Le falle del sistema

Pietro Paolo Mennea

Una seria e concreta lotta al doping richiede urgentemente l’armonizzazione delle politiche antidoping, cioè delle norme ordinarie e dei regolamenti sportivi in materia. La normativa penale comunitaria in materia è indispensabile per combattere i trafficanti che non fanno alcuna differenza tra doping e droga.

La mancanza di una norma comunitaria contro il doping costituisce, a mio avviso, una delle lacune più gravi per poterlo combattere. Una vera soluzione al problema appare, inoltre, lontana.
Su questa situazione, esistente a livello comunitario, ha pesato per lungo tempo il fatto che molti Governi non si siano accorti del pericolo rappresentato dalla criminalità organizzata. Al contrario, questa ha subito compreso le potenzialità di guadagno offerte dal mercato nero del doping, attraverso cui avrebbe potuto sviluppare ed ampliare i propri affari, traendo vantaggio proprio dalla mancanza di una legislazione e dal cattivo funzionamento degli apparati giudiziari.
La criminalità, infatti, sfrutta la carenza o le falle del sistema penale dei vari Paesi per garantirsi impunità e privilegi. È ciò che è accaduto nel commercio delle sostanze dopanti.
Le lacune e le incongruenze si moltiplicano tenendo conto che, oggi, molti Paesi non dispongono di una norma penale in materia. Diventa, pertanto, difficile opporsi alla criminalità e contrastare la diffusione del doping. Ciò avviene nonostante a livello politico comunitario, già da tempo, siano state fornite indicazioni precise affinché proprio in questo ambito si sviluppi un’azione di contrasto alla criminalità, al fine di contenere le sue potenzialità espansive in termine di inquinamento e corruzione dello sport e delle istituzioni ad esso collegate.
Molti Pesi europei non hanno considerato le principali rotte del doping: queste conducono verso l’intera Europa occidentale, costituita da Paesi ricchi. Alcuni di essi, come Germania, Olanda ed Inghilterra, oltre ad essere Paesi consumatori, sono anche in grado di produrre ed esportare farmaci di migliore qualità e ad un prezzo più concorrenziale. Paesi come Spagna e Grecia, infine, sono forti produttori ed esportatori, ma consumano anche una discreta percentuale di ciò che producono.
Per quanto riguarda il traffico illecito delle sostanze dopanti, l’Unione Europea potrebbe contrastarlo, almeno in quegli Stati che lo censiscono come illecito penale, con le competenze attribuitele dal Trattato di Amsterdam, riguardante la cooperazione di polizia e giudiziaria in materia di diritto penale.
L’art. 29 del Trattato colloca, infatti, la lotta al traffico di droghe e stupefacenti (tra cui rientra il traffico illecito di sostanze dopanti) tra gli obiettivi del nuovo titolo VI del Trattato stesso.
Inoltre, l’art 30 prevede per i vari Stati un’azione comune nel settore della cooperazione di polizia e statuisce: «la cooperazione operativa tra le autorità competenti degli Stati membri compresi la polizia, la dogana ed altri servizi specializzati incaricati dell’applicazione della legge in relazione alla prevenzione e all’individuazione dei reati e alle relative indagini».
È assodato che queste norme che riguardano il terzo pilastro, se utilizzate in modo efficace, possano imprimere un forte contributo alla lotta al doping.
La continua diffusione del doping nello sport e nella società civile ha dimostrato che queste iniziative legislative non bastano. Nella lotta al doping c’è bisogno di altro.
La normativa penale comunitaria in materia appare indispensabile per vari motivi: i trafficanti, infatti, non fanno alcuna differenza tra doping e droga. Questo è dimostrato dai sequestri effettuati dalla polizia in tutto il mondo. Sono stati, infatti, sottoposti a sequestro sia farmaci ad effetto stupefacente, sia sostanze e farmaci ad effetto dopante.
Inoltre, è stato accertato che, spesso, coloro i quali assumono sostanze dopanti utilizzano contemporaneamente, o in fasi successive, anche sostanze stupefacenti.
Ancora, la ricerca scientifica ha dimostrato come le principali sostanze dopanti producano dipendenza e conducano al consumo di altre sostanze che sono vere e proprie droghe.
I culturisti che abusano di steroidi anabolizzanti, per evitarne e compensarne gli effetti negativi, abusano anche di altre sostanze.
