Elogio della dormita 

Pensare troppo è tossico

Venerdì 9 giugno 2023, La Ragione 

Il cervello utilizza delle sostanze chimiche, i neurotrasmettitori, per trasmettere l’impulso nervoso da un neurone all’altro. Queste vengono rilasciate dalle sinapsi, le strutture adibite a collegare le varie ramificazioni delle cellule neuronali. È intuibile che le attività cerebrali che richiedono impegno cognitivo e velocità decisionale portino a una maggiore produzione di neurotrasmettitori. Da alcuni anni gli scienziati stanno studiando se questo aspetto possa essere responsabile di alcune patologie del cervello. La conferma a questa ipotesi arriva dalle ricerche appena pubblicate dal Max Planck Institute for Human Cognitive and Brain Sciences di Lipsia, dal Paris Brain Institute e dalla Facoltà di Medicina dell’Università della Sorbona.
È stata utilizzata la spettroscopia tramite risonanza magnetica (Mrs) per monitorare i metaboliti cerebrali alla fine della giornata lavorativa di chi ha fatto un importante utilizzo della memoria, si è sottoposto a una grande concentrazione, si è applicato a storzi intellettivi e attività di multitasking. L’esame ha evidenziato un importante accumulo di glutammato nella corteccia prefrontale laterale (Lpfc), un’area cruciale per il controllo cognitivo e le attività decisionali. Il glutammato è il più importante neurotrasmettitore eccitatorio. In particolare è indispensabile per alcune funzioni cerebrali come il ragionamento, le scelte decisionali, la memoria e l’apprendimento; modula inoltre la neuroplasticità, il sistema alla base dell’intelligenza umana. Una sovraproduzione di glutammato sembra possa ‘intasare’ lo spazio intersinaptico. Questo porta prima all’infiammazione e successivamente alla morte delle cellule cerebrali tramite un processo noto come eccitotossicità (la tossicità dovuta a un’attivazione permanente dei recettori sinaptici), che sembra essere responsabile di alcune malattie neurodegenerative come Alzheimer, Sla, Parkinson e morbo di Huntington.

Questi risultati arrivano grazie a studi decennali finalizzati alla comprensione delle patologie cerebrali secondarie ad attività lavorative che richiedono eccessivo impegno cognitivo ma anche un ‘alterazione del ritmo sonno-veglia. Secondo lo studio condotto nel 2021 dall’Università di Tolosa in Francia e in Galles, anche turni di lavoro e riposi irregolari possono infatti danneggiare il cervello. In questo caso è un altro neurotrasmettitore a essere coinvolto: la serotonina. La sua funzione principale è la regolazione del tono dell’umore. I risultati della ricerca hanno rivelato che bastano due mesi all’anno di lavoro a ritmo irregolare perché la serotonina prodotta risulti insufficiente. Le facoltà cognitive si riducono progressivamente e aumentano i disturbi psichici come ansia, stress e nervosismo fino ad arrivare a forme di panico e depressione. Dallo studio emerge che 10 anni di orari lavorativi irregolari portano a un invecchiamento cerebrale molto più accelerato rispetto a chi rispetta i normali ritmi circadiani e mantiene regolari durata e qualità del sonno.

In conclusione, sembra proprio che il sonno sia determinante per la salute cerebrale. Durante il sonno profondo, quello che gli scienziati definiscono “a onde lente” (Sws) o “sonno delta”, i neuroni sono a riposo e l’organismo ha il tempo di degradare gli accumuli di molecole pericolose (come il glutammato) depositate nello spazio intersinaptico. Nello stesso periodo i neuroni riempiono nuovamente le vescicole sinaptiche dei neurotrasmettitori esauriti, in modo da essere pronti a sostenere una nuova giornata lavorativa.

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

Rispondi