Edilizia penitenziaria

Di edilizia penitenziaria si parla ancora meno che di esecuzione penale. Unico imperativo: servono più posti letto per accogliere una popolazione in crescita, da rinchiudere. Concetto troppo misero e superficiale per esprimere un qualche significato di coerenza ed attualità nella progettualità. Dal 7 novembre 2008, la questione viene affrontata in termini più politici che concreti, attraverso il “Piano Straordinario per l’Edilizia Penitenziaria”. È prevista la costruzione di nuovi penitenziari e l’ampliamento di molte strutture già esistenti per creare 20.000 nuovi posti che, al massimo, potranno recuperare, cristallizzando empiricamente i dati di oggi, l’indice di affollamento delle celle in regola con le normative vigenti. Se il ritmo di crescita della popolazione detenuta non cambia (ad oggi i detenuti sono circa 65.500 e crescono mediamente di 200 a settimana), a fine 2010 l’intero progetto diventerà assolutamente inidoneo. Tante risorse impegnate per non risolvere affatto il problema. Risulta quindi evidente come la ricetta non può essere soltanto quella della costruzione, ma pure quella di gestire diversamente l’esecuzione penale, riservandole lo spazio giusto che la società richiede. Ultima ratio in un percorso di prevenzione e di alternative. Scrive Giorgio Casoli, nell’aprile scorso: L’Italia fabbrica della delinquenza. L’ordinamento penale italiano è quello dei paesi europei che prevede il maggior numero di reati ed il sistema punitivo italiano si inserisce in un sistema processuale fra i più complicati e bizantini del mondo. Il gran numero di reati perseguibili spesso per infrazioni che non destano alcun allarme sociale finisce per intasare gli uffici giudiziari. Se si considera poi che le norme processuali dettate per i casi modesti, sono pressoché identiche alle norme dettate per i processi più gravi, si comprende bene quale spreco di attività giudiziaria ci sia per garantire diritti in astratto paritari, ma in concreto meritevoli di ben diversa e differenziata tutela. Le altre questioni sono riferite al continuo depauperamento delle risorse in termini di operatori penitenziari e di finanziamenti, già insufficienti in rapporto alle odierne esigenze di gestione, e certamente inadeguate nel prossimo futuro. Necessario quindi ripensare regole nuove di osservazione e di trattamento, con strumenti meglio calibrati alla mutata realtà odierna ed alla situazione che si andrà a consolidare nei prossimi anni. Si ipotizza, infatti, un aumento di portatori di forme differenziate, ma più marcate, del disagio. Ma anche una sempre più forte presenza di stranieri. E se si vuole attribuire la qualità della modernità all’edilizia penitenziaria, solo uno degli aspetti sui quali fermarsi a riflettere, occorre assumere il profilo di un carcere che privilegia l’aspetto dinamico e, nella sua dimensione trattamentale, recepisce il principio, magistralmente esposto da Nicolò Amato: Il processo di costruzione del nuovo è così complesso e delicato che richiede appunto l’impegno, la collaborazione, il contributo di tutti coloro che lavorano nell’amministrazione o comunque per l’amministrazione. Esso è un processo collettivo, corale, animato da un grande spirito unitario.

Francesco Dell’Aira

Rispondi