Uno sguardo su risorse e criticità

Alcune città hanno avviato e regolamentato l’affido familiare già alla fine degli anni ’70 e, nello stesso periodo, si sono sviluppate le prime esperienze di associazioni familiari. In questi trent’anni molto è stato pensato e realizzato, è cresciuto il numero dei servizi affido, così come quello delle associazioni e delle reti familiari e molteplici sono certamente le risorse e le competenze sviluppate, dai servizi e dalle diverse realtà del volontariato e del privato sociale. Numerose, tuttavia, sono ancora le realtà in cui è carente, o addirittura assente, la presenza e l’intervento dei servizi pubblici, titolari dell’intervento sociale (Legge 328) e dell’affido familiare (Legge 149) e le eventuali esperienze di volontariato non possono vicariarne il ruolo

Le condizioni e i bisogni dei minori e delle loro famiglie sono divenute, in questi anni, sempre più complesse a causa della multidimensionalità dei problemi sociali, dell’emergere di nuove domande e bisogni, della complessità delle risposte e degli esiti delle stesse, dei fenomeni di “cronicizzazione assistenziale” ma, parallelamente, un notevole e positivo cammino è stato compiuto dai Servizi e dagli operatori, passando dall’erogazione di interventi assistenziali allo sviluppo di servizi ed interventi progettuali, che mirano a coinvolgere ed attivare anche gli stessi “destinatari” di tali interventi. Alcune città hanno avviato e regolamentato l’affido familiare già alla fine degli anni ’70 e, nello stesso periodo, si sono sviluppate le prime esperienze di associazioni familiari. In questi trent’anni molto è stato pensato e realizzato, è cresciuto il numero dei Servizi Affido, così come quello delle Associazioni e delle Reti Familiari e molteplici sono certamente le risorse e le competenze sviluppate, dai Servizi e dalle diverse realtà del volontariato e del Privato sociale. Ciò significa un ricco patrimonio di esperienze professionali e di volontariato, risorsa di assoluto rilievo per l’ulteriore sviluppo dell’affido. Numerose, tuttavia, sono ancora le realtà in cui è carente, o addirittura assente, la presenza e l’intervento dei Servizi Pubblici, titolari dell’intervento sociale (Legge 328) e dell’affido familiare (Legge 149) e le eventuali esperienze di volontariato non possono vicariarne il ruolo.
Il veloce mutare delle condizioni sociali richiede capacità d’ascolto ed analisi dei bisogni e adeguata programmazione e progettazione d’interventi, articolati e diversificati. Particolare significato assumono allora opportunità quali il Coordinamento Nazionale Servizi Affido (CNSA), che, da dieci anni offre agli operatori dei Servizi socio-sanitari impegnati nell’affido familiare, occasioni di incontro ove poter confrontare e condividere riflessioni, esperienze, creando una sede permanente di dibattito, di formazione e di crescita sui temi inerenti l’affido familiare e le problematiche connesse. Il volano che ne ha messo in moto la costituzione è stata l’esigenza di superare la condizione d’isolamento che frequentemente caratterizza la pratica di questi operatori e l’esigenza e volontà di avere un punto di riferimento costante, non statico ma vitale e in evoluzione. Ad oggi i Servizi aderenti sono circa 60 (e vi sono sempre nuove adesioni), provenienti da vari contesti e la ricchezza del contributo del CNSA nasce proprio dalla diversità che caratterizza il contesto territoriale, organizzativo, operativo di ognuno dei Servizi aderenti. La spinta innovativa della legge quadro di riorganizzazione dei Servizi Sociali n° 328/00 e della successiva legge di riforma dell’affido familiare n° 149/01 ha stimolato la necessità di una rilettura dei ruoli e delle funzioni dei vari soggetti pubblici e privati coinvolti nei percorsi di accoglienza temporanea di minori. Condividendo appieno il bisogno di riflessione sul rapporto tra la pubblica amministrazione ed il privato sociale nei percorsi di affido familiare che, in misura sempre maggiore e da più parti, si avverte in questi ultimi anni, il CNSA, già nel 2001, ha avviato un dialogo di riflessione comune su temi specifici con le maggiori associazioni del privato sociale che lavorano nell’ambito dell’accoglienza e dell’affido. Tale lavoro si è organizzato in due incontri l’anno, nei quali ci si confronta e si condividono i documenti predisposti dal CNSA, si raccolgono proposte per nuove riflessioni, si affrontano temi emergenti. Il CNSA, in questi dieci anni di lavoro, ha quindi portato a termine la stesura del documento sull’affido sine die ed ha curato la redazione di un articolo sulla Legge n. 149/2001, per poi predisporre, anche attraverso il confronto e la condivisione con le Associazioni, la stesura di documenti relativi a temi specifici:
– affido di piccolissimi: affidamento urgente e di breve durata, con finalità diagnostiche rispetto alla situazione nel suo complesso e rispetto alle capacità genitoriali;
