Non si può vivere di sola repressione

Occorre agire su più piani, oltre alla sanzione penale: sulla formazione del personale medico, di pubblica sicurezza e di assistenti sociali, sull’educazione alla cittadinanza, lavorare sull’idea di società in cui vogliamo che i nostri figli crescano, una società dove rispetto dell’altro ed inclusione siano i primi due comandamenti.

È a dir poco inquietante l’approccio dell’attuale governo sui temi sociali: punire, perseguire penalmente il responsabile del reato. Senza alcuna attenzione alla prevenzione, senza alcun riguardo alla causa, senza entrare nel merito di cosa spinga alcuni essere umani a prevaricarne altri. Repressione, repressione ed ancora repressione. Nulla più. L’idea che sottende all’azione legislativa della maggioranza è che la responsabilità delle azioni criminose sia esclusivamente del reo. Sembra, a seguire i ragionamenti di questa maggioranza, che la società non abbia alcuna responsabilità nella produzione della violenza. Ma sappiamo benissimo che non è così. A che servono, mi chiedo, gli studi finanziati dall’Europa, come – per esempio – il progetto DAPHNE sullo stalking, se non ad indicare la necessità di andare oltre la sanzione penale? Per conoscere il fenomeno, studiarlo, mirare a risolverlo. Non dobbiamo pensare alla legislazione contro lo stalking solo come un atto “riparativo” dei torti subiti. Non dobbiamo dimostrare e offrire solo compassione verso le donne offese, perseguitate, violentate, perché la compassione è improduttiva, non sposterà di un’unità il conto delle vittime. Ci vuole un altro approccio. Si può combattere lo stalking solo costruendo il diritto di cittadinanza paritaria delle donne. E non è con la compassione che si ottiene il diritto di esistere. Insisto, occorre sempre agire su più piani, oltre alla sanzione penale: sulla formazione del personale medico, di pubblica sicurezza e di assistenti sociali dedicati. Con la stessa determinazione occorre agire sull’educazione alla cittadinanza, lavorare sull’idea di società in cui vogliamo che i nostri figli crescano, una società dove rispetto dell’altro ed inclusione siano i primi due comandamenti. Si tratta di un problema che attiene alle relazioni tra le donne e gli uomini nella nostra società. Al ruolo delle donne nella nostra società. Certo, non si può negare che esistano casi di molestie insistenti commesse da donne nei confronti di uomini. Ma si tratta di un fenomeno del tutto residuale, essendo per lo più gli uomini, i maschi, i protagonisti attivi dello stalking. I dati ISTAT dicono chiaramente che l’80% delle vittime di stalking sono donne. È questo il dato che ci deve fare riflettere più di altri. Oltre agli strumenti repressivi, il legislatore ha il dovere di individuare gli strumenti educativi e di promozione di una cultura di parità tra gli uomini e le donne, prevedendo apposite materie nei cicli scolastici da una parte e forti politiche di promozione delle donne nella vita pubblica. Si sta facendo questo? Credo di no. Occorre educare i cittadini, sin dall’età scolastica e per tutto il percorso formativo, al rispetto per le donne. Prendiamo esempio dalla Spagna, dove la materia dell’educazione alla cittadinanza, intesa anche come rispetto alla diversità, fa parte dei programmi scolastici.
E, sempre in Spagna, nella stessa legge contro la violenza, sono previste agevolazioni, anche finanziarie, per le donne oggetto di violenza. Facilitazioni sul lavoro per aiutare le vittime anche dal punto di vista economico. Quella della vittima non può essere la misura dello stare al mondo di una donna. Naturalmente, abbiamo il dovere di difendere le vittime, ma, per difenderle, dobbiamo costruire un’immagine della donna che esca dal cliché della vittima. La violenza si sconfigge attraverso messaggi positivi, attraverso un’immagine diversa delle donne. Per molti, limitarsi a parlare di vittime indifese è un modo per lasciare le cose come stanno. È solo un punto di partenza. Una vera politica in favore delle donne è un’altra cosa. Dobbiamo fare altro e in fretta. E allora, chiudiamo in fretta questo capitolo e andiamo ad occuparci di come costruire una società anche a misura delle donne. Dove noi donne stiamo a mani piene sulla scena pubblica, non a mani vuote, come soggetti da risarcire. La politica e la società hanno bisogno di quello che noi sappiamo dare. È questo il nostro compito in questo momento storico: incoraggiare le giovani donne col racconto della grandezza delle altre donne, non col racconto delle violenze e dei soprusi subiti. Non con lo stereotipato racconto delle nostre antiche debolezze. Perché alle nostre figlie non dobbiamo creare ripari, ma dare forza. Perché di tanta forza e di coraggio e fierezza di sé avranno bisogno. Dobbiamo formare generazioni di donne in grado di non essere più complici di uomini violenti. Potranno farlo solo con la forza e il coraggio di immaginarsi padrone delle proprie esistenze. Non con la debolezza delle vittime. Solo così avremo assolto al nostro compito. Al compito di questa generazione. Sarà una società migliore per tutte e tutti, perché una società dove vivono bene le donne è una società migliore per tutti. E a mani piene avremo contribuito a cambiare il mondo.

Anna Paola Concia
Parlamentare, Commissione Giustizia, proponente della legge
“Misure contro gli atti persecutori
e contro la discriminazione e la violenza determinate dall’orientamento sessuale o dall’identità di genere”

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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