Inoltre, le tabelle delle sostanze poste alla base di leggi penali antidroga ed anti-doping, nonché delle norme sportive anti-doping, presentano diverse sostanze in comune.
Appare, quindi, evidente che tra doping e stupefacenti «vi sono molti punti in comune, molti più punti in comune, ad esempio, di quanti non ce ne siano tra l’eroina e la cocaina e tra l’EPO e gli stimolanti».
Coloro i quali usano e abusano di tali sostanze danneggiano la propria salute. Naturalmente, ciò non interessa affatto alle organizzazioni criminali che controllano i traffici internazionali.
Anche per questo motivo appare necessaria la promulgazione di norme penali e, negli Stati nei quali queste già esistono, esse vanno necessariamente aggiornate.
Una seria e concreta lotta al doping richiede urgentemente l’armonizzazione delle politiche antidoping, cioè delle norme ordinarie e dei regolamenti sportivi in materia.
Alla luce di ciò che è accaduto negli ultimi anni, si è potuto notare come la tanto richiesta e necessaria armonizzazione e collaborazione delle politiche in questo campo potrebbe portare ad una limitazione dell’autonomia decisionale, soprattutto dei soggetti sportivi, i quali ritengono che questo problema ricada nella loro esclusiva competenza.
L’armonizzazione delle politiche antidoping non ha ancora beneficiato di pratica attuazione anche perché non intercorrono buoni rapporti tra i vari organismi sportivi. Anzi, la politica antidoping non ha fatto che accentuare le divergenze esistenti.
Complice di ciò, nel mondo sportivo, è la diversa natura giuridica che regola i soggetti giuridici sportivi e che mette in evidenza la loro indipendenza e la loro autonomia organizzativa, creando e favorendo l’insorgenza di posizioni eterogenee in materia di doping.
Nel reclamare la loro indipendenza sul tema, infatti, le Federazioni sportive internazionali ed il CIO hanno evidenziato i difficili rapporti tra loro esistenti.
A tale riguardo, ricordiamo che «i rappresentanti del CIO non sono direttamente nominati dalle Federazioni sportive internazionali o dai diversi Comitati Olimpici Nazionali o nominati direttamente dai Governi Nazionali, ma essi, pur provenendo dal mondo sportivo, sono cooptati dal CIO stesso per far valere la propria autonomia e la natura giuridica autonoma».
Le stesse Federazioni sportive internazionali hanno affrontato il problema del doping in aperto contrasto fra di loro, indicando strade diverse per sconfiggere questa terribile piaga e creando, nel contempo, una certa confusione.
Il contrasto esistente tra varie Federazioni sportive internazionali si è palesato in modo evidente, anche in tempi recenti, ad esempio nel corso delle Olimpiadi di Pechino 2008 e nell’ambito di grandi eventi sportivi come il Tour de France. Un diverso metro è stato usato nella scelta degli atleti da controllare, con omissioni, e nella comminazione di sanzioni.
Occorre rimarcare che il concetto di cui ha bisogno il mondo dello sport è l’armonizzazione di norme ordinarie che sanciscano e riconoscano il doping come reato, non solo nell’Unione Europea, ma, possibilmente, in tutto il mondo: lo sport è un fenomeno mondiale e gli sportivi, per qualche verso, possono essere considerati cittadini e patrimonio del mondo intero. Occorre, pertanto, che la “giustizia” valga per tutti in maniera almeno analoga, a prescindere dalle latitudini e dalle longitudini di provenienza. Evidentemente, però, questo concetto, per varie ragioni, non riesce proprio a passare. Di ciò ho avuto testimonianza diretta quando ricoprivo l’incarico di deputato in seno alla Commissione di merito europea sullo sport.
Il 10/01/2000 presentai al Consiglio Europeo un’interrogazione parlamentare finalizzata a fare in modo che l’organismo europeo competente promulgasse una norma comunitaria penale contro il doping.
La risposta del Consiglio mi lasciò perplesso: «Il Consiglio è cosciente del problema del doping nel mondo dello sport e vi annette una grande importanza. Al Consiglio non è ancora stata presentata nessuna iniziativa al riguardo».
Mi sono domandato come fosse possibile che, dalla costituzione dell’Unione Europea, nessuno avesse mai sentito il bisogno di presentare queste richieste, nonostante la già larga diffusione del fenomeno.
