Creare competenze

Pier Luigi Stefani

Il valore economico risiede proprio nella traduzione e nella trasformazione da un’”Economia del dono” ad un’“Economia della solidarietà”.

Il no profit fa notizia.
In un periodo di crisi economica, sembra ottenere l’interesse dei media quale unico settore in grado di rispondere alla mancanza di lavoro. Si scrive sia l’unico in cui i posti di lavoro aumentino, mentre gli interventi governativi fanno presumere che “la manovra taglierà 40.000 posti di lavoro”.
Dove stia la verità, o se esistano due società, divergenti o parallele, sembra indifferente, anche se sarebbe di comune interesse verificare, assumendo qualche indicatore empirico.
Siamo alla vigilia di un censimento ISTAT sul Terzo Settore. Forse dovremo aspettare due anni per esprimere quali variazioni si siano nel tempo consolidate. Se positive, non solo in termini assoluti, quanto in termini relativi sull’incidenza sul mercato del lavoro e nella creazione di ricchezza nazionale. E che tipo di ricchezza, se ponderabile.
Tempo due o tre anni, la società sarà cambiata con un’accelerazione esponenziale. Il confronto finale con i dati attuali non sarà di semplice conferma. Dalla raccolta dei dati periodici, oggi si può affermare che il Terzo Settore contribuisce alla creazione di ricchezza per una parte pari al 2-2,5% del PIL nazionale. Ma ciò non è sufficiente per esprimersi se e in quanto possa contribuire all’aumento dei posti di lavoro.
Nel settembre del 2012 sono state assunte undici opinioni di eminenti economisti, raccolte sotto la dizione di “Un manifesto per una nuova economia” per l’edizione Vita , ispirata alla cooperazione.
Può essere interessante un esercizio di verifica attraverso l’analisi, la storia di molte associazioni di volontariato.
Ovvero, registrare quali trasformazioni abbiano subito dalla data del censimento precedente ad oggi. E se gli undici contributi di ogni capitolo di economia rispondano alla realtà.
Il no profit fa notizia.
“Fattoria agricola, ma non solo: l’esperienza di Clarabella”, oppure “Nella lotta contro l’evasione, un’eccellenza conquista il mercato”. Due storie che ci possono fornire un esempio del carattere innovativo della cooperazione sociale. Sono i titoli apparsi recentemente sull’Avvenire. Due storie esemplari di produzione di lavoro, innovative e “ liberanti” in quanto nate dal carcere e da situazioni di massimo degrado, o dall’utilizzo di beni confiscati alla mafia.
Due esempi di “Economia del credere”.
Un’Associazione di Volontariato, nella sua risposta agli appelli di aiuto, agisce necessariamente fuori da ogni schema. La libertà le è assicurata dalla gratuità in cui si manifesta il più alto principio della propria qualità. In essa risiede la prima garanzia dell’esercizio del proprio ruolo all’interno della comunità. La gratuità non è misurabile.
Una risposta coerente nel segno dell’“Economia dell’io”.
La prossimità coi bisogni delle persone induce ad avere questi come punto di riferimento immediato. L’azione che ne scaturisce risulterebbe inefficace se non tenesse conto del bagaglio di sofferenze del quale è portatrice ogni persona, con i suoi valori originali ed inalienabili.
Ecco come l’”Economia dell’io” si trasforma nell’“Economia del noi”, attraverso l’ascolto ed il rispetto delle singole storie. Ogni alterità viene superata nella comunione del sentire.
Diventa appassionante, di conseguenza, rimandare alla memoria il cammino di un’associazione ponendo la lente di ingrandimento utile ad individuare se il percorso sia stato sempre ancorato alla realtà e non semplicemente animato da principi e valori saldi.
Arc-en-ciel, ad esempio, è un’associazione di volontariato la quale, dal 1989, ha ritenuto occorresse una risposta al bisogno di accoglienza impresso dal primo forte flusso immigratorio proveniente dall’Africa.
Il valore economico di una simile azione risiede proprio nella traduzione e nella trasformazione da un’”Economia del dono” ad un’“Economia della solidarietà”.
Un passaggio non così scontato in una società che concepisce la vicinanza del più vulnerabile come un’occasione per soddisfare un’ancora confusa esigenza di “far del bene” dal sapore assistenziale. Siamo ancora lontani da quell’”Economia della solidarietà” che assume i problemi, attiva percorsi di prevenzione, aiuta il pur lento cambiamento attribuendo valore e spessore all’altro, riconoscendone i valori culturali, avviando percorsi formativi per rispondere adeguatamente, con coscienza civica, a questo tema, prima di sorprendersi a raccogliere suggestioni nuove nell’incontro fra culture diverse…
