La formazione del lettore

Vivere positivamente l’esperienza della lettura genera passione e gusto del leggere e pone in tal modo solide premesse per divenire lettori per tutta la vita. Un testo, a seconda di come viene proposto, può essere percepito come una realtà seducente, colma di sollecitazioni di conoscenza e creatività, oppure come una realtà che annoia o, addirittura, fa violenza alla libertà ed all’iniziativa personali.

Nel nostro Paese non è diffusa l’abitudine alla lettura e tanto meno la passione per il leggere. Si registra spesso una rilevante disaffezione per la parola scritta. Conviene annotare anche che, laddove si abbia consumazione della cultura scritta, non poche volte si tratta di un’operazione quantitativa e non di un’esperienza qualificata e qualificante, quale può essere realmente garantita dal saper leggere, piuttosto che dal leggere, pur se vario e frequente. Non a caso, si osserva che, a livello di massa, si legge troppo con finalità di intrattenimento e di evasione consolatoria e compensatoria dalla quotidianità, rivolgendosi, non di rado, ad una stampa di basso profilo qualitativo e dalla debole forza educativa (anzi, sovente contrassegnata da una marcata aliquota di diseducatività) e per questo incapace di promuovere criticità, creatività, esteticità, affettività. Ciò è addebitabile non poco ad una mancata educazione alla lettura da parte della scuola, ma anche della famiglia, con l’evidente conseguenza di un’esposizione prolungata all’irruzione massiccia degli altri linguaggi e di un indebolimento delle difese personali preposte ad arginare la loro forza inondante e prevaricante. Si è ripetutamente avvertito che la scuola insegna a leggere, ma non sempre riesce a promuovere il piacere della lettura. Insiste sulla lettura di tipo funzionale e trascura quella a scopo di piacere, mira a far compiere esperienze di tipo conoscitivo-interpretativo e ignora la necessità di far guadagnare al soggetto in formazione gratificazioni emotive, misconoscendo la forza motivazionale che può essere espressa dalla capacità del soggetto di trarre piacere dalla lettura propria ed altrui e sottovalutando il legame esistente tra gusto di leggere e competenza decodificativa.

Nella proposta di descolasticizzazione dell’esperienza della lettura può essere visto l’impegno da parte dell’istituzione scolastica a far sì che tale esperienza non sia unicamente ridotta ad un’operazione meramente linguistica, che il piacere della lettura non sia soffocato o mortificato dal perseguimento pressoché esclusivo dell’abilità strumentale, della decifrazione, della ricerca dell’informazione, della comprensione del livello denotativo. Vivere positivamente l’esperienza della lettura genera passione e gusto per la stessa e pone in tal modo solide premesse per divenire lettori per tutta la vita. Un testo, a seconda di come viene proposto, può essere percepito come una realtà seducente, colma di sollecitazioni di conoscenza e creatività, oppure come una realtà che annoia o, addirittura, fa violenza alla libertà ed all’iniziativa personali. Tangibile è la circolarità sinergica fra lettura cognitiva e lettura-piacere: le gratificazioni conseguite in una sono garanzie sicure per poter guadagnare soddisfazioni nell’altra. Ciò sollecita a promuovere in egual misura la capacità di comprensione testuale e le gratificazioni emotive, a coniugare in maniera efficace la lettura-dovere con la lettura-piacere, la lettura-negotium con la lettura-otium.

Nel coltivare il gusto per la lettura, occorre vedere un effettivo rimedio alla diffusa tendenza a divenire – pur in possesso della strumentalità del leggere – lettori occasionali quand’anche non-lettori e, quindi, un sicuro tragitto da percorrere affinché siano compiuti ulteriori avanzamenti. Chi non legge, o legge poco, non ha la possibilità di distaccarsi dalla quotidianità ed immergersi in un universo fantastico. Chi non legge, o legge poco, non ha la possibilità di “naufragare” in un mondo incantato, fare pratica della fantasia creatrice, soddisfare quel bisogno di meraviglioso, quella necessità di storie e racconti, quell’esigenza di incantesimo e magia tipicamente umana, che si manifesta fin dalle prime stagioni della vita. La scuola, quando è educativa e non svilisce il suo compito nella mera istruzione, si configura, ad un tempo, solido presidio contro i pericoli che possono venir generati dalla sovrastimolazione mediatica e luogo privilegiato per la custodia e la coltivazione della parola. Questa è una funzione di non poco conto se si ritiene che promuovere la parola, alla fine, equivalga ad avvalorare la persona. Chi sa leggere, si è costruito le basi per la sua realizzazione futura. Ogniqualvolta la scuola si fa indifferente nei riguardi della lettura, o si fa sua nemica, rinuncia al suo impegno di democratizzazione culturale ed emancipazione delle giovani generazioni.
Lettori interpreti e appassionati. Insegnare a saper leggere
La scuola, dunque, non può venir meno ad un suo specifico compito formativo: insegnare a leggere, ovvero accompagnare il soggetto educativo a farsi progressivamente lettore interprete, con ciò che tale obiettivo esige in termini di sforzo a comprendere, giudicare, compiere apprezzamenti estetici, e lettore appassionato (piuttosto che lettore compiuto), con ciò che tale traguardo implica a livello di disposizione permanente ad incontrarsi con la parola scritta. Se è vero che ci si costruisce lettori leggendo, è altrettanto vero che si diviene lettori autonomi e maturi rileggendo. Nelle parole rilette possono essere trovati messaggi, significati, sensi, valori, accenti, forme, che il leggere non aveva consentito di scoprire ed apprezzare. Nel primo obiettivo, sono riassunti i diversi impegni richiesti al soggetto dai vari livelli della decodificazione. Esso richiama una capacità complessa, la quale va alquanto oltre il mero riconoscimento dei segni alfabetici, l’oralizzazione dei simboli grafici e la decifrazione sequenziale di sillabe, parole e frasi. Tale traguardo viene a configurare la capacità di disporsi in maniera differenziata dinanzi alla parola stampata a seconda del tipo di testo da leggere e della finalità prefissata. In ogni caso, il saper leggere non richiama la sottomissione alla pagina scritta e nemmeno l’esercizio meccanico della strumentalità, bensì il comprendere, l’interpretare, il sentire, il volere, il personalizzare, il vivere in modo liberamente scelto, com’è nel significato più autentico del termine legere, il quale rimanda ad una scelta.