Alcuni mesi prima che io lasciassi il Parlamento Europeo (luglio 2004), il capo divisione sport dell’epoca, anch’egli Spagnolo, a proposito della mia richiesta di promulgazione di una norma penale comunitaria in materia di doping, mi riferì che, oggi, l’Unione Europea sarebbe pronta a recepire un provvedimento del genere, ma che ancora nessuno Stato o deputato aveva mai avanzato tale richiesta dopo di me.
Io non mi sono certo scoraggiato e ho cercato di offrire comunque il mio contributo, consapevole delle varie difficoltà che avrei incontrato.
Nel rapporto Zabel (sul doping) e nella relazione di Helsinki sullo sport (07/09/2000), di cui ero relatore, è stato quasi impossibile far passare in Commissione di merito l’emendamento che prevedeva la promulgazione di una norma penale comunitaria. Per comprendere quanto questa fu osteggiata, basti pensare che, al momento di votare, in Commissione di merito sullo sport, ente composto da 35 deputati, quel giorno i presenti per votare erano ben oltre 40, un numero, cioè, superiore a quello degli aventi diritto: in conseguenza di ciò, quei documenti dovettero essere annullati.
Questo episodio dimostra come la lobby dello sport fosse intervenuta per mantenere tutto sotto controllo e per fare in modo che si votasse ciò che essa desiderava, in maniera tale, cioè, che fossero ostacolati tutti gli emendamenti sgraditi agli organismi sportivi internazionali.
Non bisogna dimenticare che, in tutti questi anni, vi è stato un crescente interesse da parte dei Governi nazionali su questo tema. Ciò non ha fatto altro che accentuare i difficili rapporti tra gli ordinamenti statali e quelli sportivi.
In ambito sportivo, si è giunti a «prevedere una standardizzazione dei regolamenti sportivi in materia di antidoping, soprattutto per quanto riguarda l’accreditamento dei laboratori e l’individuazione delle classi di sostanze e metodi proibiti».
Va evidenziato che, attualmente, nelle politiche antidoping, le funzioni di alcuni Governi nazionali e delle organizzazioni sportive sovranazionali, tra cui quelle europee, sono così ripartite:
Alle Federazioni Sportive Internazionali ed ai Comitati Olimpici Nazionali spetta il compito di individuare i soggetti che devono sottoporsi ai controlli antidoping, nonché l’effettuazione pratica dei controlli. Anche nei Paesi ove vige la norma penale in materia di doping, la scelta degli atleti da sottoporre ai controlli spetta anche all’organismo del Ministero competente.
«Ai Governi spettano il finanziamento della ricerca in materia di antidoping e dei controlli antidoping».
Ogni Paese deve essere dotato di un organismo “terzo” in rappresentanza delle competenze dello Stato. A tale proposito, la Francia ha provveduto a costituire l’Agenzia francese antidoping, dotata di natura giuridica di ente pubblico ed indipendente.

Quanto appena descritto non esprime la regola, in quanto, in alcuni Stati, come, ad esempio, l’Italia, la promulgazione della legge n. 376/2000 ha previsto la costituzione di una Commissione di vigilanza sul doping (C.V.D.), ponendo il nostro Paese in una situazione diversa dagli altri Stati.
Di certo, una norma penale efficace come quella italiana funziona da deterrente per chi intenda fare uso di sostanze dopanti.
Ciò pone in evidenza la necessità di una norma ordinaria penale comunitaria, che ci si augura sia comune a tutti gli Stati dotati di organismi sportivi aderenti al CIO.
Nel contempo, il mondo dello sport deve trovare un soggetto giuridico comune che armonizzi le norme degli organismi sportivi indipendenti.
È evidente che il problema del doping, poiché riguarda la salute degli individui, cioè la salute pubblica, coinvolgendo coloro che praticano sport, le famiglie, i medici, le istituzioni, non può essere affidato alla competenza esclusiva degli organismi sportivi.
Devono essere gli Stati membri dell’Unione Europea, e quindi il Consiglio Europeo, ad occuparsene per poter legiferare in questo ambito anche in collaborazione con il mondo sportivo. Per contro, quest’ultimo ha bisogno del “potere coercitivo” rappresentato da una norma promulgata dall’ordinamento statale.
Nell’Unione Europea, Francia, Italia, Spagna, Danimarca ed Austria rappresentano un esempio di come alcuni Stati abbiano iniziato a legiferare direttamente in questo ambito, mettendo in evidenza l’intervento diretto dello Stato nella repressione al doping.
