Palestina, violenza inaudita sulla popolazione: si rischia una nuova Intifada

Ciò che sta investendo il territorio palestinese in questi ultimi giorni lo si potrebbe definire una vergogna umanitaria indescrivibile, ma obiettivamente non mi sento di definirla tale, posso senza ombra di dubbio confermare che personalmente il livello della vergogna sia stato superato da troppo tempo oramai. Come responsabile e ideatore del progetto la Pace dei Bimbi e reporter indipendente ho svolto quest’anno nella West bank palestinese per un periodo di quasi tre mesi un lavoro delicato con un gruppo di venti ragazzini di un villaggio, un villaggio locato molto vicino ad un insediamento israeliano dal nome di Yaqo.

Photo Tomas Coex

 

In queste ultime ore i massacri nella città di Gerusalemme stanno sbalordendo l’occidente che silenzioso resta ad osservare gli uomini in preghiera battuti a calci e manganellati senza pietà, fermi nella loro idea chiedono semplicemente il rispetto del loro culto e dei luoghi ad esso rappresentati, come la moschea di Al Aqsa e la Spianata delle moschee. L’esercito israeliano sembra addestrato da tempo all’odio ed all’oppressione nella speranza di una supremazia su una terra resa arida in questi anni, sradicando ulivi, uccidendo la vegetazione, punendo contadini, donne e bambini. Salgono a 3 i morti palestinesi in queste ultime ore nella città di Gerusalemme est e a 200 i feriti, mentre il media israeliano Hareetz conferma l’uccisione di 3 coloni ebrei per accoltellamento nell’ insediamento di Halamish, mentre le salme dei morti palestinesi sono state immediatamente sepolte per evitare che fossero violati i corpi da parte dell’esercito israeliano. Mentre nei villaggi che circondano le grandi città palestinesi le incursioni notturne sono oramai ordinarie, salgono a due i morti nel villaggio di Toqu, ragazzi poco più che ventenni uccisi dal fuoco militare senza giusta causa. Gli adulti del villaggio tra cui insegnanti ed assistenti sociali cercano di proteggere i più giovani, pur sapendo che non essendoci una logica in questa violenza ed assistendo attraverso i media nazionali ed internazionali all’onda di follia che sta colpendo non solo la città di Gerusalemme ma il resto della west bank occupata, si cerca di evitare l’affollamento delle strade. Mentre i militari lanciano gas chimici la popolazione da sotto gli ulivi cerca di difendersi a colpi di pietre.

Questo villaggio, come molti altri in queste zone denunciano la mancata tutela dell’ANP, come spesso accade anche durante gli scontri che vedono spesso e volentieri coinvolti esclusivamente i minori, mentre la polizia palestinese sembra non volersi intromettere nel gioco forza imposto da Israele. I mesi che mi hanno vista impegnata in territorio palestinese per mettere in atto un progetto autonomo hanno visto la totale solitudine circondare non solo me, quindi responsabile ed ideatore del progetto, ma anche la mancanza totale di attenzione nei confronti dei miei collaboratori palestinesi da parte di molte associazioni ed Ong italiane.  Abbiamo assaporato in quei giorni gli scontri giornalieri a causa dello sciopero degli stomaci vuoti nelle carceri, abbiamo assaporato l’arrivo di Trump come sempre plateale, affrontando così i blocchi delle strade ed i controlli armati, abbiamo letto sui giornali poche ore dopo il suo rientro negli Stati uniti la stretta di mano con Abu Mazen per il rispetto dei diritti dei detenuti, taciti accordi non chiari neanche alla stessa popolazione palestinese. Ci siamo trovati a proteggere i nostri ragazzi dai fumogeni lanciati direttamente nelle aule delle scuole pubbliche a ridosso dei villaggi, di cui due bambini del nostro progetto si sono visti incarcerare per pochi giorni senza alcuna accusa formale e quindi vere e proprie detenzioni infondate. Nel piccolo ministero della città di Toqu, c’è una stanza con grandi scrivanie e sedie, dove per parecchie ore ci siamo confrontati ed insieme ai nostri ragazzi abbiamo cercato inventando storie e disegnando di scappare da tutto questo, leggendo l’assenza nei loro occhi, ascoltando il loro bisogno di capire e gestendo la loro diffidenza poi diventata profonda amicizia.

