In Fuga dall’invecchiamento

L’allungamento della vita è prima di tutto una sfida per i sistemi sanitari. Occorre sviluppare l’assistenza personalizzata e domiciliare, medica e infermieristica. Vivere più a lungo è un’opportunità che va costruita nel tempo, con la prevenzione, con uno stile di vita attivo, ricco di relazioni umane, familiari e sociali.

E’ possibile immaginare un rilancio delle politiche sociali senza una risposta strutturale al problema dell’invecchiamento? I dati parlano chiaro e non è possibile eludere il problema, non ci sono facili vie di fuga.  L’Italia, da troppo tempo, è il paese più vecchio d’Europa: il 16,5% della popolazione supera i 65 anni d’età e questa percentuale salirà al 20,4% nel 2010. Tra venti anni ogni 100 ragazzi al di sotto dei 15 anni avremo 307 persone con più di 65 anni. Un rapporto giovani/anziani assolutamente inedito che costituisce una seria ipoteca sull’equità delle prospettive di crescita del paese. Un rapporto tra le generazioni che cambia il volto della società e delle famiglie.Si fanno meno figli e, rispetto a 30 anni fa, si sono modificate le tradizionali tappe della vita. Sempre più giovani-adulti faticano a conquistare l’autonomia economica e a sganciarsi dalla propria famiglia. Precarietà del lavoro, caro vita, difficoltà a trovare un alloggio certo non aiutano l’ingresso nell’età adulta e nelle responsabilità. La trasformazione dei rapporti di famiglia ha un risvolto pesante anche sul lavoro di cura di tante donne, alle prese con i problemi di questi figli e dei propri genitori anziani. Contemporaneamente, soprattutto nei grandi centri e nelle aree urbane del nord, cresce il numero degli anziani soli e solo al sud tiene ancora, seppure con maggiori sofferenze che nel passato, la rete degli aiuti parentali. E’ un panorama complesso, ricco di sfaccettature eppure da troppo tempo sottovalutato dalla politica. L’invecchiamento della popolazione è stato affrontato quasi esclusivamente come un problema previdenziale. Ci si è occupati della riforma delle pensioni, drammatizzando il tema e affrontandolo solo in chiave di tagli e correttivi non avendo presente che ai nostri pensionati, insieme, alla tutela del reddito occorre un robusto sistema di servizi socio-assistenziali e sanitari. Il risultato è stato quello di varare una riforma inaccettabile e sganciata da un disegno complessivo di tutela della dignità e della qualità della vita dei nostri anziani. L’allungamento della vita è prima di tutto una sfida per i sistemi sanitari e il nostro modello di welfare. Vivere più a lungo è un’opportunità che va costruita nel tempo, con la prevenzione, con uno stile di vita attivo, ricco di relazioni umane, familiari e sociali. Ma l’epidemiologia registra insieme a questa opportunità, la crescente incidenza di malattie croniche e invalidanti, di una diffusa condizione di disabilità e non autosufficienza. E all’improvviso, nelle famiglie, irrompe la novità di una convivenza sempre più  difficile con la persona anziana e malata. E ci si scopre soli, senza l’aiuto necessario e con un sistema pubblico socio-sanitario ancora del tutto impreparato a dare risposte ai bisogni crescenti di salute e “ben essere”. Tutto il contesto familiare è coinvolto e deve modificare la propria quotidianità, con nuovi e pesanti costi esistenziali e sociali.

Oggi in Italia sono quasi 2 milioni le persone non in grado in maniera autonoma di provvedere a se stesse. L’esplosione della richiesta di badanti non è altro che una risposta privata ad un bisogno pubblico, quello della non autosufficienza. E le malattie croniche e degenerative – l’Alzheimer, il Parkinson –  vanno affrontate sia sul fronte della ricerca biomedica ma più ancora su quello di una radicale innovazione nell’organizzazione dell’assistenza. In questi cinque anni si sono sprecate molte occasioni. Il governo di centrodestra non ha voluto assumere alcun impegno serio, neppure dopo la tragica vicenda dell’estate 2003, nella quale morirono per il caldo improvviso ed eccessivo migliaia di anziani. Tante promesse e nessun atto concreto. Nel corso della legislatura abbiamo incalzato più volte la maggioranza e chiesto la creazione di un Fondo nazionale per la non autosufficienza. Abbiamo lavorato  alla messa a punto di una proposta di legge  ma la maggioranza, subendo i diktat del governo che non voleva sborsare neppure un euro, ha permesso di insabbiare il provvedimento e accantonare l’esame dell’Aula.   Quella proposta è per noi decisiva, rappresenta la risposta strutturale ai bisogni delle persone non autosufficienti e disabili, e ne abbiamo fatto uno dei punti qualificanti del programma dell’Ulivo. Si tratta di potenziare tutta l’area del socio sanitario e valorizzare i servizi a portata di mano, accessibili e vicini ai cittadini. L’istituzione del Fondo nazionale per la non autosufficienza risponde così alla logica di affiancare, al Fondo sanitario e al Fondo sociale, un terzo pilastro del sistema di welfare in grado di finanziare  la realizzazione di una rete integrata e moderna di servizi su misura per la persona anziana, efficaci rispetto ai  bisogni complessi di salute di questa età  e pronti a sostenere le famiglie.  Occorre sviluppare l’assistenza personalizzata e domiciliare, medica e infermieristica, ma anche quel sostegno quotidiano indispensabile a una buona qualità della vita di chi si trova da solo ad affrontare gli anni più difficili della propria esistenza. Una rete di servizi in cui possano essere valorizzate le migliori esperienze e le pratiche più appropriate sperimentate dagli Enti locali in collaborazione con il volontariato e il privato sociale. La collaborazione tra pubblico e privato – nella chiarezza dei ruoli nell’autonomia delle responsabilità, nella certezza delle risorse – è per noi una condizione essenziale per garantire l’efficacia e la personalizzazione delle risposte assistenziali e quel valore aggiunto di umanizzazione che è una delle caratteristiche essenziali e insostituibili del volontariato.

 

 On. Rosy Bindi
Responsabile Politiche Sociali della Margherita

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