La Francia ha promulgato una norma statale contro il doping nel 1965, poi nel 1989, non molto tempo prima della sottoscrizione della Convenzione di Strasburgo (1989). Successivamente, ha varato una legge il 23/03/1999, una il 15/06/2000, sino ad arrivare al 05/04/2006, quando ha promulgato la nuova legge antidoping n. 405.
L’Italia, invece, ha legiferato con una norma efficace nel 2000 e la Spagna solo il 2 novembre 2006 (entrata in vigore nell’aprile del 2007). Anche la Danimarca, pur se in maniera superficiale, ha promulgato, il 21/04/1999, una legge in materia di doping.
Attualmente, l’Austria risulta essere l’ultimo Paese dell’Unione Europea ad aver promulgato una norma penale contro il doping (2007).
Questo passaggio, a mio parere, costituisce la strada giusta da percorrere.
Le leggi penali antidoping promulgate in Italia, Francia, Danimarca, Spagna ed Austria «sono strutturate più per lo sport ad alto livello che per la lotta ai traffici». Infatti, «tutte le norme ordinarie penali promulgate dagli Stati membri indicati non fanno altro che porre in secondo piano la lotta ai traffici di doping, accentrando la normativa solo sugli atleti ad alto livello e sul problema delle analisi anti-doping, come se questa procedura, che molte volte si rivela poco efficace, fosse utile anche a milioni di praticanti amatoriali e atleti delle categorie giovanili».
Nel contempo, nell’Unione Europea vi sono degli Stati come, ad esempio, Germania e Gran Bretagna, i quali, pur considerando il doping un gravissimo problema per la collettività, lo reputano di esclusiva competenza degli organismi sportivi ed affidano alle Federazioni Sportive le relative politiche di contrasto.
Nei Paesi in cui non vige una norma penale contro il doping, le «indagini penali sono possibili grazie al fatto che alcune sostanze e farmaci dopanti sono compresi nella lista delle sostanze stupefacenti della legge anti-droga».
In Germania, sino al 2011, la legge penale antidoping non era stata ancora promulgata. Quando una parte del Parlamento tedesco ha cercato di proporla, la lobby molto vicina allo sport ad alto livello è intervenuta ed è sempre riuscita a convincere il potere politico, e quindi il Parlamento, che non fosse necessaria. Il messaggio che la lobby faceva passare era che, per combattere il doping, fossero sufficienti le analisi delle urine.
In un grande Paese come la Germania, si tutela solo chi pratica sport ad alto livello, senza preoccuparsi della salute degli altri sportivi, ivi compresi gli amatori.
Anche l’Inghilterra ha sempre sottovalutato il fenomeno del doping. Nessuno ha mai proposto una legge penale antidoping, fatto tanto più grave in quanto questo Paese non «ha mai riflettuto sui recenti fatti di cronaca riguardanti i traffici delle sostanze dopanti, né ha prestato attenzione allo studio “charity Drug-Scope” da cui è emerso che sono circa 250.000 gli Inglesi assuntori di steroidi anabolizzanti tra i frequentatori di palestre».
In Germania ed in Inghilterra, negli ultimi anni, la polizia ha messo in atto solo rari sequestri di piccole quantità di sostanze dopanti, dimostrando che questi due Paesi non hanno ancora compreso quanto sia grave «il nesso tra i traffici delle sostanze dopanti e la criminalità».
I due Paesi rivestono un ruolo molto importante per l’Unione Europea: insieme raccolgono quasi 160 milioni di abitanti e costituiscono un mercato rilevante per la diffusione delle sostanze dopanti.
Nel contempo, poiché sono Paesi ben organizzati, potrebbero offrire un grosso apporto alla lotta al doping ostacolando il commercio delle sostanze. Purtroppo, invece, fanno ben poco.
Ai fini di una lotta efficace, e considerando che le istituzioni, comprese quelle del rapporto tra gli Stati sovrani, agiscono in base a regolamenti e normative, la promulgazione ed il coordinamento legislativo e giuridico rimangono un obiettivo prioritario e, comunque, quello che può fornire la base per ogni altro tipo di azione e di iniziativa comune.
Le norme ordinarie contro il doping previste in Italia, Francia, Spagna, Danimarca ed Austria, pur presentando disposizioni comuni, evidenziano delle differenze.
