Vincerà il coraggio delle africane

Il 29 novembre 2005, a seguito del raggiungimento delle 15 ratifiche necessarie, è entrato in vigore il Protocollo sui Diritti delle Donne in Africa – il cosiddetto Protocollo di Maputo – che nell’articolo 5 segna un punto determinante nella lotta contro le mutilazioni genitali femmnili.

Stando ai dati forniti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, sono tra i 130 e i 140 milioni le donne che, nel mondo ma prevalentemente in Africa ed in alcuni paesi arabi, hanno subito una mutilazione genitale femminile (MGF) e due o tre milioni le fanciulle che annualmente ne sono vittime. Questa pratica che va, con procedimenti spesso cruenti, dall’asportazione del clitoride alla cucitura delle grandi labbra, non ha alcun legame con la religione, sia l’islam che il cristianesimo, anche se è spesso strumentalmente utilizzata come alibi per giustificarla, ma piuttosto fa parte di una tradizione patriarcale ancestrale, che da centinaia d’anni consente all’uomo di esercitare la propria potestà sul corpo femminile e di controllarne la sessualità. Io penso che nessuna giustificazione possa essere addotta per continuare a infliggere a ragazze e bambine la violenza di un rito ancestrale che calpesta il rispetto dei loro diritti fondamentali all’integrità fisica e alla salute riproduttiva.

Per questo, insieme all’associazione radicale Non c’è Pace Senza Giustizia di cui sono fondatrice, abbiamo lanciato nel 2002 la campagna internazionale “StopFGM”, Questo impegno ci ha portati in molti paesi africani (Cairo nel giugno 2003, Nairobi nel settembre 2004 e Djibouti nel febbraio 2005), per sensibilizzare i governi e appoggiare chi, sul campo, lavora con difficoltà e determinazione per mettere fine a questa pratica, cercando anche di favorire il confronto fra governi, società civile e organismi non-governativi al fine di elaborare strategie, anche legislative, per contrastare la pratica in maniera efficace. Dopo i risultati importanti riscontrati con la Conferenza tenutasi al Cairo nel giugno 2003 e grazie al sostegno finanziario della Cooperazione italiana e dell’UNICEF, abbiamo incentrato la nostra campagna sulla promozione della ratifica e l’implementazione del Protocollo sui Diritti delle Donne in Africa – il cosiddetto Protocollo di Maputo – adottato, nel luglio 2003, da 53 Capi di Stato di paesi membri dell’Unione Africana.

Si tratta di un documento straordinariamente avanzato che contiene tutta una serie di disposizioni che concernono la vita civile e politica – ad oggi pressoché inesistente – delle donne africane. Soprattutto, all’art. 5 esso condanna, come violazione dei diritti umani, tutte quelle pratiche lesive della salute fisica e psichica della donna; in particolare, fa esplicito riferimento alle mutilazioni genitali femminili (Mgf), impegnando gli Stati parte ad adottare le misure di legge necessarie ad impedire il protrarsi di tali pratiche e ad informare e sensibilizzare tutti i settori della società rispetto alle Mgf e alle loro conseguenze.

Con l’entrata in vigore, il 29 novembre 2005 a seguito del raggiungimento delle 15 ratifiche necessarie, di questa vera e propria “carta dei diritti” delle donne africane, si è segnato un punto determinante nella lotta contro le MGF e contro tutte le discriminazioni di genere che vigono in questo continente. Occorre ora lavorare per incrementare il numero degli Stati parte e assicurare l’attuazione effettiva delle sue disposizioni attraverso l’adozione a livello nazionale di provvedimenti legislativi per contrastare le MGF. A questo scopo, il 21 e 22 febbraio scorso, abbiamo organizzato con il governo del Mali, dove nonostante una lotta avviata da molto tempo le mutilazioni riguardano ancora più di 90% delle donne, una conferenza subregionale che ha coinvolto con successo rappresentanti governativi, di parlamenti e della societa’ civile del Mali e di tutti i paesi dell’Africa occidentale.

Al di là del loro successo che certamente non può essere considerata un fine in sé, queste conferenze dimostrano che una volta organizzate, una volta non lasciate più sole, le militanti anti-mutilazione hanno una forza travolgente, e non le ferma più nessuno. E quindi necessario non dismettere il dialogo/confronto che, senza timidezza alcuna e con uno straordinario coraggio, le protagosìniste di questa battaglia sono ormai riuscite a innescare. E lavorare per creare nuove sinergie e occasioni di lotta comune. Mi auguro che, in futuro, grazie all’impegno congiunto dei governi e della società civile, le mutilazioni genitali si coniugheranno esclusivamente al passato. Si tratterebbe, evidentemente, di una conquista politica e sociale epocale per le donne.

Emma Bonino
Deputato Europeo

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