Nel gruppo vi è Ammer, un ragazzino di tredici anni, di statura piccola ma con grandi occhi verdi, ogni qualvolta i colori comparivano sulle scrivanie il giovane Ammer si allontanava in un angolo della stanza, si rifiutava di disegnare, isolandosi ed osservandomi da lontano, scrivendo i suoi pensieri su fogli volanti per poter vuotare la pancia che da anni seppur così piccolo gli ricorda ancora oggi il corpo dello zio ucciso dai militari israeliani che lui è stato costretto a tenere tra le braccia sino all’ultimo istante. Questi ragazzi sono stati obbligati a crescere troppo in fretta e la violazione dei diritti umani e la mancata protezione a carico di questi bambini da parte dell’ Onu  fa si che il futuro vacilli, portando la loro psiche a non credere nel prossimo ed arrancando nell’unico chiaro messaggio che gli viene inviato dalla comunità occidentale: “ Alzati e impegnati a sopravvivere.”   Il potere armato e i governi delle guerre sono oramai signori dell’ombra, di tutto ciò che cerca e cercherà anche nel futuro di sovrastare ed annientare con atti che a chiunque potrebbero apparire innaturali, o meglio, qualsiasi forma di ideale che non li rappresenti. Ma possiamo lasciare che tutto il peso della colpa cada sulle spalle di uno stato sionista come Israele? No. La responsabilità del rischio sempre più vicino della fine di un popolo sono convinta debba essere pienamente condivisa non solo dagli stati occidentali che hanno permesso in tutti questi anni la tacita violazione dei diritti umani, ma che la responsabilità venga pienamente distribuita anche su quella parte di popolazione che ha lasciato che la globalizzazione infettasse i propri ideali, divenendo così silenziosi discepoli di una carità europea . Mi trovai come molti altri colleghi a denunciare la supremazia di molte associazioni europee sorrette politicamente sia internamente che esternamente, lo sfruttamento a livello volontario dei palestinesi ed il monopolio delle sovvenzioni internazionali ha fatto si che la Palestina divenisse schiava di se stessa inconsapevolmente. Come descritto anche nel nostro libro, La pace dei Bimbi è stato sin dall’inizio un progetto dedito a ridare sogni ed aspirazioni a ragazzini a cui è stata strappata l’infanzia, ragazzini a cui la politica è stata spiegata troppo presto, mentre a quell’ età l’unico vero ideale dovrebbe rammentare la speranza di poter volare alti, più alti della aquile, sfiorando le nuvole salvandosi così dalla follia guerrafondaia degli adulti.

Antonietta Chiodo

Antonietta Chiodo, nata a Roma nel 1976, cresciuta a Milano, nel 2003 si trasferisce a Torino collaborando con il Gruppo Abele, denunciando tra l’altro le detenzioni carcerarie dei minori e gli stati di abbandono delle popolazioni colpite dall’ AIDS. Continua il lavoro di ricerca con associazioni legate alla tutela dei minori e delle donne rifugiate in Italia, collaborando tra l’altro alla stesura di un libro della studiosa italiana Milena Rampoldi contro le MGF. Continua a scrivere articoli per il portale internazionale ProMosaik, focalizzando soprattutto sulla Palestina. Nel 2011 trascorre due mesi ad Aleppo, al fianco della popolazione colpita dalla guerra con attivisti e dottori europei volontari. Tra il 2012 ed il 2013 in Brasile sostiene la formazione culturale dei bambini delle Favelas. Scrive per Pressenza, e tutt’oggi per ProMosaik e Social News. Tra il 2014 e il 2015 segue gli sbarchi dei profughi in Calabria e le sparizioni dei bambini non accompagnati. Nell’autunno del 2016 si reca in un campo profughi palestinese. Ritornata in Italia, in collaborazione con l’attivista Dario Lo Scalzo, giornalista e video maker, prenderà vita il progetto “La Pace dei Bimbi” che la vedrà nei mesi da Aprile a Luglio 2017 impegnata nei campi profughi della Cisgiordania per far sentire la voce dei bambini, cresciuti sotto l’occupazione israeliana. 

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