Verso la trasformazione della professione

Il tentativo degli Ordini di conservare riserve, chiedere tariffe protette, chiudere le porte a nuovi accessi è disperato e fatalmente destinato all’insuccesso poiché il processo di acculturazione e crescita professionale di una intera società non è arginabile da norme restrittive

Rolando Ciofi dal 1993 è segretario generale del MOPI (Movimento Psicologi Indipendenti). Tra il 1975 e il 1990 ha ricoperto le cariche di Sindaco, Capo gruppo consiliare, Assessore alla Sanità ed alle Politiche Sociali del Comune di Casole d’Elsa (SI). Dall’aprile 2000 è Presidente del Consiglio di Amministrazione di Vertici srl., di cui è Socio fondatore. Dal 2005 è cofondatore della sigla “Noi Psicologi”. Docente in materie psicologiche e Consulente tecnico d’ufficio presso il Tribunale di Firenze.

Dott. Ciofi, riguardo all’ordine professionale degli psicologi qual’è il suo pensiero?

Ogni professione ha alle porte decine di migliaia di neolaureati che vogliono entrare, ogni professione è di fronte al problema di trasformarsi poiché le forme tradizionali di esercizio non sono più né sufficienti per tutti, né redditizie. Sullo sfondo c’è il fantasma dello scivolamento dei professionisti dal ceto medio a quello basso, sostanzialmente una sorta di proletarizzazione della borghesia intellettuale. Il tentativo degli Ordini di conservare riserve, di chiedere tariffe protette, di chiudere le porte a nuovi accessi è disperato, fatalmente destinato all’insuccesso poiché il processo di acculturazione e crescita professionale di una intera società non è arginabile da norme restrittive. Banalmente non è più possibile garantire a tutti gli appartenenti alle varie “caste” molti privilegi poiché tali “caste” si moltiplicano a dismisura, sono eccessivamente numerose. E la società non ha né voglia né risorse per saziare tanti appetiti.

Ciò nonostante il tentativo degli Ordini di resistere è un tentativo comprensibile sul piano identitario, più che rispettabile su quello della forza che il sistema è ancora capace di mettere in gioco. Gli Ordini, forti delle loro relazioni, del loro peso parlamentare, del loro radicamento culturale “venderanno cara la pelle” e l’attuale crisi non si trasformerà presto e subito in nuove forme organizzative delle professioni. Ci vorrà tempo. Molto tempo. E non sono per nulla esclusi rigurgiti marcatamente corporativi.

In che modo gli Ordini potrebbero tutelare la professione?

Molti segnali indicano che questo potrebbe essere il momento storico degli psicologi. Cosa ne faremo? Proveremo a gestirlo? Lo lasceremo tramontare nel mentre la società si innamorerà di un’altra fantasia? Lo lasceremo gestire magari ai filosofi?

Non credo che gli Ordini possano far molto in tutto ciò. Sono strumenti troppo rigidi, toppo generalizzanti (nel momento in cui andrebbero esaltate e collegate le differenze gli ordini, per loro stessa natura, tendono a omogeneizzare). Ciò nonostante gli ordini, lungi dal voler “gestire e controllare” le professioni di confine potrebbero non solo tollerarle, ma anche aiutarle a darsi una organizzazione interna, a crescere e con questo a collegarle.

Dunque se l’Ordine proprio deve rimanere dovrebbe a mio avviso lavorare al suo interno per dar spazio alle differenze (esaltare i vari rami della psicologia, le varie specializzazioni, puntare sull’accreditamento di gruppi di psicologi fatto dalla società, puntare sull’aggiornamento permanente e sulla sua ostensibilità) e lavorare verso l’esterno per prendere contatto con tutte le realtà “psy” non ordinate, cercare accordi, dare ove possibile “bollini”, trovare sinergie, lavorare a piattaforme di regole condivise.

