Epigenoma

a mountain range with a lake in the foreground

Molte culture e religioni ipotizzano che il comportamento degli antenati possa influenzare la vita terrena.  Nel secolo scorso vari scienziati hanno definito questa tradizione un fenomeno da approfondire. Freud sosteneva la presenza di “tracce mnestiche di ciò che fu vissuto da generazioni precedenti”. Lo psichiatra Leopold Szondi era convinto dell’influenza reciproca tra generazioni. Anne Schützenberger ha studiato prevalentemente l’inconscio collettivo.

In effetti le ricerche degli ultimi anni sembrano confermare che gli eventi traumatici dei singoli influenzino i figli e nipoti senza che questi ne abbiano sofferto direttamente.

In una ricerca del 2010 (Franklin et al.) è stato dimostrato che la separazione materna induce comportamenti depressivi nelle generazioni successive. Uno studio dell’università Emory di Atlanta del 2013, pubblicato su Nature Neuroscienze, ha confermato la trasmissione nei discendenti dei ricordi di un trauma ricevuto. 

È stato insegnato ai topi a temere un alimento desiderabile, come le ciliegie, abbinandolo ad una scossa elettrica. Figli e nipoti di questi hanno mostrato a loro volta segni di ansia quando venivano esposti a quell’odore, anche se non avevano mai appreso l’associazione dolorosa. È chiaro quindi che il ricordo dell’esperienza è passato ai pronipoti e nel 2017 una ricerca su vermi nematodi, pubblicata su Science, ha dimostrato che questo può essere trasmesso fino a 14 generazioni.

In particolare sembra che negli organismi superiori l’informazione traumatica passi alle generazioni successive attraverso il liquido seminale. Sia nello studio sui topi del 2013 che in uno studio sugli esseri umani del 2018 alla Tufts University, Massachusett, è stato evidenziato che lo sperma di chi ha subito forti traumi, come anche quello dei figli e dei nipoti estranei all’avvenimento, contengono le stesse tipologie di metilazioni e microRNA.

L’apposizione di gruppi metilici nel DNA e la presenza di microRNA alterati ha come effetto quello di rendere illeggibili o di oscurare parti del nostro codice genetico. Questa è una modalità che la cellula applica per selezionare solo le parti utili del genoma, escludendo così quelle non ideonee all’ambiente in cui si vive. Questo facilita l’adattamento di un organismo al suo ambiente in tempi brevi senza dover aspettare una mutazione casuale del DNA, cosa che avviene solo nel lungo processo della selezione naturale. 

È l’epigenetica che studia questo fenomeno. In pratica tutte le cellule di un individuo hanno lo stesso genoma, ma ogni tipo di cellula ha un epigenoma differente che serve solo alle attività specifiche di quella cellula e solo nel contesto ambientale del momento.

La cosa interessante è che oltre ad ereditare le caratteristiche genetiche riceviamo dai nostri genitori anche i marcatori epigenetici. Una sorta di memoria biologica delle esperienze vissute che serve solo per alcune generazioni, fino a che le condizioni ambientali rimangono simili. 

La scienza ha quindi confermato quello che la tradizione popolare ci raccontava: i ricordi dei nostri antenati vivono in noi e questi possono, in bene o in male, condizionare il nostro approccio alle avversità della vita.

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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