In fuga dal Donbass: l’odissea dei profughi filorussi

di Gabriele Lagonigro

Dall’Ucraina sono scappati in centinaia di migliaia. Accusano Kiev di massacrare il proprio popolo. Si tratta, però, di una guerra principalmente politica, non etnica

A Novoshakhtinsk, nell’oblast russo di Rostov sul Don, all’interno del campo profughi per i rifugiati ucraini del Donbass.

A Novoshakhtinsk, nell’oblast russo di Rostov sul Don, all’interno del campo profughi per i rifugiati ucraini del Donbass.

“La pagheranno cara tutti quelli che hanno causato questo disastro: Obama e l’America, che da sempre ci odia; quello squartatore di Poroshenko, che ha le mani sporche del nostro sangue; e tutti i fascisti della Rada, il Parlamento ucraino, con i loro amici sparsi in giro per l’Occidente. Quando vinceremo la guerra, gli assassini di Kiev saranno giudicati da un tribunale popolare e faranno la fine che si meritano”.

IN FUGA
Con la sua famiglia, Aleksander Nikolaievic Goncharov è scappato da Donetsk, la grande città mineraria dell’Ucraina sud-orientale, nella quale infuria la guerra dall’inizio dell’anno. Si è rifugiato anche lui, come tanti suoi concittadini del Donbass, nella provincia russa di Rostov. Il suo fervore è dettato da rabbia, frustrazione e impotenza. La stessa che attanaglia quasi tutte le persone che hanno deciso di fuggire rifugiandosi dall’altra parte della barricata, sotto l’ala protettrice della “Grande Madre Russia”, da loro vissuta come propria Patria.
Ma non è così in tutta l’Ucraina dell’Est, anzi. Non tutti guardano a Mosca con favore e riconoscenza. A Donetsk, Lugansk, Mariupol e anche più a nord, a Kharkiv, nel Nord-Est del Paese, la gran parte della popolazione parla Russo e non Ucraino. Molti altri, invece, specie fuori dal Donbass, non ne vogliono sapere di staccarsi da Kiev. La crisi in corso non poggia su base etnico-linguistica, ma politica. Non conta l’idioma, ma l’appartenenza ideologica. La stessa che, evidentemente, ha spinto il povero Goncharov, la sua famiglia e le decine, centinaia di migliaia di donne, uomini, vecchi e bambini a lasciare l’Ucraina e a spingersi oltre frontiera, nella più rassicurante – per loro –terra russa.

SMISTAMENTO
Nel campo profughi di Novoshakhtinsk, 90 km a nord del capoluogo regionale, Rostov, sul Don, e a soli 10 chilometri dal confine, le autorità locali e la Protezione civile mantengono la struttura pulita e ordinata. Sono un migliaio i profughi ucraini riparati qui, in questo primo centro di accoglienza situato in territorio russo.
Rimangono per periodi brevi, una settimana o poco più, per poi essere smistati negli altri campi sparsi un po’ in tutta la Russia.
Quelli registrati nella sola regione del Don, da fonti ufficiali, sarebbero 50.000. Le istituzioni di Rostov parlano, però, di mezzo milione di persone affluite in Russia dall’Ucraina per cercare riparo. Numeri impossibili da verificare, e che potrebbero essere stati gonfiati dalla propaganda di Putin & Co. Innegabile, però, che a scappare siano stati in tanti. Sicuramente meno di quelli che
nel Donbass ci sono rimasti, ma la tragica migrazione è un dato di fatto, anche se l’opinione pubblica internazionale, salvo poche testate, ne ha parlato ben poco. Qualcuno, un giorno, probabilmente tornerà nella “propria” Ucraina. Molti altri, no. Dopo quello che hanno vissuto, di fare dietrofront non ne vogliono più sapere.

MAI PIÙ INDIETRO
“A Krasnodon, la mia città di provenienza, ho lasciato tutto – racconta Tatiana Vladimirovna, 55 anni, arrivata al centro rifugiati con il marito – Avevamo due case e i ricordi di una vita.
Ce ne siamo andati con due sole valigie e non torneremo più indietro. La nostra vita in Ucraina è finita per sempre. Abbiamo visto troppo dolore per fare ritorno. Il nostro vicino di casa è stato ucciso nel proprio orto, senza nessuna colpa”. Tatiana ha paura: “Mio figlio è rimasto al di là del confine, a Berdyansk, sul mare d’Azov. Il mio terrore è che lo catturino i servizi di Kiev per arruolarlo contro la sua volontà. Ci hanno bombardato per settimane, mesi, e posso assicurarvi che nella nostra città non c’era nessun separatista filorusso armato, solo povera gente.
Volevano distruggere le strade per impedirci di lasciare il Paese e cercare rifugio qui in Russia. Abbiamo indetto un referendum, la stragrande maggioranza ha votato per l’indipendenza, eppure non ci è stata concessa. Perché?”

VOCE UNICA
Hanno voglia di parlare, i profughi di Novoshakhtinsk. Vogliono esternare i loro sentimenti, la loro frustrazione, il loro dolore.
Anche l’aereo malese abbattuto in estate diventa argomento di discussione. Le opinioni sono unanimi e, vista la loro disperazione, lasciano poco spazio ad analisi lucide ed obiettive: “Sono stati gli Ucraini – afferma Natalia, che non rivela il cognome per paura di ritorsioni verso i suoi familiari rimasti oltre confine – Lo hanno fatto per demonizzare la Russia. È stata una provocazione”. “Sono capaci di tutto – le fa ancora eco Tatiana, la sua vicina di letto – a Krasnodon hanno bombardato anche l’ospedale oncologico dov’era ricoverato mio marito. Sono pazzi”. I report dei servizi segreti tedeschi, resi noti di recente, affermano l’esatto contrario: il volo Amsterdam – Kuala Lumpur è stato abbattuto da un missile lanciato dai separatisti filorussi. A questa versione, però, i profughi del Donbass non credono.
Un’anziana coppia ricoverata nel centro di accoglienza: hanno perso tutto.
Sguardi smarriti nel campo profughi situato in territorio russo.

SENZA PIÙ NULLA
Trova ancora la forza per sorridere e simulare serenità d’animo la dolce Liubov Ivanovna, giunta a Novoshakhtinsk con figlio, nuora e tre bellissimi nipotini, Valeria, Lina e Egor, i quali chiedono subito di essere fotografati. “Veniamo da Lugansk, siamo arrivati da un giorno solo. Abbiamo resistito fino all’ultimo, ma non c’era più niente da fare. I bombardamenti erano continui, non ne potevamo più. Non c’era più acqua e anche il gas era finito. Abbiamo lasciato tutto, casa, fattoria, i nostri animali. Siamo venuti qui soprattutto per i bambini, per permettere loro di non perdere l’anno scolastico. Nel Donbass ucraino, ormai, non esistono più asili e scuole. Tutto distrutto. Non avevamo alternativa”.

ARRIVA IL FREDDO
L’autunno, intanto, avanza, e a Novoshakhtinsk la colonnina scende già abbondantemente sotto lo zero. Nelle tende ci si attrezza con coperte, stufette elettriche e minestre fumanti.
Puoi essere filoucraino o filorusso, appoggiare l’esercito di Kiev o il Donbass indipendente, ma questo non è vivere. È sopravvivere. Nell’indifferenza generale. Sul fronte orientale, ormai, la guerra non fa più notizia.

Gabriele Lagonigro
Caporedattore di SocialNews

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