Mercato illegale o supermarket?

Il progressivo prendere piede della tendenza a vedere le droghe, e un po’ tutte le sostanze psico -attive, in una luce di “normalizzazione” culturale all’interno di una più ampia cornice in cui il disagio socio-culturale ha spalancato le porte a  esperienze “estreme” e precedentemente giudicate pericolose. In questo quadro, l’offerta di droga, un tempo di nicchia, si è fatta molto più ampia e variegata

La percezione sociale del fenomeno “droga” è un tema particolarmente rilevante ed il ruolo che gioca la stampa nella costruzione di stereotipi, nella conferma o meno di luoghi comuni o nella capacità di far emergere dati per un giudizio razionale, è addirittura scontato.

Iniziamo però ad analizzare lo “scenario”: uno dei mutamenti più significativi, che oggi è possibile registrare, è rappresentato dal progressivo prendere piede della tendenza a vedere le droghe, e un po’ tutte le sostanze psico -attive, in una luce di “normalizzazione” culturale, all’interno di una più ampia cornice in cui il disagio socio-culturale ha spalancato le porte a modi d’essere sempre più possibilisti nei confronti di esperienze “estreme” e precedentemente giudicate pericolose.

In questo quadro, l’offerta di droga un tempo in fondo molto di “nicchia”, si è fatta adesso sempre più ampia e variegata sino a configurare una situazione di mercato illegale raffigurabile come un vero e proprio “supermarket” delle droghe, in cui ciascuno può trovare le più diverse varietà di sostanze, lecite ed illecite, in relazione alle proprie esigenze e al contesto in cui dovrà avvenire l’assunzione.

In questo senso, il panorama delle tossicodipendenze sta cambiando rapidamente. Infatti, il ripetersi dell’utilizzo delle sostanze psico-attive, secondo pattern comportamentali variegati e modulabili in relazione alle circostanze, sempre più tenderebbe a configurarsi come accumulo e giustapposizione di “tossico-esperienze”, in virtù del fatto che, per lungo tempo, la stimolazione chimica da esse indotta tenderebbe a rimanere collocata nell’immaginario e nelle pratiche degli individui consumatori/utilizzatori come un’esperienza isolata (quasi mai continuativa) , il che contribuisce a mantenere nella loro percezione soggettiva la sensazione dell’auto-controllo e del potere iper-prestativo, con l’accentuarsi quindi dell’appetibilità apparentemente “utilitaristica” delle assunzioni in un circolo vizioso di difficile interruzione, la cui amplificazione discende dal subentrare, secondo alcuni, di una vera e propria “malattia metabolica” del cervello.

Si deve constatare che il dilagante utilizzo di sostanze stimolanti fa sì che un numero sempre crescente di adulti inseriti in attività lavorative siano impegnati in esse, in una situazione psichica di alterata percezione del proprio sè e dei propri limiti: dal momento che le sostanze stimolanti agiscono subdolamente proprio espandendo l’Io e conferendo al consumatore un’erronea percezione delle proprie possibilità, vi è il sempre maggiore rischio che professionisti e lavoratori generici ai quali ci affidiamo ed a cui affidiamo interessi che ci appartengono , siano, durante l’esecuzione dei compiti loro affidati, in una situazione di assenza di lucidità, mascherata da forme di pseudo-efficientismo chimicamente indotto.

La conoscenza del pericolo proviene  dal mondo degli esperti , che hanno una funzione di “ super- patres “ sociali e come tali hanno l’autorità per dettare regole.

Interessante è vedere che i politici, che sono i “padri “ del paese dei “super padri con superfamiglia”, si sono spesso  trovati spiazzati quasi quanto i padri di famiglia e hanno però avuto , l’umiltà,(almeno alcuni,più accorti)   o hanno visto l’opportunità di delegare parte del loro potere a chi è competente , coinvolgendo sempre più gli operatori ed i professionisti del settore, arrivando nel tempo anche a sostituire nelle campagne informative e di prevenzione  i testimonial di un tempo (calciatori,artisti,cantanti famosi) con  giovani-adulti con maggiori conoscenze perché magari il problema lo hanno vissuto in prima persona  ma lo hanno superato tanto da diventare loro stessi i testimonial più credibili ,o meglio “peer educators “ percepiti come vicini e credibili .

La potenza del “passaparola” non diminuisce con l’abbondanza dei “mezzi di massa” e degli strumenti di comunicazione. Semmai aumenta, perché oltre all’incontro personale (sempre insostituibile) si può diffondere più velocemente con il telefono, con la “posta elettronica”, con lo scambio di “messaggini”, con le chat, eccetera (per non parlare di sistemi un po’ dimenticati, ma non defunti, come la posta “tradizionale”, il fax o le reti di “radioamatori”).