Laddove questa è assente, laddove è effettuata una lettura abitudinaria e distaccata, non si ha esperienza interiore, non è creativamente consolidato il carattere, non è potenziata la capacità di giudizio e non è coltivato il gusto estetico. Pur non trascurando l’importanza, oggi, di una lettura rapida e sommaria, essenziale e fortemente esplorativa, è impossibile ignorare che, privilegiando questo tipo di lettura, si finisce con l’andare incontro ai pericoli della superficialità e del disimpegno, dell’incapacità di comprendere realmente e di compiere un’interpretazione critica di contenuti, valori, forme. È mediante il protagonismo ermeneutico del lettore che vengono esplicitate le ricchezze semantiche del testo scritto. È sempre il lettore che conferisce senso al testo e dà evidenza ai suoi significati. Leggere è soprattutto interpretare e non decodificare, in modo riduttivo, l’itinerario linguistico compiuto dall’autore. Leggere è oltrepassare la mera comprensione testuale al fine di compiere una vera e propria penetrazione del testo, è riuscire ad abitare il testo. Leggere reclama sempre, oltre al possesso di una comune piattaforma linguistico-culturale, un confronto interattivo tra le personali competenze e padronanze, conoscenze e strumenti, tra la soggettiva psicologia e axiologia e l’insieme delle offerte di varia natura che il testo propone. In caso contrario, non si riesce a maturare quel circuito comunicativo tra lettore ed autore necessario a conferire significato al testo.

È in virtù dell’atto del leggere che si realizza una corrispondenza reciproca, una “cooperazione”, un’interazione fra lettore ed autore, così da poter provvedere, anche attraverso una negoziazione di significati, a dare evidenza agli elementi critici ed estetici del testo. Ciò, peraltro, non può voler dire avallo di “libertinaggi” interpretativi, bensì possibilità (desiderabilità) di percorrere liberamente i molteplici tragitti ermeneutici suggeriti dal testo, con il convincimento che l’impresa interpretativa sia un compito ininterrotto. Riguardo al secondo obiettivo, la scuola può aiutare l’alunno a farsi gradualmente lettore appassionato se si pone e risolve il problema della motivazione alla lettura, con la consapevolezza, soprattutto, che il soggetto non motivato non legge o legge malvolentieri e non custodisce la lettura quale esperienza arricchente. Richiamando le prime attività scolastiche di lettura, merita osservare la necessità di ancorarle al mondo vitale dell’alunno, ai problemi che più lo impegnano sul piano della curiosità, anche per metterlo nella condizione di comprendere per tempo, mediante un’idonea considerazione delle differenti forme di lettura, le molteplici finalità che possono essere conseguite tramite la lettura. Il soggetto educativo va gradatamente iniziato alla lettura attraverso una “cattura” che avviene fin dai primi giorni di scuola. La cattura si avvale non poco della capacità di leggere dell’insegnante, delle proprietà affascinanti del testo, della rinunzia a fare di questo puntigliose disamine decodificative. Tale “cattura” è, inoltre, resa possibile dall’abilità dell’adulto a proporre la lettura come un’avventura sorprendente e stupefacente, in grado di consentire esplorazioni, scoperte, iniziazioni, invenzioni, e dalla sua bravura ad aiutare l’alunno a capire che la fatica che gli è richiesta nell’incontro iniziale con la parola stampata è necessaria per potersi affermare nel tempo come lettore autonomo e competente.

Tali suggerimenti, pur sommari, intendono sottolineare che il problema fondamentale rimane quello del fornire all’attività scolastica un’appropriata organizzazione pedagogico-didattica, al cui interno svolgono una funzione efficace, oltre alla sua cultura, le abilità narrative, mediatrici e facilitatrici dell’insegnante. Grazie a tale organizzazione, l’educazione alla lettura non si confonde, o non si deteriora, in un’impresa destinata a produrre esiti addestrativi, informativi o pragmatici. La lettura, pedagogicamente pensata ed educativamente attuata, è inequivocabile esperienza, oltre che di incremento culturale, di fecondo esercizio della personale criticità ed esteticità. Merita richiamare la lettura libera per dar risalto non tanto ad un’attività di marca spontaneistica prodotta dalla spinta di interessi episodici ed occasionali, quanto, ed in particolare, all’esperienza compiuta da una soggettività libera, la quale, durante tale esperienza, fa pratica continuata di fondamentali poteri, quali quelli dell’intenzionalità e della decisionalità, e che per questo si pone come autrice e fine dell’attività educativa.

Bruno Rossi
Professore Ordinario di Pedagogia Generale presso la Facoltà di Lettere e Filosofia di Arezzo
Università degli Studi di Siena.

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