– promozione dell’affido, che può essere efficacemente realizzata solo in un contesto in cui servizio pubblico e privato sociale si riconoscono reciprocamente quali portatori di competenze e funzioni diverse e siano esplicite le responsabilità e i limiti di ciascuno;
– affido di adolescenti: età in cui tutti gli interventi educativi risultano particolarmente delicati e difficili e anche l’affido richiede attenzioni peculiari, in particolar modo per quanto riguarda il momento del raggiungimento della maggior età;
– affido di minori stranieri, tema di rilievo per il sempre maggior numero di minori stranieri presenti nel nostro Paese e per tutti gli aspetti che tali affidi implicano;
– affido internazionale, rispetto al quale erano state presentate, nella scorsa legislatura, specifiche proposte di legge;
– nuove forme di accoglienza: affido familiare e accoglienze modulate per rispondere adeguatamente ai nuovi bisogni. Tali documenti costituiscono una condivisione della riflessione e dell’esperienza tecnica degli operatori dei Servizi aderenti al CNSA, messa a disposizione degli operatori di tutta Italia quale supporto per l’avvio e il consolidamento dei servizi affido. Vogliono inoltre essere di spunto per nuove riflessioni ed esperienze.

Lo sguardo del CNSA sullo scenario attuale
Negli ultimi anni, nei Servizi, si è avviato un percorso di riflessione, evidenziando la necessità di sviluppare forme innovative e flessibili d’accoglienza, in grado di rispondere alle diverse situazioni, come gli affidi «difficili» quali quelli di adolescenti, che richiedono un sostegno specifico, o le nuove esigenze emergenti (come la situazione dei minori stranieri, o di madre/bambino): accoglienze che vanno dal buon vicinato alle forme d’affido professionale. La scelta di uno strumento piuttosto che un altro è determinata da una serie d’elementi, quali la necessità di ricorrere o meno a interventi temporaneamente sostitutivi del ruolo genitoriale, la valutazione della situazione familiare rispetto agli elementi di rischio e le risorse presenti, il livello di consapevolezza e di collaborazione della famiglia d’origine. Quando occorra, si possono attuare, in un regime di consensualità, forme d’accoglienza che non prevedono la separazione tra minore e famiglia quali il buon vicinato: accoglienza, perciò, come vicinanza al disagio, alle difficoltà, alle fatiche dei minori e dei loro genitori. Concretamente, si va dall’aiuto attraverso azioni quotidiane, anche di tipo organizzativo, al sostegno nell’organizzazione della famiglia in momenti particolari, all’accompagnamento all’autonomia di giovani adulti già in carico ai Servizi per minori. Una seconda possibilità sono gli interventi di sostegno rivolto a nuclei mono-parentali che necessitano di un supporto per il raggiungimento di una piena autonomia, ma per i quali, comunque, vi sono ragionevoli previsioni di evoluzioni positive (anche quando il genitore è ancora minorenne). Per favorire lo sviluppo delle capacità genitoriali, dell’autonomia e l’acquisizione di alcune abilità per l’autogestione del quotidiano (organizzazione e gestione del tempo, ricerca del lavoro, ricerca della casa, gestione domestica, gestione dei soldi) nonché il rafforzarsi dell’autostima, il piccolo nucleo può essere accolto nell’abitazione della famiglia ospitante o vivere, da solo o con un altro piccolo nucleo, in un appartamento autonomo in prossimità della famiglia di sostegno. Le difficoltà emergenti e la necessità di pensare forme alternative all’istituzionalizzazione anche per minori «difficili», hanno reso indispensabile e opportuno pensare e avviare interventi di sostegno alle famiglie coinvolte in affidi familiari particolarmente onerosi. Sono così state realizzate esperienze innovative, come quella delle «famiglie professionali» o l’utilizzo di specifici supporti (intervento d’educatori professionali, strutture d’appoggio diurno e residenziale, mediatori culturali ecc.). Queste soluzioni, pur non rientrando nella classica definizione dell’affidamento familiare, rappresentano il tentativo di identificare ulteriori risposte a situazioni particolarmente problematiche. Anche in queste sperimentazioni deve essere comunque garantita la stessa metodologia e qualità prevista per le altre forme di affido. Va sottolineato, tuttavia, che, per situazioni particolarmente compromesse permangono vuoti di risposte: occorrono quindi riflessioni più ampie ed interventi mirati anche da parte della Magistratura (affidamenti giudiziari, dichiarazione dello stato di abbandono e di adottabilità). Questo, soprattutto nelle situazioni in cui le problematiche personali — tossicodipendenza, alcolismo, problemi psichiatrici — spesso aggravate da criticità relative all’abitazione e al lavoro, incidono pesantemente sugli sforzi e le possibilità di svolgere la funzione genitoriale.

