Epigenetica ed attività fisica

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L’epigenetica è quella branca scientifica che studia i cambiamenti cellulari che avvengono durante l’arco della vita. In particolar modo cerca di capire quali e in che modo i geni delle nostre cellule si accendono e si spengono. Ci sono infatti geni permanentemente espressi ed altri permanentemente soppressi, altri invece che si esprimono e sopprimono a seconda delle situazioni ambientali.

Dobbiamo infatti considerare che il doppio filamento di DNA è uguale in tutte le cellule ma che solo alcune parti di questo sono “leggibili” e per di più in maniera diversa a seconda del tessuto che prendiamo in considerazione. Questo è dovuto alla necessità di specializzazione delle cellule nei diversi organi. Altre zone del DNA si esprimono invece a seconda o meno dello stile di vita e dell’ambiente in cui l’organismo vive. Alimentazione, sostanze tossiche, farmaci assunti, stress, attività fisica possono modificare il funzionamento del DNA. 

Queste diversificate espressioni genetiche avvengono con l’apposizione o meno di gruppi metile sopra le basi azotate ( gli elementi cardini dell’informazione genetica). 

Per fare un esempio il fumo può provocare cambiamenti epigenetici riducendo la metilazione del gene AHRR, mentre l’obesità è correlata ad alterata metilazione del gene Hoxa5, il diabete invece è correlato a diversificate metilazioni nei geni ABCG1, PHOSPHO1, SOCS3, SREBF1 e TXNIP.  Vari studi scientifici hanno inoltre identificato che la metilazione diminuisce con l’età. In particolare l’ipometilazione di alcuni tratti ripetitivi del DNA (denominati Alu) è stata riscontrata nelle malattie età-correlate come il cancro, l’osteoporosi e le malattie cardiovascolari.

La metilazione del DNA è quindi un processo complesso, con meccanismi ancora non del tutto chiari, spesso reversibile, che coinvolge molteplici geni e vie di segnalazione. Probabilmente è il responsabile dei risultati ottenuti nella ricerca pubblicata su MedRxiv nel giugno scorso dall’Istituto di Medicina Molecolare Finlandese. I ricercatori dell’Università di Jyvaskyla hanno cercato di capire se una costante attività fisica possa o meno allungare le aspettative di vita. Sono state monitorate dal 1975 al 2020 più di 11mila coppie di gemelli che all’inizio dello studio avevano un’età compresa tra i 18 e i 50 anni. Le persone sono state classificate in quattro tipologie: sedentarie, moderatamente attive, attive e altamente attive. Dopo aver tenuto conto di ulteriori parametri come obesità, abitudine al fumo e consumo di alcol si è osservato che nel gruppo “attivo” rispetto al gruppo “sedentario” l’aspettativa di vita era superiore solo del 7%. Inoltre era chiaro che non c’era “nessun beneficio aggiuntivo ricavato dai livelli più elevati di esercizio fisico”. Ma non solo, le persone che avevano la più bassa metilazione (cioè che avevano l’età biologica più anziana) erano sì quelle con caratteristiche sedentarie ma anche quelle che facevano maggiore attività fisica. Gli “altamente attivi” erano biologicamente più vecchi di 1,3 anni rispetto a quelli “moderatamente attivi” e di 1,8 anni più vecchi rispetto a quelli “attivi”. Probabilmente questo aspetto, non previsto, è dovuto allo stress biologico che una eccessiva attività fisica comporta. Inoltre dalla ricerca è emerso che le persone che fanno più movimento fisico vivono più a lungo solo se seguono anche una dieta sana, dormono adeguatamente e hanno relazioni sociali soddisfacenti. Tutte questioni che interferiscono con la metilazione del DNA, un fenomeno che la comunità scientifica tiene sempre più in considerazione e che molti scienziati chiamano “il metiloma”.

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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