Patologia della società senza padre

Tutti gli studi svolti sull’argomento hanno dimostrato che i bambini che crescono senza un padre hanno una vita molto più difficile dei bambini che hanno entrambi i genitori in casa. Inoltre, assieme alla figura paterna viene scalzato anche il principio d’autorità. Se non bisogna più obbedire al padre, perché allora assecondare il vigile, il bigliettaio o chiunque chieda di obbedire a una norma?

Che fisionomia assume la società (la personalità collettiva), e l’individuo (la personalità soggettiva), in tempi di lotta contro il padre (o Rivolta contro il padre come già la chiamava Gerard Mendel nel 1968)?

Anticipiamo subito qualche conclusione. Dal punto di vista economico, si tratta di una società povera. La Ohio Psychological Association afferma che le questioni che si riferiscono alla custodia e al mantenimento dei bambini di divorziati provocano una perdita di produttività superiore a quelle derivanti dai problemi di alcool e droga messi insieme.

Soprattutto, però, la società senza padri è fortemente patologica.

Tutti gli studi svolti sull’argomento hanno dimostrato che i bambini che crescono senza un padre hanno una vita molto più difficile dei bambini che hanno entrambi i genitori in casa. Qualche dato, fornito dagli Uffici del Censimento americani: il 90% di tutti gli homeless, persone senza dimora, e dei figli fuggiti da casa, non avevano un padre in famiglia. Il 70% dei giovani delinquenti ospitati in istituzioni statali venivano da famiglie dove non c’era il padre. L’85% dei giovani che si trovano in carcere sono cresciuti senza padri. Il 63% dei giovani che si tolgono la vita hanno padri assenti.

Per capire meglio come si configuri la patologia della “società senza padri”, ricordiamo il “segno del padre” con la capacità di reggere le ferite, e le perdite, che la vita inesorabilmente infligge per poter proseguire il suo percorso. Ebbene la “società senza padri”, dove la fabbrica dei divorzi riduce spesso il genitore maschio a individuo senza casa, homeless, emarginato, deviante, è un’aggregazione di persone incapaci di reggere le ferite della vita.

I cittadini di una “società senza padre” vedono la perdita come affronto personale, più che come una prova dell’esistenza, legata anche al destino spirituale dell’individuo. Di queste “perdite”, incomprensibili e inaccettabili, fa anche parte il sacrificio di dover riconoscere il principio d’autorità scalzato assieme alla figura paterna. Se non bisogna più obbedire al padre, perché allora assecondare il vigile, il bigliettaio, chiunque chieda di obbedire a una norma?

Gli esempi di questa debolezza e fatica ad affrontare la vita e le sue prove sono innumerevoli. Molti li abbiamo condensati, e li completeremo con statistiche forse noiose alla lettura ma eloquenti. Il lettore può d’altra parte accompagnare le situazioni qui descritte con episodi di cronaca (ognuno di noi ne ricorda qualcuno), che illustrano con singoli episodi questo quadro generale. Dai suicidi “per protesta” contro il brutto voto o il mancato acquisto del motorino, all’enorme difficoltà provocata da ogni separazione, compresa quella dalla casa della famiglia d’origine, da cui il giovane fa sempre più fatica ad allontanarsi, per investire, faticosamente, sul proprio futuro personale.

Il “sacrificio”, inteso non tanto come sacralizzazione, sacrum facere, ma semplicemente come rinuncia necessaria per ottenere qualcosa, attraverso un investimento sul proprio futuro, sembra sempre più doloroso, impossibile da reggere. Oltre tutto, l’ideologia della vita come spettacolo, dove il successo premierà l’esibizione narcisistica e non il sacrificio, toglie ogni prestigio sociale all’esperienza della privazione finalizzata a una crescita futura.