Quali prospettive e necessità per lo sviluppo ed il consolidamento dell’affido?
L’affido familiare è un intervento complesso e delicato: i bambini, i ragazzi si trovano a vivere una doppia appartenenza, a “confrontarsi” necessariamente con le difficoltà ed i limiti della propria famiglia, ma hanno anche l’essenziale opportunità di vivere una positiva dimensione familiare ed affettiva. L’accoglienza di un minore da parte di una famiglia che non è la sua, d’altra parte, non è una questione privata, ma un fatto sociale che deve impegnare l’intera comunità locale, tenendo conto che una famiglia “che funziona” è basilare per il buon funzionamento di tutte le istituzioni sociali, politiche, economiche, educative della società. Ma ciò può avvenire solo all’interno di una comunità sensibilizzata, capace di raccogliere la sfida della giustizia e della solidarietà, spinta da cui nasce la disponibilità all’affido. Oggi l’orientamento delle attuali politiche sociali si è attestato sul modello del welfare mix che chiama le istituzioni, il terzo settore e la stessa società civile ad un cammino impegnativo: nell’ambito della tutela è necessario, tuttavia, che tale sviluppo sia garantito dalle professionalità e capacità che negli anni si sono espresse nell’ambito dei servizi pubblici, capaci di garantire le parti più deboli della società e i diritti inalienabili di ciascuno, avendo presente che tale competenza non può in nessun modo essere delegata (vedi legge 328/00). Tale contesto fa sì che diventi fondamentale e imprescindibile chiarire in modo condiviso il ruolo e la presenza dei Servizi e il contributo del “privato”, che, se competente e qualificato, riveste un ruolo fondamentale: testimonia, con il suo impegno e capacità, che la solidarietà e l’accoglienza rappresentano valori importanti e significativi che rendono migliore il contesto in cui noi tutti viviamo ed amplia le risorse e gli strumenti sulle quali il Servizio Pubblico può contare nella realizzazione del sostegno. Va inoltre segnalata la funzione di mediazione, se non addirittura di vera e propria “facilitazione”, che sovente le Associazioni svolgono tra il mondo “istituzionale” del Servizio Pubblico e la dimensione “privata” delle famiglie, garantendo per i primi un adeguato livello formale e per gli altri la possibilità di spendersi in una relazione meno strutturata e fortemente empatica. Nell’affido familiare, per altro, il contributo del “privato” nel senso più ampio del termine è, da sempre, necessario ed indispensabile, perché questa esperienza richiede l’instaurarsi di un rapporto di aiuto e solidarietà tra privati (la famiglia di origine del bambino e la famiglia che lo accoglie), in cui il servizio pubblico, l’Autorità Giudiziaria, lo Stato nel suo insieme, svolgono una funzione di mediazione, di tutela e di garanzia. L’affido e l’accoglienza familiare richiedono però di assumere un orizzonte più vasto della semplice erogazione di un servizio: il Servizio Pubblico ed il Privato Sociale, perciò, devono operare sul modello della “partnership” in un rapporto dialettico di sussidiarietà, nella distinzione e valorizzazione delle differenze, integrando i vari contributi all’interno di una progettualità più ampia, tipica delle diverse forme di affido ed accoglienza familiare. Presupposto fondamentale per lo sviluppo di tale rapporto è la realizzazione di un’azione coordinata a rete dei vari soggetti che operano nel settore, in cui un servizio pubblico forte delle proprie funzioni di garante, di indirizzo e di verifica degli interventi ed un associazionismo competente e qualificato si confrontano produttivamente, per co-costruire un linguaggio ed una prassi comune, pur nel rispetto di funzioni, identità professionali e ruoli. La rete, però, indipendentemente dal modello che s’intende applicare, non si costruisce solo tramite la definizione di norme e standard procedurali: occorre innanzitutto saper “pensare in rete”, ossia essere in grado di mettersi nei panni degli altri, di vedere il mondo anche dal loro punto di vista, di cercare i punti di contatto tra le diverse prospettive, per costruire città dove famiglie aperte all’accoglienza, operatori del pubblico e del privato realizzano un progetto comune. Si tratta di un percorso non semplice, che necessita di elementi essenziali, come la motivazione al servizio e l’apertura alla co-responsabilità, sui quali bisogna lavorare affinché si rafforzino e si diffondano a tutti i soggetti in gioco. Se questo avviene, allora, man mano che l’esperienza procede, ci si lascia reciprocamente contaminare, si stabiliscono relazioni di fiducia e “l’altro” (operatore, organizzazione, ente) non è più percepito come una controparte, bensì come un compagno di strada, in un continuo processo di arricchimento e crescita. Appare dunque quanto mai necessario lavorare insieme, con la disponibilità ad aprirsi al nuovo e senza difendere posizioni pre-costituite, in un processo che non può mai dirsi completamente esaurito: si tratta di costruire un pensiero ed un linguaggio comune e non procedure o schemi. Lavorare insieme significa aprirsi al cambiamento, rinunciare ad un identità forte a favore di un “pensiero debole”, ma forte nei presupposti di base e questa è la condizione perché il rapporto tra pubblico e privato possa continuare ad evolversi.

La legge, che assegna al Servizio Pubblico la funzione di garante della tutela dei diritti dei minori, ribadisce che la titolarità della promozione e della gestione dell’affido familiare è dell’ente pubblico e conserva all’esclusiva pertinenza dell’ente locale le funzioni inerenti la disposizione degli affidi ed i relativi compiti di controllo del corretto svolgimento dell’affido. Prevede però un preciso spazio di collaborazione da parte delle Associazioni Familiari, anche se con sostanziali diversità:
– per quel che riguarda la promozione dell’affido il coinvolgimento delle Associazioni è facoltativo, in quanto gli enti “possono” stipulare convenzioni per la realizzazione di tali attività;
– circa il sostegno agli affidi in corso e la definizione/verifica del progetto il coinvolgimento delle Associazioni è obbligatorio ma esclusivamente ausiliario, in quanto l’ente locale si avvale (non “può avvalersi”) dell’opera delle associazioni familiari eventualmente indicate dagli affidatari, ma l’intervento delle Associazioni si aggiunge all’intervento pubblico, che non può non essere realizzato o delegato in toto. La sensibilizzazione e la promozione sono pertanto il terreno privilegiato della collaborazione tra i Servizi Sociali locali ed il privato sociale e su questo tema il CNSA e le Associazioni hanno elaborato, nel 2003, uno specifico documento del quale ricordo i punti chiave:
– l’affido può svilupparsi solo nell’ambito di una complessiva promozione di una cultura della solidarietà e dell’accoglienza, che porti all’effettivo riconoscimento e sostegno dei diritti ed esigenze dei bambini e delle loro famiglie;
– occorre che pubblico e privato si riconoscano reciprocamente quali portatori di competenze e funzioni diverse, trovando sinergie e linguaggi comuni, rispetto a obiettivi chiari e definiti;
– nella fase di co-progettazione delle iniziative di promozione si dovranno fondere la conoscenza dei bisogni (in genere patrimonio dei Servizi) e la conoscenza del territorio e delle sue risorse (generalmente meglio conosciuta dalle Associazioni);