Continuando su questa strada, ci si rende conto di come la presa di coscienza dei bisogni dell’altro ed il riconoscimento dei suoi valori abbiano sviluppato un volano di espansione che conduce a quella che il manifesto chiama “Economia del generare”.
Potremmo fermare qui il nostro confronto e ciò costituirebbe già un risultato di rilievo. Ma fermeremmo il nostro cammino di osservazione il quale, attraverso le risposte concrete ai bisogni reali, mette in luce la capacità innovativa che dalla vocazione di advocacy si impegna in una ricerca continua di coinvolgimento, di creazione di reti solidali, poste alla base dell’“Economia del cooperare”.
In altri termini, il risultato di strategie di empowerment, ove il prodotto finale è il risultato di un’evoluzione di esperienze di apprendimento che portano il soggetto vulnerabile a superare una condizione di impotenza, ad un “saper fare” ed un “saper essere” caratterizzati da una condizione di fiducia in sé, partecipe della società nella consapevolezza di essere titolari di diritti e di cittadinanza.
Il passaggio, quindi, da un “Economia della cura” ad una “Economia del lavoro”.
Questo attributo non è inserito nel manifesto, ma rappresenta il vero e sostanziale sviluppo misurabile.
Si è partiti da una tensione all’aiuto con un esercizio di gratuità che rimane nel suo valore originale, interesse per l’altro per crescere e diventare impresa.
Il collegamento alla crisi economica viene quindi ad assumere un’immagine concreta ponderabile, capace di superarla attraverso azioni produttive, non più solo vincolate alle risorse pubbliche. Senza perdere la propria visione originaria, coglie nel lavoro il perno sul quale far ruotare la sua triplice azione.
La prima è quella di saper sperimentare per poi incidere sul sistema.
La seconda è quella di imparare a proiettare il lavoro in una continua ricerca propositiva sul piano professionale.
La terza è quella di trasformare i soggetti da operatori passivi in cooperatori attivi, il cui lavoro, liberatorio negli effetti pratici, assume un valore liberante sul piano personale e ne sviluppa la tensione e la partecipazione nella cittadinanza attiva.
Un’analisi che rimarrebbe solo sul piano teorico se non trovasse conferma.
Questa si sostanzia nell’aver trasformato prima il centro di accoglienza in appartamenti liberi, offerti a prezzi calmierati, segno di una conquista di identità da parte degli utenti. Ovvero, distribuzione di ricchezza che genera nuova ricchezza.
Ancora, attraverso la costruzione di cooperative e la loro integrazione, pur nelle diverse specificità, in una rete consortile, ovvero quella rete giuridicamente costituita per poter rispondere in forza ai bisogni del territorio.
Lo sviluppo di forze lavoro partite da un piccolo seme originario di volontari. Da zero all’oltre 100 di oggi.
Può essere questa la dimostrazione che è scritto nel dna del volontariato creare competenze e lavoro.
Un effetto moltiplicatore capace di creare nuove energie e superare la crisi attraverso un sistema in cui ogni lavoratore partecipi alle decisioni e si trasformi da soggetto passivo a soggetto attivo.
L’unico sistema che sa trovare le proprie specificità e leggere la crisi come opportunità per condividere un sogno comune.
Contributo di Pier Luigi Stefani, Presidente dell’AdV Arc-en-ciel. Nel suo percorso, Arc-en-ciel ha visto la propria azione volontaria trasformarsi in allargamento di reti solidali, sperimentando interventi sui senza fissa dimora, sugli immigrati, sia giovani neo-maggiorenni, sia richiedenti asilo o rifugiati politici e su persone provenienti dal carcere. Ha poi prodotto una rete consortile che oggi gestisce vari centri di accoglienza e tende ad una trasformazione continua inserendo forze lavoro svantaggiate, formando operatori pari, attivando processi formativi per una sempre più adeguata professionalità degli operatori e si confronta con le altre realtà in Europa attraverso progetti e relazioni.

Pier Luigi Stefani
Presidente dell’AdV Arc-en-ciel

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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