L’aspettativa di vita

Anche se la mortalità ha iniziato a ridursi sostanzialmente nel XVIII secolo, è nella prima parte del XX secolo che è diminuita notevolmente, quando una maggiore igiene, l’utilizzo delle vaccinazioni e la scoperta degli antibiotici, una migliore alimentazione e cure mediche basate su prove scientifiche sono diventate la regola. Nonostante le carneficine provocate dalle due guerre mondiali verso la metà del XX secolo l’aspettativa di vita aveva raggiunto i 63 anni in Sud Europa e i 70 anni in Australia e Nuova Zelanda. I livelli complessivi della speranza di vita sono fortemente dipendenti dalla mortalità in giovane età, soprattutto quando la mortalità è alta. Di conseguenza, il notevole aumento della speranza di vita registratosi dal 1950 a livello mondiale, riflette in gran parte la minor mortalità infantile. A differenza del periodo 1950-1955 (quando il 43% della popolazione moriva prima dei 5 anni e solo il 26% viveva fino a 60 anni) nel periodo 2000- 2005 la mortalità infantile al di sotto dei 5 anni è stata del 19% mentre il 50% della popolazione ha raggiunto i 60 anni od oltre. Entro la metà del secolo attuale, si prevede che solo il 4% dei decessi si verifichi prima dei 5 anni di vita e che il 77% della popolazione raggiungerà almeno i 70 anni di vita seguendo un trend che permetterà in futuro una speranza di vita media di 85 o 90 anni. Nel XX secolo anche la mortalità nei Paesi in via di sviluppo ha cominciato a diminuire rapidamente. La prospettiva di vita nelle regioni meno sviluppate è aumentata negli ultimi 50 anni passando da circa 41 a 63 anni. Nel periodo 2000-2005, la differenza nell’aspettativa di vita tra Paesi sviluppati e poco sviluppati era di 12 anni contro i 25 anni di quella osservata nel periodo 1950-1955. Resta, tuttavia, un gruppo di Paesi ( tra i meno sviluppati al mondo) dove la mortalità non si è ridotta altrettanto velocemente e che non ha tenuto il passo con i miglioramenti di altri Paesi in via di sviluppo. Ad esempio, la differenza di aspettativa di vita tra il gruppo di Nazioni meno sviluppate al mondo e le altri Nazioni in via di sviluppo è passata dai 5 anni tra il 1950 e il 1955, ai 14 anni nel periodo tra il 2000 e il 2005. Una delle principali ragioni di tale incremento è che i 50 Paesi classificati come meno sviluppati includono 26 nazioni gravemente colpiti dalla epidemia di HIV / AIDS. La comparsa del virus che causa la Sindrome da immunodeficienza acquisita (AIDS) e la pandemia mondiale che esso ha generato, ha prodotto un notevole aumento della mortalità nei Paesi più colpiti dalla malattia. Verso la fine del 2003, le stime riportano circa 58 milioni di persone infettate dal virus di cui circa 38 milioni ancora in vita. Circa il 93 per cento delle persone contagiate dall’HIV vivono in Paesi in via di sviluppo, ed è l’Africa sub-sahariana a registrare i tassi di contagio più alti. La mortalità per questa malattia tende ad aumentare anche in alcuni Paesi con economie in evoluzione come quelle asiatiche e nei territori colpiti da conflitti o guerre civili. Nelle Nazioni industrializzate tuttavia, la mortalità per AIDS è diminuita più rapidamente del previsto. Per quanto riguarda la diversà di genere, nel corso dell’ultimo mezzo secolo in Asia, Europa e America Latina e Carabi l’aspettativa di vita femminile è migliorata più di quella maschile. Al contrario, in Africa, Nord America e Oceania, il vantaggio femminile è rimasto relativamente invariato o addirittura è diminuito. La maggior parte delle regioni del mondo sono proiettate verso miglioramenti continui nei loro tassi di mortalità e, di conseguenza, verso un aumento delle loro aspettative di vita senza precedenti nella storia umana. Tuttavia, per i Paesi meno sviluppati, pur compiendo i miglioramenti sostanziali previsti per la metà del secolo, è improbabile che eliminino il divario nella mortalità esistente tra loro e il resto del mondo. Inoltre, date le battute d’arresto che si sono susseguite di recente, in molti di questi Paesi, non si ha la certezza che i miglioramenti previsti saranno raggiunti.

Cristina Sirch
Dirigente medico Azienda sanitaria n°1

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