Una recente inchiesta del CNR sugli adolescenti conferma che essi mancano oggi dell’autostima necessaria per affrontare la vita. La psicologa Patrizia Vermigli, coordinatrice della ricerca, sottolinea la relazione tra bassa autostima e sbiadimento della figura paterna e afferma: “In quest’ultimo studio abbiamo rilevato che è il padre la figura più importante per gli adolescenti. E’ lui il genitore che da sostegno quando si tratta di socializzare o di “buttarsi” nelle situazioni nuove, che aiuta il ragazzo a staccarsi dal nido e ad essere più autonomo facendo affidamento solo sulle proprie forze. La madre, invece, lo vuole tenere vicino a sé, ha più difficoltà a lasciarlo allontanare. Questo è un atteggiamento che frena la maturazione dell’adolescente, e che può provocare anche una scarsa autostima e una difficoltà a socializzare con i coetanei”.

Il danno dell’assenza paterna è, però, ancora più grave. L’autostima infatti (l’esperienza clinica lo dimostra ogni giorno) alimenta la spinta vitale e lo stesso istinto di conservazione. Più l’individuo è consapevole del proprio valore, più forte è la sua relazione con la vita e viceversa. E’ per questo che i figli senza padri, lesi nella propria autostima capeggiano le statistiche dei suicidi: 75%.

Adeguarsi alla norma, reggere il confronto del piano di realtà, diventa difficilissimo senza un padre che introduca alla società.

I concetti base dell’etica, indispensabile per sviluppare la volontà, vengono completamente disattivati dall’ideologia del “padre eliminabile”. Così, il “dovere” è ormai considerato quasi una “brutta parola”; come tutto ciò che è vagamente collegato al paterno. Il “diritto”, dal canto suo, perde il suo lato scomodo, di ciò che dobbiamo agli altri, per diventare esclusivamente acquisitivo: ciò che gli altri devono a noi.

Questo è lo scenario psicologico, simbolico e morale, indotto dalla cacciata del padre nella coscienza collettiva dominante. Non c’è da stupirsene. Secondo la psicoanalisi classica, nello psichismo collettivo infatti, il diritto, così come la “vera razionalità, che mostra una fermezza sempre uguale e temperata dall’amore” (Mendel), sono attributi legati all’immagine simbolica ma anche fisica del padre. Mentre la simbiosi fusionale, necessariamente precedente ogni norma e ogni diritto, consente l’inizio della vita nella relazione con la madre. Ciò fa sì che per la psiche, come osserva ancora Mendel: “Onnipotenza e arbitrio…..sono sempre vissuti…. Inconsciamente, come provocati dalla madre cattiva”, figura interiore del bambino che prende il sopravvento nella sua psiche quando non c’è più una figura paterna capace di contenerla.

E’ bene ricordare che questa “madre cattiva” interiore può non avere nulla a che fare con la madre della realtà, che è spesso ottima e animata dalle migliori intenzioni. La cattiva “strega”, come è illustrata anche dalle fiabe, compare quando la figura paterna manca, od è emarginata, priva di autonomia volontà e potere di incidere sulla realtà. Questa situazione rende attiva nella psiche del bimbo la figura della “madre cattiva”. E’ la forza psicologica rappresentata, ad esempio, dalla dea delle origini, Tiamat, nei miti di creazione babilonesi. Tiamat non esita a scatenare il caos attraverso una guerra tra gli dei, e contro il suo stesso figlio Marduk, pur di non rinunciare alla propria potenza senza regole. Il figlio e la figlia allontanati dal padre vengono dunque, in questo modo, divisi dalla forza archetipica del padre che organizza la materia e il corpo, imponendovi una prospettiva di sviluppo, una direzione, realizzata anche attraverso l’apprendimento del sacrificio, dell’autodisciplina. Privati di questa forza, indispensabile alla crescita della vita, i figli si vendicano, a livello inconscio, proiettando l’immagine della “madre negativa” sulla società (vista come prepotente e cattiva), che ha provocato la loro separazione dal padre.

 

Claudio Risè
lavitasacra@claudio-rise.it
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Il padre l’assente inaccettabile (San Paolo)

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