Se questo è, in sintesi, il quadro della situazione per quanto riguarda il rapporto tra giovanissimi,famiglie e stili di vita che influenzano gli acquisti, un ulteriore elemento di riflessione ci deve venire dal rapporto che gli adulti (e non solo) hanno con i “farmaci” , le “pillole”.

Si portano in tasca come un tempo si portavano i vecchi amuleti o i  “santini “, servono a calmare il dolore improvviso ma soprattutto ad esorcizzarlo. Sono i farmaci ” pret à porter ” , i prodotti da banco di cui gli italiani sono diventati grandi consumatori: contro il mal di testa o il mal di denti, per l’attacco alla schiena o la crisi di allergia.
Pillole e cachet che aiutano a star meglio ma che spesso sono un supporto psicologico, una stampella, contro la paura di défaillances.
Sembra che gli italiani non escano mai senza portare una pillola anti-dolore in tasca o in borsetta. Lo fa almeno il 42 per cento delle persone intervistate dal mensile Riza Psicosomatica che ha recentemente analizzato il rapporto fra italiani e farmaci.

Le tipologie di intervento offerte dai Servizi per tossicodipendenti si basano su un’analisi della situazione non più attuale.
Nel corso degli anni sono cambiate le modalità di consumo, le sostanze consumate, i profili del consumatore così come i luoghi del consumo stesso.
La lotta condotta dai Servizi per tossicodipendenti. nei confronti dell’abuso di sostanze stupefacenti, come eroina e similari, ha portato i servizi a costruire esperienze, organizzazioni interne, profili professionali che non sembrano rappresentare più la richiesta, molto spesso non diagnosticata, dell’utenza potenziale.

Il risultato di questa situazione è un servizio pubblico che molto spesso si cristallizza in meccanismi di ricevimento, diagnosi e mantenimento a favore di coorti di popolazione consumatrici inveterate , cui si contrappone la nascita di nuovi modelli e nuovi tipi di risposta più frequenti nel settore privato non profit, più dinamico e pronto a cogliere il suggerimento dell’utenza.
Tale situazione di passività si ripercuote sul personale, avvilito da processi regolati da elementi rituali, da approcci creativi scarsamente stimolanti o differenziati, favorendone il burn-out.

La registrazione dei dati e le procedure analitiche che ne devono derivare per generare la conoscenza utilizzabile per l’orientamento del servizio, l’allocazione delle risorse, la stessa programmazione degli interventi sul territorio è spesso carente, esaurito il debito informativo nei confronti dei vari soggetti “ufficiali” richiedenti, inficiando la capacità di adattamento della rete assistenziale alle esigenze che mutano rapidamente .

Poichè l’allarme sociale relativo al deviante ed al diverso non si è (ancora) attivato nei confronti di chi fa uso di psicostimolanti   la  percezione del rischio rispetto all’utilizzo delle “nuove droghe” è, generalmente, molto bassa sia dal punto di vista individuale che da quello sociale.

E’ abbastanza interessante notare come anche alcuni pronunciamenti di opinion leaders del settore siano già indirizzati rispetto all’affermazione che non è possibile pensare che, ad occuparsi di questi fenomeni, siano  i Servizi  per le tossicodipendenze così come sono ; a parer loro, non è possibile, infatti, ghettizzare questi nuovi abusatori di sostanze all’interno di situazioni connesse con il disagio, la devianza e l’emarginazione.

Il nostro Paese, dopo aver impiegato anni a costruire un sistema di intervento sulle tossicodipendenze, sembra, poco per volta, riconoscere come questo potrebbe non essere adatto ad affrontare i nuovi fenomeni di abuso di sostanze..

Il concetto di tossicodipendenza è stereotipicamente collegato ,nell’immaginario collettivo, all’utilizzo di eroina endovena ed  i Servizi  per le tossicodipendenze (siano essi pubblici o del privato sociale), sono il luogo dove vanno i tossicodipendenti (ossia gli eroinomani cronici).

Pertanto il problema “nuove droghe” rende necessario un ampio e approfondito ragionamento sul significato, sull’attività, sull’organizzazione dell’offerta dei servizi per tossicodipendenti  ed in particolare sull’immagine pubblica dei Sert . Questo ragionamento potrebbe essere molto utile non solo per l’intervento sui nuovi tossicofili ma anche per l’intervento sugli eroinomani.
Se questi servizi continueranno ad essere identificati (e ad identificarsi !?) come il luogo per gli emarginati, difficilmente potranno essere qualcosa di diverso da un contenitore per l’emarginazione fino ad essere, così come oggi accade, essi stessi emarginati rispetto ad altri servizi del sistema socio-sanitario-assistenziale.

