La violenza sui soggetti “deboli”

Le norme giuridiche penali svolgono efficacemente la loro funzione preventiva solo se i destinatari sono in grado di comprenderle.

Assicurare un’adeguata protezione dalla violenza alle donne, e più in generale ai soggetti deboli, è un problema sociale, prima che giuridico. Qualsiasi sistema normativo, fosse anche il più vicino alla perfezione, riesce ad intervenire soltanto in via repressiva in troppi casi, quando il danno per la vittima si è già irrimediabilmente prodotto. Merita di essere subito chiarito che quando si parla di soggetti deboli, nel diritto, non si intende far riferimento a sventurati, a persone di serie b. Tutt’altro. Il soggetto debole è colui che ha minori difese, quindi un individuo meritevole di protezione. È vero che, come scriveva Norberto Bobbio, il diritto è espressione dei più forti, non dei più giusti. Ma è anche vero che pure i forti, i governanti, i potenti, coloro che sono protetti dalle forze dell’ordine o possono permettersi delle guardie del corpo, debbono ben comprendere che la violenza che offende un soggetto debole mina alle fondamenta tutta la società, e quindi anche la loro posizione di vertice. L’attenzione dell’opinione pubblica in materia di abusi sulle donne e sui minori rimane sollecitata quando si ha notizia di forme di violenza perpetrata su di loro, specie se di natura sessuale. Si tratta di un fenomeno emotivamente comprensibile, che deve essere però gestito con sensibilità dagli operatori dell’informazione. Occorre infatti evitare il diffondersi dell’idea che le donne ed i minori meritevoli di protezione sono solo quelli che rimangono vittime di molestie e violenze sessuali. Le molestie morali, molto più diffuse e di cui rimangono vittime anche gli uomini, naturalmente, producono danni analoghi e forse ancor più gravi alla società. Passano però tante volte sotto silenzio, venendo tollerate da chi potrebbe intervenire, come, ad esempio, i colleghi di lavoro, gli insegnanti, i parenti, i vicini di casa. Il giudice Giovanni Falcone non si lamentava mai della vita difficilissima che conduceva. Ben sapeva che si trattava di un’esistenza a rischio, ma agli amici confidava che lo metteva a disagio sentirsi troppo spesso solo. Le norme per sanzionare gli abusi sessuali ci sono e sono severe. Per i minori è stata adottata anche una legge specifica (n. 269 del 3 agosto 1998). Non credo si risolva il problema adottando nuove leggi. Le verità è che le norme giuridiche penali svolgono efficacemente la loro funzione preventiva se i destinatari sono in grado di comprenderle. Chi crede di affermarsi dando botte a chi è più debole, chi ricerca il piacere sessuale attraverso la violenza esercitata sulla vittima, non percepisce i valori in modo normale. L’esperienza delle aule di giustizia insegna che rimangono spesso vittime di vera e propria violenza sessuale donne che non mostrano alcuna caratteristica idonea a far ritenere che possano sollecitare appetiti sessuali morbosi più delle altre. Non si tratta, di regola, di splendide ragazze vestite in modo disinibito. Il più delle volte le vittime sono persone poco appariscenti, che non di rado portano già con sé il dramma del disagio, morale e fisico. Ancor meno sembra in grado di percepire la funzione preventiva della norma penale il pedofilo, individuo dalla psiche disturbata, il quale avverte bisogni innaturali e non intende contenerli. Talora, non è neppure capace di farlo. Il problema non è ricercare la migliore tutela repressiva per punire il pedofilo, quando il danno per il bambino si è ormai prodotto. In questo ambito, deve concentrarsi ogni sforzo per realizzare un’efficace azione preventiva. Ma è impresa ardua, perché non è facile prevedere le gesta di un individuo che avverte desideri innaturali, ed è altrettanto complesso ridurre la predisposizione vittimale. Chi vuole bene alla ragazzina tredicenne che, quando cammina da sola in un luogo isolato, indossa ugualmente minigonne troppo corte e magliette eccessivamente trasparenti, può rappresentarle i rischi cui va incontro se dovesse destare gli appetiti di qualche malintenzionato. La mette sull’avviso che i molestatori esistono, sono numerosi e a caccia di prede. Ma alla bambina di due anni che, giocando carponi, si scopre le gambine e sollecita le attenzioni di un pedofilo, che cosa si va a dire? Non dobbiamo poi trascurare che la maggior parte delle percosse, ma anche delle molestie e violenze sessuali, sono inferte in famiglia. Di recente, nel corso di un processo celebrato nel casertano per una violenza carnale contestata come commessa dal fratello sulla sorella, è stata sentita quale testimone la madre dei due. Dopo aver raccontato di avere visto la bambina dodicenne uscire dalla stanza in cui era sul letto con il fratello, piangendo ed indossando solo le mutandine, la signora ha aggiunto che, in ogni caso, lui era il fratello e voleva bene alla sorella, perciò, “quello che faceva stava fatto bene.” È pure un problema culturale, evidentemente. Deve vincersi la mentalità tribale secondo cui, nell’ambito del nucleo familiare, tutto è permesso. Se superiamo il troppo comodo distacco per i problemi altrui e ci impegniamo a proteggere adeguatamente le nostre donne ed i nostri bambini, domani, forse, potranno riuscire loro dove sinora abbiamo fallito noi: costruire un mondo in cui gli abusi sui soggetti deboli siano considerati una barbarie del passato. Come noi oggi valutiamo i sacrifici umani dell’antichità.

Paolo Di Marzio
Magistrato del tribunale di Napoli

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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