Gli Ordini dovrebbero, a mio modo di vedere, lavorare per l’affermarsi di una cultura professionale non scissa da capacità imprenditoriali. Ai nostri giovani colleghi dovrebbero essere forniti strumenti per l’autopromozione, per la progettazione di nuove attività, per il marketing. E dovrebbe essere avviata una riflessione seria, fuori da aprioristiche stigmatizzazioni, sul rapporto tra mercato, società ed etica professionale. Insomma da una parte è molto ipocrita il proporci come disinteressati nei confronti delle questioni economiche, dall’altra parte la professione, e la nostra professione in particolare, ha precisi confini etici che debbono essere chiari ed esplicitati.

Ritiene vi siano delle iniziative – auspicabili e fattibili in tempi rapidi – che gli Ordini possano perseguire per valorizzare la professione?

Vanno perseguiti percorsi di accreditamento, provenienti da più fonti e non autoreferenziali. Vanno costruite reti che valorizzino le specializzazioni dei colleghi. Va abolita o non applicata alla psicologia professionale la legge sulla pubblicità sanitaria. Va revisionato il codice deontologico per eliminare le norme corporative in esso contenute e per affrontare la questione delle prestazioni professionali via internet. Va reso obbligatorio ed ostensibile l’aggiornamento permanente per tutti i professionisti (partendo dall’attuale ECM per approdare a forme più specifiche). Vanno valorizzati gli Enti formativi della comunità, primi tra i quali le scuole di specializzazione in psicoterapia, chiedendo al contempo che essi si certifichino per la qualità ed individuino percorsi di eccellenza. Vanno guidati gli Enti formativi verso la differenziazione (specializzazioni e master nei vari rami della psicologia). Agli iscritti all’Ordine, finché l’Ordine ci sarà, deve essere garantita piena eguaglianza nei diritti e nei doveri. Va diffuso rapidamente l’ECP, il certificato europeo di psicoterapia dell’EAP, cui la maggior parte degli psicoterapeuti italiani può avere diritto, in vista dei cambiamenti prossimi venturi. Vanno create opportunità di lavoro libero professionale per i colleghi attraverso l’intermediazione con la società civile. Vanno costruiti accordi (anche bilaterali) con le associazioni delle professioni di confine “psy”, miranti ad una reciproca crescita. Vanno effettuati investimenti e va costruita una società di servizi per la comunità professionale. Vanno pilotate esperienze di costruzione di società di capitali tra professionisti (prefigurando quelle che saranno le opzioni presto rese disponibili dal legislatore).

Gli Ordini potrebbero favorire la creazione di reti e opportunità lavorative per i propri iscritti? In caso affermativo, in che modo?

Non si tratta di costruire meri elenchi ma di sviluppare un vero ed intenso lavoro in più direzioni:

  • Nella direzione dell’accreditamento volontario, individuando in collaborazione con le società scientifiche ed anche con la società civile, parametri di eccellenza e accreditabilità per ogni singolo segmento professionale.
  • Nella direzione delle relazioni sociali individuando specifiche esigenze della società a fronte delle quali è possibile rispondere attraverso reti di professionisti adeguatamente in grado di farsi carico dello specifico problema.
  • Nella direzione della costituzione di un società di servizi di dimensioni adeguate, capace di interloquire professionalmente con la società, di gestire reti complesse e relativi protocolli, di proporre i propri data base presso le istituzioni e le aziende nevralgiche.
  • Nella direzione di favorire la nascita ed il consolidamento di una moltitudine di società scientifiche, autonome e autorevoli che funzionino come veri e propri centri di ricerca ed elaborazione di soluzioni nuove a problemi socialmente emergenti.

Cosa pensa del valore dei crediti formativi obbligatori?

Ritengo che l’aggiornamento permanente debba essere obbligatorio per tutti i professionisti, e valuto l’ECM come primo passo verso un sistema che potrebbe in prospettiva diventare più intelligente ed attento alla specificità delle nostre professioni.