Queste sono le sole cinque Nazioni che hanno agito in base all’art. 4 della Convenzione di Strasburgo, che invitava gli Stati firmatari ad adottare norme e regolamenti utili alla riduzione «dell’utilizzo di agenti e metodi dopanti nello sport».
Ponendo in essere un’analisi comparativa delle norme in vigore in Italia, Francia e Spagna, è necessario esaminare prima gli elementi comuni e, quindi, le disposizioni che rendono le norme diverse.
Tra gli aspetti comuni vi sono:
«l’istituzione di una Commissione pluripartecipata in seno all’organismo competente, che dispone di ampie funzioni di coordinamento e controllo delle politiche antidoping, tra le quali anche l’individuazione delle classi di sostanze e metodi proibiti;
l’intervento diretto dello Stato sugli aspetti sanzionatori, prima delegati ai regolamenti emanati dalle Federazioni Sportive;
il controllo e la gestione statale dei laboratori, i quali devono comunque essere accreditati dall’organismo sportivo competente, cioè la WADA».

Le tre normative presentano anche dei punti contrastanti:
le tipologie di sanzioni applicate: le norme italiane, francesi e spagnole prevedono sanzioni penali.
La norma italiana, nei suoi articoli, considera reato anche la semplice assunzione di sostanze dopanti. Nella normativa francese ed in quella spagnola, invece, l’assunzione di sostanze proibite viene punita solo con una squalifica ed una multa a carico di chi ne fa uso;
il finanziamento delle Commissioni antidoping: la legge italiana prevede che detto finanziamento, necessario per il funzionamento della Commissione di vigilanza sul doping, debba ricadere sul bilancio statale; anche la legge francese attribuisce allo Stato il compito di finanziare la Commissione;
il coinvolgimento delle organizzazioni sportive statali: le norme francesi e spagnole assegnano competenze specifiche alle Federazioni sportive; la legge italiana riserva agli organismi sportivi, cioè al CONI ed alle Federazioni sportive ad esso affiliate, la possibilità di indire e promuovere campagne di informazione e prevenzione sul doping;
i controlli antidoping disposti durante gli allenamenti e le competizioni sono effettuati dagli ufficiali e dagli agenti di polizia giudiziaria che operano in base alle disposizioni del codice di procedura penale. Ciò è previsto dalla legge francese antidoping.

Alla luce della continua diffusione del doping nel mondo sportivo e nella società, il suo contrasto, fino ad alcuni anni fa affidato esclusivamente ad organismi sportivi, si è mostrato fallimentare.
Ancora più di prima, la lotta al doping ha bisogno di organizzazione ed individui terzi, privi di alcun contatto o relazione con il mondo dello sport. Ciò per evitare che controllore e controllato finiscano per coincidere, annullando, di fatto, una qualsivoglia possibilità di vigilanza (questo è l’orientamento che sta seguendo il Congresso USA).
Negli anni passati, le organizzazioni sportive hanno svolto iniziative e programmi che hanno prodotto risultati scarsi. Anche quando questi sono stati ottenuti, non sono risultati molto incisivi.
Nell’Unione Europea, invece, il processo di promulgazione di una norma ordinaria che individui il doping come reato viaggia in ritardo. Le norme penali francese, italiana, spagnola, danese ed austriaca rappresentano solo una tappa di un lento processo comune, che nemmeno il Consiglio d’Europa è riuscito ad indirizzare verso una politica comune e verso la promulgazione di una norma comunitaria.
Solo a seguito della scoperta del grande scandalo sul doping denominato “Operacion Puerto”, che ha coinvolto Manolo Saiz, Eufemiano Fuentes ed altre persone famose nel maggio del 2006, il Governo spagnolo presieduto da Zapatero ha deciso di varare una legge penale contro il doping.
La promulgazione di questa norma, strutturata in 4 titoli e 49 articoli, ha interessato quattro diversi Ministeri: Interni, Giustizia, Sanità ed Educazione allo sport. L’approvazione della norma è avvenuta il 2 novembre 2006.
Questa nuova legge prende spunto da quella italiana e da quella francese, le normative oggi all’avanguardia nel settore.
Gli Spagnoli si rifanno, in particolare, al modello francese.

Pietro Paolo Mennea
Campione Olimpico e Primatista mondiale 200 mt., Politico, Avvocato

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