Aspettative d’amore

L’iter giudiziario e burocratico che porta all’inserimento di un bambino in una famiglia diversa da quella biologica è complesso, articolato, a volte insidioso. Molto più di quanto potrebbe, e dovrebbe, essere, in considerazione della finalità che l’adozione persegue: assicurare una famiglia a chi una famiglia non ce l’ha

 Da quasi vent’anni non mi occupo più di adozioni. Per scelta, dolorosa e rigorosa: per non vedere così spesso delusi e frustrati l’investimento affettivo di tante coppie ma, soprattutto, l’aspettativa d’amore di molti bambini, provati e privati. Lo scopo e principio ispiratore dell’istituto dell’adozione è quello di garantire al minore che si trova in accertato stato di abbandono, il diritto di vivere e crescere in una famiglia – diversa da quella biologica che, evidentemente, non ha saputo o potuto assicurargli il soddisfacimento delle sue primarie esigenze di vita – dalla quale ricevere tutto il nutrimento (affettivo, educativo, morale e materiale) necessario al suo sereno e armonico sviluppo psico-fisico.  Ma non si può nemmeno trascurare il coinvolgimento, intimo e profondo, degli aspiranti genitori che scelgono di avere un figlio non loro. Un bambino nato da altri e, dunque, con una storia personale e genetica non comune alla loro. L’iter giudiziario e burocratico che porta all’inserimento di un bambino in una famiglia diversa da quella biologica è, però, complesso, articolato e a volte anche insidioso. Molto più di quanto potrebbe, e addirittura dovrebbe, essere, proprio in considerazione della finalità che l’adozione persegue.  Cioè, di assicurare una famiglia a chi una famiglia non ce l’ha. E chi affronta questo percorso, spesso lo fa con molta più consapevolezza, determinazione e impegno di chi mette al mondo un figlio suo. A volte per caso. Il bambino di chi non ha genitori adeguati, per i più disparati motivi può diventare “figlio” dello Stato. Ma lo Stato non lo deve dimenticare negli istituti, come invece purtroppo avviene. Infatti, se da un lato è legittimo e doveroso richiedere e verificare che gli aspiranti genitori abbiano gli specifici requisiti tassativamente previsti dalla legge (come, per esempio, la stabilità dell’unione e una certa differenza di età nei confronti dell’adottando), dall’altro è inaccettabile che per portare a conclusione il percorso adottivo possano volerci anche degli anni. E costi, sia morali sia materiali, davvero elevati.  Quando a pagare, nei fatti, è la vita non vissuta di un bambino.In particolare, la strada dell’adozione prevede che gli aspiranti genitori presentino una domanda al Tribunale per i Minorenni, che poi, con comodo, valuta i requisiti previsti dalla legge e l’idoneità della coppia ad accogliere un figlio. Questa approfondita indagine viene fatta dal Tribunale per il tramite dei servizi sociali territorialmente competenti che hanno il compito di esaminare le condizioni di vita della coppia, le motivazioni alla base della scelta dell’adozione, e la loro concreta capacità genitoriale.  L’analisi viene estesa alle rispettive famiglie di origine. Accertata l’idoneità della coppia, il percorso si differenzia a seconda che si scelga l’adozione nazionale o quella internazionale (percorsi che, il più delle volte, vengono intrapresi contemporaneamente). Nel primo caso, il Tribunale per i Minorenni, valutate le indagini, sceglie, tra tante, la coppia giudicata più idonea e dispone l’affidamento preadottivo, che dura un anno. Decorso tale periodo, se il Tribunale ritiene che non vi siano ostacoli, pronuncia l’adozione. Nel secondo caso, invece, la coppia deve, entro un anno dal decreto di idoneità, rivolgersi obbligatoriamente a un Ente autorizzato dalla Commissione per le adozioni internazionali, che può essere scelto anche in base al paese in cui lo stesso opera. L’Ente segue gli adottanti durante tutto il percorso – anche con la collaborazione di psicologi e altri esperti – e si occupa delle procedure di ’”abbinamento” tra la coppia e uno o più minori in stato di adottabilità, in base al profilo tracciato nel provvedimento del Tribunale. Successivamente, i genitori, sempre con l’assistenza dell’Ente, si devono recare nel paese di origine del loro quasi-figlio, affinché inizino gli incontri e la conoscenza con il bambino. Solo dopo che anche le autorità del paese straniero hanno espresso il loro parere favorevole all’adozione, la nuova famiglia può rientrare in Italia. Mi piacerebbe poter dire che, sia per l’adozione nazionale che per l’internazionale, l’iter è, tutto sommato, semplice e che tutti i passaggi obbligati e gli ostacoli, anche burocratici, che le coppie devono affrontare sono dovuti esclusivamente dall’esigenza di tutelare l’interesse dei minori. Invece non è così. Purtroppo. E la controprova è che nelle nostre comunità ci sono molti bambini, ormai grandicelli, da troppo tempo privi delle cure e delle attenzioni che solo una famiglia può offrire. Mentre, contemporaneamente, ci sono aspiranti genitori che aspettano senza risposte concrete un segnale per occuparsene. C’è, dunque, da capire perché le adozioni spesso si inceppano nei diversi meccanismi burocratici, giuridici e politici. C’è da capire perché nessuno senta l’urgenza di salvare un bambino, preferendo farsi scudo della rigidità di norme che potrebbero facilmente essere piegate (non infrante) dall’umanità e dalla responsabilità dei singoli operatori che le applicano. Quegli stessi operatori che gridano allo scandalo quando qualcuno più ricco o più coraggioso trova la via breve per superare il labirinto dell’attesa.

Il vero scandalo è nella lentezza, non nell’urgenza di dare una risposta d’amore.

Anna Maria Bernardini de Pace
Avvocato divorzista, giornalista e scrittrice

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