Immigrazione, una sfida europea

Fabrizio Anzolini

Bisogna iniziare a considerare i flussi migratori come un fenomeno sociale strutturale e non più emergenziale. Per fare questo è necessario rivedere profondamente strumenti e strategie e rafforzare il ruolo del Parlamento e della Commissione. In altre parole, una buona dose di coraggio e decisionismo

Le elezioni del 25 maggio diventeranno, probabilmente, le europee più seguite degli ultimi vent’anni: in passato non c’è mai stata tanta attenzione sul futuro economico, sociale e politico dell’Unione e sulle consultazioni per l’elezione dei rappresentanti al Parlamento e del Presidente della Commissione.
A confrontarsi saranno, principalmente, tre opzioni politiche: due più radicate e organizzate, quella del Partito Popolare Europeo e quella del Partito Socialista Europeo, ed una meno radicata e organizzata, ma sempre più rappresentativa, quella dei partiti “antieuropeisti” e populisti.
Fra i vari temi di attualità e di emergenza che i nuovi rappresentanti al Parlamento dovranno affrontare ci sarà, sicuramente, quello dell’immigrazione.
Come è noto, i trattati europei delegano agli Stati membri le competenze in materia di regolazione dell’immigrazione e di integrazione (eccezion fatta, ovviamente, per quanto riguarda chi possiede la cittadinanza europea). In questo scenario, il proliferare di politiche nazionali differenti, seppur tutte di stampo restrittivo e repressivo, ha prodotto un’eccessiva eterogeneità la quale, di fronte ad una sfida ormai globale, non può più rappresentare una risposta efficace.
Se, da un lato, quindi, le politiche di regolazione mostrano un comune filo conduttore in tutti gli Stati membri e, non a caso, sono gestite in chiave sicuritaria dai Ministeri dell’Interno (come se l’immigrazione rappresentasse principalmente un problema di sicurezza) e coordinate da Frontex, l’Agenzia europea per la gestione della cooperazione internazionale alle frontiere esterne degli Stati Membri, dall’altro la normativa in materia varia da Stato a Stato, nonostante i più recenti tentativi di omogeneizzazione.
Nel campo delle politiche di inclusione, inoltre, questa eterogeneità appare in modo ancor più evidente: la Francia è l’esempio del modello di inclusione definito dell’“assimilazionismo civico”, in Germania è nato il modello del “lavoratore temporaneo” (gastarbeiter), nel Regno Unito, fino alle più recenti svolte annunciate, ha regnato il multiculturalismo.
Mentre, con riferimento al modello assimilativo, per usare le parole di Maurizio Ambrosini, “l’orientamento delle politiche è verso una rapida omologazione anche culturale dei nuovi arrivati”, per il modello dell’immigrazione temporanea il fenomeno migratorio è contingente e formato da lavoratori chiamati per esigenze di mercato, ma destinati a tornare nel loro Paese d’origine. Il modello multiculturale, invece, tollera passivamente le differenze culturali dell’immigrato o, addirittura, modifica comportamenti sociali e strutture istituzionali per accettarle (com’è avvenuto, finora, in Canada, Svezia ed Olanda).
In questo scenario, dunque, la politica europea si affaccia alle prossime elezioni dovendo cogliere la sfida dell’immigrazione in maniera globale e non più parziale. Il futuro Parlamento dovrà decidere a quale modello d’inclusione ispirare le proposte sue e della Commissione.
Soprattutto, dovrà decidere se fornire una risposta efficace ai quesiti imposti dal fenomeno migratorio mondiale e se rendere la regolazione dell’immigrazione e le politiche di integrazione materia di legislazione europea.
Sul punto, i due principali competitors che si affronteranno il 25 maggio, la famiglia dei socialisti europei e quella dei popolari, sembrano avere orizzonti piuttosto differenti.
Il candidato alla Presidenza della Commissione Europea per il PSE, l’attuale Presidente del Parlamento Europeo Martin Schulz, mantiene una posizione chiara: “serve una legge europea per l’immigrazione perché l’Europa è un continente di immigrazione e la prossima legislatura potrà essere l’occasione per affrontare seriamente la questione” ha dichiarato, recentemente, a Torino.
Più complicata, invece, la posizione del candidato del Partito Popolare Europeo. Junker, infatti, da un lato comprende la portata del fenomeno migratorio, la sua inarrestabilità, le sue conseguenze. Già in passato ha definito l’immigrazione come un fenomeno “inevitabile” (nel 2008 Junker si è espresso così sottolineando come “l’Europa non può guardare al suo futuro senza un ricorso massiccio all’immigrazione”). Dall’altro, il Candidato Presidente del PPE è sicuramente consapevole che, per i grandi portatori di voti della famiglia popolare europea, l’immigrazione è un tema
“scottante”, che rischia di urtare la “pancia” dell’elettorato di centrodestra (basti pensare ai francesi dell’Ump, agli italiani di Forza Italia, agli ungheresi di Fidez).
Nel caso del PPE, inoltre, sembra prevalere la tendenza ad una gestione nazionale delle politiche migratorie e questo in accordo anche con la Gran Bretagna e con la svolta anti multiculturalista del Primo Ministro David Cameron. Questi è arrivato al punto di rimettere in discussione lo stesso principio di libertà di circolazione dei cittadini dell’Unione.
Posizione, questa, che trova sponda in parte dell’opinione pubblica tedesca ed in uno dei più grandi alleati di Angela Merkel, la Csu, preoccupati dall’aumento di immigrati provenienti da Bulgaria e Romania.
Più difficile da categorizzare e da uniformare, invece, è la posizione su questo tema dei movimenti no-euro e “anti-sistema”. Crescono in tutto il Continente e alle elezioni otterranno sicuramente un risultato notevole, dal MoVimento 5 Stelle di Grillo al Fronte Nazionale di Marine Le Pen in Francia ed all’estremismo di Alba Dorata in Grecia (in tutti i casi, comunque, l’immigrazione non sembra mai essere vista come un’opportunità, ma esclusivamente come un fenomeno da marginare).
Al di là di queste ultime posizioni, quindi, chi crede in un futuro dell’Europa Unita, chi pensa ad un’Europa più forte e coesa sul piano politico, non può che auspicare che nella prossima legislatura Parlamento e Commissione lavorino per aumentare le loro competenze in tema d’immigrazione, per semplificare ed uniformare le legislazioni nazionali, “cambiare paradigma” ed introdurre, definitivamente, una concezione di immigrazione quale fenomeno sociale strutturale e non più emergenziale. Per fare questo è necessario definire una politica migratoria di stampo europeo, dotare gli organismi comunitari di maggiori strumenti, maggiori risorse, maggior potere decisionale e rafforzare il ruolo del Parlamento e della Commissione. In altre parole, una buona dose di coraggio e decisionismo.

Fabrizio Anzolini
Consulente esperto presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri – Ufficio Antidiscriminazioni razziali

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