Probabilmente i servizi per tossicodipendenti  dovranno  diventare qualcosa di concettualmente ed operativamente diverso sia dal sert inteso come ambulatorio unico ed omnicomprensivo che si occupa contemporaneamente, con lo stesso setting ed analoghe procedure, di qualunque tipo di problema connesso all’uso di qualsiasi sostanza d’abuso; sia dalla comunità terapeutica intesa come “ripostiglio” dove inserire casi disperati, persone problematiche e delle quali non si ha ancora una diagnosi certa . Probabilmente sarà necessario  superare gradualmente il concetto del dualismo pubblico – privato sociale per arrivare alla considerazione di un unico sistema di offerta dei servizi alle persone tossicodipendenti  gestito in parte dalle Amministrazioni regionali e in parte dal privato no profit , con lo Stato che garantisca i livelli essenziali di assistenza, sia il garante di una omogeneità nella offerta dei servizi su tutto il territorio nazionale,  ne verifichi (avendone condiviso e concordato la metodologia con le Regioni  e tutti gli attori del sistema ) l’ efficacia,l’adeguatezza e la corrispondenza ai presupposti ed alle evidenze scientifiche che via via emergano.

Secondo alcuni il sistema potrebbe essere governato da una Agenzia Nazionale con diramazioni regionali che veda la partecipazione delle varie componenti del sistema stesso responsabilizzate sulla programmazione, sulla gestione degli interventi, sul controllo degli standard, della qualità, dei risultati e della spesa; secondo altri questi compiti andrebbero declinati da un sistema che preveda un Dipartimento nazionale, dei Dipartimenti regionali e dei Dipartimenti territoriali delle dipendenze .Un dato di fatto difficilmente confutabile è che l’attuale sistema di intervento, cresciuto in maniera tumultuosa e poco sinergica, rischia, oggi, di diventare un sistema statico o addirittura di non riuscire a diventare  mai un “sistema “, rischiando, alla rincorsa di questa o di quella iniziativa che, al momento, può sembrare vincente, di perdere significato e di essere poco incisivo sia sulle vecchie che sulle nuove forme di abuso.La concentrazione di tossicodipendenti ” tradizionali ” in un unico luogo che dovrebbe essere in grado di fornire tutte le prestazioni necessarie sanitarie, psicologiche, assistenziali, ed educative, coniugando diverse soglie di intervento e diversi setting clinici, per tipologie di clienti molto diverse fra loro è, infatti, assolutamente  distonica con la possibilità di realizzare programmi terapeutici individualizzati.

Bisognerebbe far sì che ai professionisti ed  agli operatori  dell’intervento sulle tossicodipendenze e sui fenomeni di abuso venga data la  possibilità di essere elementi fondamentali per le scelte di programmazione.Appare chiaro che gli interventi futuri ,per la loro stessa complessità, dovranno inevitabilmente basarsi su sistemi di rete veri;
in  questo momento non è altrettanto chiaro quale potrà essere l’esito complessivo di cambiamenti strutturali profondi che sono ormai alle porte , dato che per esempio,
il progressivo decentramento del potere gestionale inerente le azioni del sistema sociale e sanitario, spinge alla costruzione di reti locali.

E’ da ritenersi, pertanto, che un momento di transizione così delicato debba essere assolutamente governato garantendo che le risorse investite in questo settore possano effettivamente risultare di vantaggio per i cittadini , tossicodipendenti e non.

In questo senso è da considerare  che le reti locali, soprattutto quando facciano parte di un sistema direttamente finanziato da tutti i cittadini, possano esistere solo se regolamentate ,governate e verificate all’interno di una programmazione cui i componenti delle reti stesse non possono essere estranei anche nelle assunzioni di responsabilità.

Il rischio potrebbe essere la distruzione di esperienze consolidate negli anni da operatori professionali del pubblico e del privato non profit.

Avrebbe senso, invece, conservarle e valorizzarle in quanto costruiscono la base di una azione veramente indirizzata all’interesse dei cittadini e della società anche se completamente al di fuori di logiche di mercato.


ANDREA FANTOMA
Presidenza del Consiglio dei Ministri
Dipartimento Nazionale per le Politiche Antidroga
Direttore Generale Ufficio per il Monitoraggio

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