Peraltro il Parlamento Europeo ha approvato all’unanimità (11/6/2005) in seconda lettura il nuovo testo della direttiva sul riconoscimento delle qualifiche professionali. Una volta pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale scatterà il periodo transitorio di due anni entro il quale gli stati membri dovranno adeguare la propria legislazione. Tra le altre cose la direttiva fa riferimento alla necessità della formazione continua (la cui disciplina è affidata agli Stati) per garantire l’aggiornamento  delle conoscenze dei professionisti.  L’aggiornamento permanente obbligatorio è insomma una strada obbligata, un dovere nei confronti della platea dei nostri utenti. Credo che il sistema ECM verrà superato ma fino a che ciò non avverrà lo ritengo comunque meglio di niente. Sostenere poi che l’aggiornamento permanente dovrebbe essere obbligatorio solo per i pubblici dipendenti, anche se vero sul piano normativo, non ha alcun senso né sul piano della correttezza dei rapporti nei confronti della società né su quello deontologico. Tutti i professionisti, sanitari o no, dipendenti o libero professionisti dovranno in un prossimo futuro seguire programmi obbligatori di aggiornamento permanente. E personalmente trovo che ciò sia un importante indice di civiltà.

Che valutazione dà all’attuale panorama della formazione post-universitaria in Italia (Scuole di Psicoterapia, Psicologia Clinica, Masters, etc..)?

Penso che sia molto ricco ed apprezzabile sul versante clinico e psicoterapeutico, asfittico e quasi inesistente in altri rami della psicologia.

Le scuole di psicoterapia sono imprese psicologiche che vivono e si sostentano senza aiuti statali, senza spendere denaro pubblico, sono imprese che danno lavoro agli psicologi e agli psicoterapeuti. Luoghi dove si impara la professione, dove si fa esperienza sulla propria pelle della relazione, le scuole di psicoterapia sono gli unici luoghi dove esiste la trasmissione di un sapere, il sapere del “caso per caso”, il sapere sulla soggettività, che non segue le modalità universitarie e accademiche. Sono luoghi, peraltro, che per esistere devono rispettare standard gestionali (docenti e loro curriculum, articolazione dei programmi) e strutturali molto pesanti, e devono attenersi al numero chiuso (non più di 20 allievi l’anno).

Ed al sistema universitario?

Le Università sono già monitorate dall’Osservatorio permanente e dispongono di numerosi meccanismi interni di verifica. Personalmente ho una buona opinione del nostro sistema universitario e ritengo che l’autonomia dei nostri colleghi accademici sia da salvaguardare a garanzia dell’intera comunità professionale.

Detto questo valuto comunque positivamente ogni forma di evoluzione nel controllo della qualità.

Non posso che ripetere quanto già detto per le Scuole e cioè che in prospettiva riterrei molto utile la concertazione tra controlli ministeriali e accreditamento regionale da rendere obbligatorio per gli enti formativi, Università comprese. L’accreditamento presuppone infatti, tra i suoi vari elementi, la certificazione di qualità. E ottenere e mantenere la certificazione di qualità significa obbligatoriamente sottoporsi al giudizio dei propri allievi e docenti, costruire procedure ostensibili che attestino punti di forza e criticità.

A che punto è la situazione della ricerca in psicologia ed in psicoterapia in Italia?

          Apprezzo lo sforzo della nostra accademia e del coordinamento della scuole di psicoterapia di occuparsi di ricerca. Non ho comunque elementi sufficienti per esprimere un giudizio, una valutazione sui risultati di tali sforzi.

          Da un punto di vista molto personale devo dire che per me il vero valore delle nostre discipline è centrato sulla unicità e irripetibilità delle relazioni umane. Si comprenderà dunque come, assumendo tale punto di vista, il mio sia un atteggiamento tiepido nei confronti della ricerca scientifica in psicologia.

Altra cosa è l’ermeneutica, la speculazione, l’interpretazione, la costruzione di modelli, attività queste che tanto hanno dato alle nostre professioni.

Un discorso complesso dunque che per di più si sviluppa attorno ad una disciplina povera (nessuna azienda è disposta ad investire nella ricerca in psicologia). In ogni caso se qualche investimento nella ricerca si potesse fare propenderei più per la ricerca intervento, per la ricerca psicosociopedagogica che non per la ricerca scientifica.

Marina Galdo

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