Il Medio Oriente è in Fiamme

medio oriente terrorismo isisNegli ultimi anni diversi attentati hanno sconvolto la Turchia, l’Iraq, l’Egitto e tutto il Medio Oriente. A realizzarli sono stati gruppi di matrice differente ma la maggior parte originano dal radicalismo islamico derivato da Al-Quaeda e dallo Stato islamico.

Per comprendere gli equilibri dell’infinito conflitto mediorientale dobbiamo, però, conoscere le alleanze religiose e politiche più o meno dichiarate apertamente. Per semplificare, possiamo dividere il Medioriente in due territori virtuali: lamezzaluna sunnita composta da Qatar, Turchiae Arabia Saudita, sostenuta fino alla presidenza Obama da Stati Uniti e Israele e lamezzaluna sciita composta dall’Iran, dall’Iraq del premier sciita Haider al Abadi e dalla Siria di Bashar al-Assad ma anche dal partito libanese Hezbollah, sostenuti dalla Russia e tutti uniti contro i terroristi Isis.

Elementi fuori dal coro sono Turchia ed Egitto, i due stati più “laici” del Medio Oriente. Nel 1971 un emendamento alla Costituzione egiziana ha però modificato l’art.2 che sancisce l’islam sunnita come religione di Stato e la Sharia il fondamento della legislazione. Attualmente dopo tre anni di presidenza di al-Sisi in Egitto, la situazione economica nel paese è diventata sempre più drammatica. L’opposizione è bloccata dagli arresti di massa. Sono in carcere 60.000 oppositori politici. Il malcontento tra le fasce più povere della popolazione sembra aumentare di giorno in giorno. Con l’arrivo della giunta militare in alcune zone, come nella penisola del Sinai, la sicurezza è drammatica e lSIS prende sempre più terreno.

La Turchia facente parte della Nato è il cuscinetto dell’Unione europea con il mondo islamico e quindi per noi il paese più importante. Costretta, per questioni di geopolitica, all’ambiguità, ha dovuto dialogare con tutti i suoi infuocati confini: la Siria sciita e quella sunnita, i terroristi controllati dall’Isis e Al-Qaeda, la Russia e le repubbliche filorusse, i gruppi curdi e armeni che rivendicano sovranità e l’Unione Europea e gli Stati Uniti come elementi fondanti della Nato di cui fanno parte.

Per cercare di sopravvivere in questo ginepraio, ma anche nel tentativo di seguire le mire di potere del suo presidente Erdoğan, la Turchia si è schierata contro il regime siriano di Bashar al Assad. Ha finanziato e armato l’Esercito Libero Siriano, considerato tra i meno radicali. Ma nel tentativo di combattere i curdi siriani ha anche favorito lo Stato islamico permettendo il passaggio di armi e foreign fighters.

Ma negli ultimi anni gli attentati di matrice jihadista sunnita salafita e i drammatici avvenimenti del 2016 hanno cambiato gli equilibri in gioco. Nel luglio scorso il tentato colpo di stato ha prodotto repressioni ed arresti sia fra gli attivisti politici sia tra i funzionari amministrativi ma anche docenti universitari e magistrati che hanno suscitato forti critiche dai paesi occidentali. Infine, l’assassino dell’ambasciatore russo ad Ankara Andrej Karlovil 19 dicembre scorso ha dato la spallata definitiva. Contraddicendo le forze religiose interne sunnite e facendo forza sulla propria costituzione laica, la Turchia ha cercato, quindi, il ravvicinamento a Putin per portare il proprio Paese nell’orbita di influenza russa come mai era successo prima. La Turchia è stata accolta dalla mezzaluna sciita e nei negoziati fra Turchia, Russia e Iran con il risultato della caduta di Aleppo e l’ingresso dell’esercito turco in Siria, per impedire l’unificazione del Rojava curdo.

I rapporti tra Turchia e Stato Islamico sunnita sono, a questo punto, completamente cambiati. Da una reciproca tolleranza si è passati ad un’aperta ostilità, come ha dimostrato l’attentato di capodanno. Ma alla resa dei conti potrebbero essere anche le forze interne turche e, quindi, l’elettorato del presidente Erdoğan stretto fra la maggioranza sunnita che mal vede un coinvolgimento del governo in alleanze sciite e i gruppi indipendentisti curdi sempre più forti come consenso internazionale.

Ma non è solo la Turchia a fare le spese dell’escalation terroristica. Gli attentati sono all’ordine del giorno e mese dopo mese sempre più frequenti. Decine di migliaia sono i morti e i feriti, una piccola guerra mondiale dove solo il sud America è risparmiato. Il mondo ma soprattutto il Medio oriente è sotto il mirino degli estremisti islamici e dell’ISIS che cercano di allargare il conflitto dopo i fallimenti militari in Siria. Nord Africa, Asia, Europa, Mediterraneo, solo in questo ultimo weekend in Egitto un kamikaze ha portato un camion bomba contro un checkpoint provocando la morte di 6 poliziotti e 12 feriti. A Gerusalemme un palestinese su un Tir ha ucciso 4 soldati investendoli. In Iraq un autobomba in mercato di Baghdad ha fatto 12 morti.

Dopo anni di conflitto tra Israele e Palestina, la cosiddetta “soluzione dei due stati per due popoli” sembra essere definitivamente fallita. L’Iraq è diviso internamente fra curdi iracheni, sciiti e sunniti e militarmente deve richiedere l’appoggio delle milizie sciite filo-iraniane che però non hanno il supporto della popolazione sunnita. In Libia continua a esserci un grande caos, anche per l’intervento di diversi paesi occidentali e arabi. La presenza dello Stato Islamico ha reso le cose ancora più ingarbugliate e ha evidenziato le divisioni nello schieramento di Serraj.  Il rapporto dell’International Crisis Group spiega che l’accordo di Skhirat, in Marocco non è stato in grado di risolvere le lotte interne ma si è limitato a riconfigurarle.

Nel frattempo tutti aspettano il 20 gennaio quando si insedierà il nuovo Presidente americano Donald Trump, nuovo possibile simpatizzante della mezzaluna sciita. Sul suo tavolo ci saranno i rapporti con Putin, il futuro della NATO, gli interessi delle multinazionali petrolifere ed energetiche, la questione israelo-palestinese, il nucleare iraniano, l’Iraq allo sbando lo scisma dello Yemen e, naturalmente, le guerre civili in Libia e Siria. Il tutto Cina permettendo. Personaggio assolutamente imprevedibile è chiamato ad un compito non facile e molti sono i dubbi che possa avere le competenze per gestire al meglio una situazione così difficile e complessa. In ogni caso, nel male o nel bene, in onestà o malafede, avrà in mano il pennello per ridisegnare un nuovo Medioriente.

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