– la collaborazione tra pubblico e privato nell’ambito della promozione ha un suo naturale proseguo nella fase informativa/formativa rivolta alle famiglie interessate. L’associazionismo è inoltre competente nel collaborare per il mantenimento della motivazione all’affido nelle famiglie, sia attraverso progetti specifici condivisi, sia attraverso una continua sollecitazione al pubblico rispetto alle responsabilità che gli sono proprie. Per garantire effettivamente, allora, la tutela ed il sostegno dei bambini, dei ragazzi, anche quando ne sia necessario l’allontanamento dalla propria famiglia, ed evitare il grave rischio, se i Servizi e la Magistratura non sono dotati di adeguato personale e di idonee preparazione ed organizzazione, che vengano a concretizzarsi affidi sine die o si prolunghino gli inserimenti in strutture d’accoglienza a causa di difficoltà nell’aiutare e sostenere la famiglia di origine, per scarsa attenzione nel valorizzare i piccoli cambiamenti che si manifestano nella stessa, per carenza di decisioni rispetto alla conclusione dell’affido, sul rientro del bambino a casa o sul percorso dell’adozione, è necessario che:
– i Servizi siano attivi in tutto il territorio e possano sviluppare pienamente il loro ruolo (venendo dotati di risorse umane ed economiche adeguate e costanti), per attivare e sostenere concreti e significativi servizi ed interventi di sostegno alla famiglia d’origine, al minore, alla famiglia affidataria, anche in collaborazione con le diverse realtà associative e del volontariato. La Legge 149, pur rilevante, ha, infatti, riconosciuto ed assegnato agli Enti Pubblici la competenza sull’affido (coinvolge un’articolata ed ampia rete di soggetti che richiede energie, sensibilità, capacità peculiari e competenze professionali), ma tali Enti ad oggi devono e possono muoversi solo nell’ambito delle proprie risorse e ben sappiamo quanto queste sono spesso veramente limitate e comportano scelte, anche dolorose, rispetto alle priorità e possibilità d’intervento;
– siano predisposte, con gli operatori competenti (e su questo sta in particolare lavorando il CNSA) e le associazioni specifiche, linee guida a livello nazionale, che garantiscano su tutto il territorio italiano corrette ed analoghe modalità, sia per quanto riguarda il ruolo e l’intervento dei servizi affido, sia riguardo alla predisposizione ed attuazione dei progetti di affido, sia rispetto alla valutazione e formazione delle famiglie affidatarie, sia per quanto concerne i sostegni tecnici ed economici per gli affidatari (contributo mensile, esenzioni per accesso e fruizione di servizi, spese di carattere sanitario, ….);
– la formazione, l’aggiornamento ed il confronto professionale (e la conoscenza delle diverse esperienze), il monitoraggio degli interventi, lo studio e la riflessione rispetto ai mutamenti sociali ed il modificarsi delle esigenze e delle risorse, siano considerati prassi indispensabili a garanzia della qualità ed efficacia degli interventi, anziché, come spesso avviene, lasciarli affidati alle scelte delle singole amministrazioni ed alla buona volontà degli operatori;
– siano disponibili risorse economiche ed umane per la promozione dell’affido, che necessariamente deve essere capillare e continuativa;
– sia sostenuta e valorizzata l’esperienza delle famiglie affidatarie, delle Associazioni e delle Reti di famiglie, perché costituiscono un importante punto di riferimento per le famiglie ed il loro contributo è una grande ricchezza, che integra ed ampia il lavoro degli operatori sociali. Tutto ciò richiede allora urgentemente la messa in campo, a livello nazionale e locale, d’investimenti e risorse costanti e rilevanti e l’emanazione d’indicazioni vincolanti per le Pubbliche Amministrazioni (rispetto all’organizzazione di Servizi Sociali e di Servizi Affido), senza le quali la “risorsa” affido non può decollare, disattendendo così al diritto, unanimemente riconosciuto, di ogni bambino ad una famiglia che ne abbia cura e l’accompagni nella costruzione delle basi della propria vita.

Liana Burlando
Responsabile affido familiare Comune di Genova
Segreteria CNSA (Coordinamento Nazionale Servizio Affidi)

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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