Un Sasso per il Carso

Dal banale inseguimento dei piaceri facili all’appagamento della sete di sapere, alla ricerca di un accrescimento culturale, alla riscoperta ed al rispetto di patrimoni naturali ed ecologici dimenticati: è questo il percorso che auspichiamo per la società contemporanea, per i nostri figli, per le nuove generazioni.

Mini-appartamenti, piscine, stabilimenti balneari, parchi di divertimento, discoteche. Hotel di lusso, champagne, casinò. Voli low-cost, villaggi turistici, fitness. È solo la punta dell’iceberg. Per qualche ora di relax paghiamo un costo ambientale altissimo: vengono sconvolti interi ecosistemi, scompaiono specie animali e vegetali, i terreni sono svenduti a prezzi ridicoli, i villaggi vengono spazzati via, le abitudini e la cultura degli abitanti della zona stravolti. Il tutto in nome del dio denaro. Regna la verosimiglianza, l’ovvietà, il luogo si perde fino a diventare indistinguibile dagli altri, approdiamo su “isole” artificiali tutte uguali tra loro, villaggi con lo stesso marchio di fabbrica dove troviamo esattamente quello che ci aspettiamo di trovare. Cambia il teatro, ma lo spettacolo è sempre lo stesso: bungalow, animazione, canzonette orecchiabili e lingua internazionale. Non è un viaggio culturale. Saliamo su un aereo e facciamo migliaia di chilometri per non vedere niente. Oppure saliamo su una grossa nave per godere di un paio d’ore di bancarelle quando approdiamo su una terra nuova. Questo non è viaggiare. Il turismo, come oggi lo conosciamo, prende le mosse due secoli fa dal Gran Tour, ma diviene fenomeno moderno e di massa solo a partire dalla metà del XIX secolo, quando Thomas Cook (nel 1841) organizzò un viaggio di 11 miglia da Leicester a Loughborough al quale parteciparono 570 persone.

Da un turismo di elite ad uno di massa, il passo è stato relativamente breve ed il fenomeno ha assunto via via le dimensioni e le forme contemporanee. Tuttavia, fra palazzinari, spregiudicati speculatori e consumatori incolti, nel bel mezzo della fase imperialistica di un becero capitalismo, che si nutre di fonti di energia non rinnovabili e che propugna la pappa pronta dei pacchetti vacanze, c’è qualcuno che cerca un percorso alternativo. Dal banale inseguimento dei piaceri facili all’appagamento della sete di sapere, alla ricerca di un accrescimento culturale, alla riscoperta ed al rispetto di patrimoni naturali ed ecologici dimenticati: è questo il percorso che auspichiamo per la società contemporanea, per i nostri figli, per le nuove generazioni. Nell’ottobre 2008 è stato pubblicato nel web il bando di un concorso internazionale di art-design intitolato Strategie alternative del vivere in natura, indetto dall’associazione Errastrana con il patrocinio del Comune di Sagrado ed il sostegno della Provincia di Gorizia e della Fondazione Carigo di Gorizia. Il concorso prevede la costruzione di un prototipo di rifugio temporaneo di dimensioni minime, essenziale, ecologico e rapido da realizzare, da inserire nel territorio carsico. Il rifugio/installazione fungerà da ricovero temporaneo, punto di approdo per le escursioni nel Carso, diventando un nodo di una rete più ampia composta da altri manufatti di questo tipo.

L’obiettivo è dunque quello di far interagire i visitatori con il territorio naturale del Carso e fornire un riparo che sia riconoscibile, dotato di mappe e di un kit di primo soccorso. L’associazione Errastrana, nata per rivalutare il territorio naturale in cui sorge la sua sede, ha dunque cominciato un’azione concreta per risolvere alcune delle tematiche che si riscontrano nella società in cui viviamo, quali alienazione, sradicamento culturale, speculazione territoriale. I visitatori vengono infatti invitati ad uscire dagli schemi e percorsi a cui sono abituati, a fare tabula rasa e mettersi in gioco per ritrovare la gioia dell’esplorazione, della ricerca, della scoperta, per ricostruire attraverso la cooperazione un vivere sociale in sintonia con la natura. Non si tratta di un gioco di sopravvivenza, ma di una riscoperta della nostra libertà, delle nostre capacità e del buonsenso al di fuori delle regole che ci vengono imposte e lontano dagli strumenti tecnologici di cui siamo diventati schiavi. I risultati, resi noti nel mese di Maggio, hanno messo in luce una folta partecipazione che ha visto molti progetti di elevata qualità. Fra tutti, il Sasso è risultato il più votato dalla giuria presieduta da Marko Peljhan (coordinatore dei progetti di utilizzo e progettazione di habitat mobili per la ricerca artistica e scientifica nell’Artico ed Antartide nell’ambito del progetto Interpolar Transnational Art Science Constellation) e composta da rappresentanti del design, dell’arte, dell’architettura, dell’economia e del turismo, quali: Antonio Scarponi, Stefano Cergna, Alenka čopi, Metka Belingar e lo staff di Errastrana.

