad o addirittura sostengono il Califfato.

KOSOVO MINACCIATO DAL NUOVO “JIHADISMO”
Hanno destato parecchio scalpore le notizie uscite in queste ultime settimane, e che sembrerebbero confermare il dilagarsi di un fenomeno oltremodo inquietante: la diffusione, nel sud dei Balcani, dello jihadismo, ed il relativo reclutamento di giovani per combattere con l’Isis o con al Nusra in Siria e in Iraq. È stato soprattutto il Kosovo ad essere interessato da numerosi arresti compiuti a Pristina e dintorni fra agosto e inizio settembre, quando una quarantina di sospetti terroristi sono stati fermati dalle forze dell’ordine locali. Si tratta per lo più di ragazzi fra i 20 e massimo 30 anni, praticamente pronti per imbarcarsi alla volta del Medio Oriente. Qualcuno è stato addirittura bloccato nello scalo aereo della Capitale o in quello albanese di Tirana, ormai pronto per unirsi nelle fila delle milizie più integraliste che combattono contro Assad o addirittura sostengono il Califfato.

Le Repubbliche originatesi dalla dissoluzione dell’ex Jugoslavia non stanno vivendo il loro periodo più florido sotto l’aspetto economico e della stabilità sociale. Il Kosovo, l’ultima arrivata, anche se non riconosciuta da tutte le Cancellerie internazionali, non sta certo messo meglio.
Gli anni del conflitto, della pulizia etnica e degli scontri quasi quotidiani fra opposte fazioni sono fortunatamente alle spalle. Si registra ancora tensione in alcune aree, ma la normalizzazione appare, ormai, un dato di fatto.
Viceversa, la stabilità e, soprattutto, un welfare maggiormente dignitoso, sono concetti ancora lontani.

IL VOTO
Le ultime elezioni, quelle di inizio giugno, stanno causando un’impasse politica inimmaginabile prima dell’estate, ma sono state caratterizzate – ed è questo l’aspetto più positivo – dalla massiccia presenza della comunità serba, nelle precedenti consultazioni costantemente rifiutatasi di votare. Stavolta no: è stata Belgrado che, pur senza riconoscere il Governo di Pristina, ha invitato i propri connazionali a partecipare alla tornata elettorale, garantendosi, così, un 4,2% di voti ed una decina di seggi parlamentari.
Sono stati oltre 50.000 i Serbi presentatisi alle urne e grazie a questa folta affluenza la “Lista Srpska” potrebbe diventare l’ago della bilancia nella formazione di un esecutivo tuttora in stand-by. Sarebbe qualcosa di clamoroso se si pensa che le due anime del Paese, la maggioranza albanese e la minoranza jugoslava, fino a pochi mesi fa nemmeno si parlavano.
I Serbi, insomma, se ne stanno alla finestra nell’attesa (finora vana) che le due fazioni in lotta fra loro trovino un accordo. Da una parte c’è il premier uscente Thaçi, il quale, con il 31% dei consensi ottenuti dal suo PDK, reclama nuovamente la leadership. Dall’altra, invece, l’LDK, col 26%, ed altre formazioni minori, coalizzatesi dopo il voto e candidatesi ufficialmente alla guida del Paese. Il candidato premier è Ramush Haradinaj, storico rivale di Thaçi dai tempi dell’UCK. Per ora, l’impasse non si è sbloccata. Numericamente, i tre partiti aggregatisi nel post-elezioni surclassano il PDK, ma sarà l’interpretazione della legge a stabilire chi risulterà deputato a guidare il Kosovo per i prossimi anni. Non è nemmeno escluso che si ricorra nuovamente alle urne, se non ci dovesse essere accordo: ipotesi che non entusiasma una popolazione stanca e frustrata. A inizio giugno ha votato poco più del 40% degli aventi diritto. In caso di nuove elezioni, la percentuale si abbasserebbe ulteriormente.

I DISOCCUPATI
Nel frattempo, la situazione economica del Paese è ferma al palo. È vero che, sotto il profilo infrastrutturale, gli ultimi anni sono stati forieri di investimenti anche dall’estero, che le vie di comunicazione sono parzialmente migliorate e che a Pristina i centri commerciali ed i grandi marchi internazionali sono sbarcati come in tutte le grandi capitali, ma è altrettanto assodato che la disoccupazione è tuttora alle stelle. Le persone in cerca di assunzione rappresentano il 35% della forza lavoro kosovara: una stima impressionante che non a caso spinge tantissimi giovani a cercare fortuna all’estero. I più fortunati se ne vanno in Germania o nel Nord Europa, ma anche in Italia (specie a Nord-Est) le comunità contano cifre a tre zeri ed occupazioni per lo più nel settore edilizio.
Non è solo la carenza di lavoro, in ogni caso, a rendere instabile la tenuta sociale di Pristina e dintorni: il 12% della popolazione vive ben al di sotto della soglia della povertà, ed a poco, per ora, sono servite le promesse elettorali di tutte le parti coinvolte nell’arena politica. C’è chi, come l’ex (e futuro?) premier ha parlato di investimenti nei prossimi anni fino a 1,5 miliardi di euro e 200.000 nuovi posti di lavoro da qui al 2017, ma per raggiungere un simile obiettivo servirebbe una crescita del PIL di quasi 20 punti percentuali annui. Un po’ troppi anche per i più ottimisti. A dire il vero, c’è stato negli ultimi mesi un aumento del 25% degli stipendi pubblici, ma resta da capire se la tendenza al rialzo dei salari continuerà anche in futuro o se si è trattato esclusivamente di una mossa elettorale.
Anche l’ex opposizione, in ogni caso, ha sbandierato per l’immediato soluzioni economiche che non sembrano alla portata del piccolo Kosovo. A pochi chilometri di distanza, al di là del confine meridionale, c’è una giovane Albania che attira investimenti da mezza Europa, Italia compresa, e che da Pristina viene giustamente presa ad esempio. Ma ci sono voluti due decenni prima che Tirana iniziasse ad attrarre dall’estero capitali, risorse e figure professionali e manageriali di rilievo.

IL RICONOSCIMENTO
Sarà difficile per il Kosovo cambiare registro in così poco tempo, nonostante i “big” della politica internazionale abbiano riconosciuto da subito la sua indipendenza. Stati Uniti, Francia, Germania e Gran Bretagna si sono posti dallo scorso decennio come paladini delle aspirazioni indipendentiste di un Paese che oggi è tale per oltre cento membri delle Nazioni Unite, Italia compresa. Russia, Cina e, naturalmente, Serbia sbarrano ancora la strada ad un completo riconoscimento planetario della giovane Repubblica balcanica, ma anche Facebook, oltre ad altri social network, ha ufficializzato il Kosovo come Paese tout court.
Persino il mondo del calcio ha battezzato pochi mesi fa la Nazionale di Pristina con la prima partita ufficiale sotto l’egida della Fifa. Ne è venuto fuori uno 0-0 tutt’altro che entusiasmante contro Haiti di fronte ai 17.000 spettatori di Kosovska Mitrovica, ma mai come in questo caso il risultato sul campo contava poco o nulla.
Contava esserci. Punto. Ed il Kosovo, al netto dei suoi innumerevoli problemi, sulle cartine geografiche di mezzo mondo sta cominciando ad assumere la sua definitiva identità.

Gabriele Lagonigro
Direttore del settimanale City Sport e Caporedattore di SocialNews

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