“Una foto? Quella che vorrei ritrae una barca salda, resistente con sopra un giovane africano e una giovane italiana. Quindi due persone diverse che abitano sotto lo stesso cielo. La foto che però, purtroppo, viene in mente è un bambino morto sulla spiaggia”, con questa immagine Riccardo Vannuccini ritrarrebbe l’immigrazione.
“Respiro” l’ultimo spettacolo di Riccardo Vannuccini, a cui hanno partecipato i rifugiati del Centro Accoglienza Richiedenti Asilo di Castelnuovo di Porto, avrà luogo dal 28 al 30 giugno 2016 , ore 21, presso il Teatro Argentina di Roma. Proprio Vannuccini ci racconta come è nata l’idea e cosa si aspetta da questa esperienza.
Com’è nato il progetto?
“Il progetto è nato perché pensiamo che il teatro possa servire a far comprendere gli accadimenti inediti che ci riguardano, come quello delle immigrazioni forzate. Il teatro, quando non è intrattenimento, ha sempre fatto questo.”
Come mai il titolo “Respiro”?
“Perché il respiro è il segnale inequivocabile. Il segno della vita oppure della morte. Le persone che attraversano il mare non sempre riescono ad arrivare, quindi, la linea che ci separa definitivamente è il respiro.”
Lei in questo progetto ha collaborato con alcuni rifugiati…
“I rifugiati sono persone che scappano dai posti di origine per motivi in questo momento, soprattutto, di guerra. L’idea è quella di far incontrare attraverso il teatro i corpi delle persone. Il tipo di rapporto che vi è alla base è quello di ripristinare in queste persone al capacità espressiva di comprensione delle cose del mondo umano. Noi capiamo e comprendiamo il mondo (degli essere umani) attraverso le espressioni, ma è chiaro che a fronte di una tragedia il corpo si ritira, si rattrappisce, quindi iniziano a calare le capacità di progettare il proprio futuro. Con il teatro, quindi, la nostra intenzione è quella di ripristinare in queste persone al capacità di occuparsi di se stessi, di comprendere dove sono. Queste persone stanno tutti insieme, ma sono diversi tra loro per estrazione, per paese e cultura. Per noi è anche un modo per comprendere una terza parola che si potrebbe inventare e che si troverà tra l’accoglienza che ha le sue regole e l’ospitalità che è sacra; bisogna inventare una terza parola.”
Elisangela Annunziato
scrittrice e collaboratrice di SocialNews