Suggestioni di Gianluca Iegri e Emanuela Romiti, Refugium del gruppo di progettazione Officina Mediterranea e Vivo il karso di Massimo Giavon hanno ricevuto una menzione speciale. La notizia è stata per noi una grande sorpresa e una fonte di felicità, visto che il nostro è un gruppo eterogeneo, formato da due architetti e due artisti provenienti da esperienze e collaborazioni disparate, e che questa è stata la prima partecipazione dello stesso ad un concorso. Il progetto nasce da un insieme di tecniche che si sono accumulate nel nostro immaginario nel corso degli anni. Le culture nomadi, molteplici e variegate, che ancora sopravvivono nel tempo attuale, hanno sempre destato la nostra curiosità per le loro culture millenarie, per il profondo rispetto e conoscenza che nel loro errare dimostrano nei confronti della natura ed infine perché ci sentiamo intimamente legati a loro nell’abiurare la sedentarietà. Nei Tuareg, nei Beduini, nei nomadi afgani o in quelli tibetani, nei mongoli, nei Korjachi o nei Ciukci (nomadi siberiani), nei Lapponi o negli Inuit, abbiamo scoperto un repertorio vastissimo di tecniche di autocostruzione che sono state sintetizzate nel progetto con il quale abbiamo partecipato al concorso indetto dall’associazione Errastrana. La sintesi delle tecniche sopra citate non è la sola ad aver ispirato il lavoro: il concorso, infatti, faceva esplicito riferimento al territorio carsico. È nel carsismo, nelle rocce calcaree, che abbiamo ritrovato la suggestione emozionale, poetica: la fossilizzazione di un masso in un contesto nel quale l’acqua scioglie la roccia e scava il suolo.

È un gesto di opposizione al naturale processo di erosione, ma nel medesimo tempo è volontà di un rapporto stretto con la natura, che va oltre la semplice mimesi, che si fonda sulla conoscenza, che è capace di interazione come di rispetto. Il Sasso, se all’interno ricorda una yurta mongola, all’esterno rimanda al rapporto simbiotico tra architettura e scultura, al quale ha sempre fatto riferimento l’architetto brasiliano Oscar Niemeyer. Lontano dagli “stili”, lontano da una concezione formalistica dell’architettura, il nostro lavoro è il frutto di una ricerca sperimentale di nuove relazioni spaziali. Vicini alle tematiche sociali, vicini all’idea di una società più giusta, guardiamo al Sasso come ad una possibilità di scambio ed accrescimento culturale, di interrelazione. Il metodo costruttivo è molto semplice – principale riferimento è la tenda beja (il tradizionale riparo dei Camiti orientali è tra i più veloci da realizzare) – e adattabile alle risorse a disposizione, i materiali sono naturali, ecologici ed ignifughi. Il risultato sarà sempre diverso e dipenderà dalle abilità di chi andrà a realizzarlo, dalla loro creatività e dai materiali che è possibile raccogliere in sito. Ciò che a noi interessa non è tanto la forma, quanto il processo. La superficie potrà essere colorata con pigmenti naturali o forata in vario modo, ciò di cui si avrà in ogni caso esperienza, sarà una crosta dura – quasi rocciosa – all’esterno: un vero e proprio “Sasso” che diventi parte del contesto carsico; tuttavia, varcata la soglia lo spazio diventa morbido, caldo e accogliente, introspettivo. Il “Sasso” è, in primis, esperienza sensoriale [estratto dalla relazione di progetto].

Il Sasso, inserito nel contesto carsico, diventa il punto d’arrivo, di sosta o di partenza per l’esplorazione dell’ambiente montano, un luogo dove trovare informazioni, mappe ed un kit di primo soccorso, un’alcova per ripararsi dalle intemperie o dove poter riposare. È il campo base di un nuovo modo di esplorare il territorio, una stazione di ricerca psicogeografica, un’ancora nelle infinite possibili derive. La realizzazione del prototipo avrà luogo nei pressi dell’associazione Errastrana, a San Martino del Carso, dal 29 al 31 Luglio. L’associazione e i progettisti invitano tutti coloro che sono interessati all’evento ad assistere ai lavori. In questo modo, il progetto e le relative tecniche di realizzazione diventeranno patrimonio comune e potranno essere quindi riproposte in contesti differenti. L’obiettivo ultimo è quello di una rete di percorsi e di rifugi per i nomadi esploratori della contemporaneità. Una maglia virtuale, lungo i cui fili e presso i cui nodi è possibile fare nuovi incontri, legare amicizie o semplicemente condividere la passione per un territorio che, se nel passato è stato scenario di guerra, ora vogliamo sia oasi di pace. L’amore ed il rispetto per la natura, così come quello, ben più importante, per le persone che ci circondano, avranno una nuova pietra d’angolo: il Sasso.

Gianni Talamini, Alessandro Zorzetto,Francesca Modolo, Jacopo Toso
Associazione ERRASTRANA, Sagrado (GO)

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