Pensieri a confronto

La questione dell’eutanasia viene a richiamare un altro capitolo della decisiva urgenza di trovare un “tavolo di trattativa” tra gli arroccati “ultimi dei Moihani” sostenitori di un aristotelismo filosofico dentro un orizzonte religioso non scevro da tentazioni integraliste ed i deboli assertori della crisi della ragione in costante difficile equilibrio tra sana laicità e deriva laicista.

Oggetto di questa riflessione è l’eutanasia intesa, in senso ampio, come atto umano che abbia come conseguenza la morte di una persona, la quale, in possesso della facoltà di comunicare, lo richiede, oppure della quale risulta possibile documentare una volontà esplicitamente espressa. Dal punto di vista morale, la problematica è abbastanza prossima a quella relativa al suicidio, identificando situazioni di particolare disagio esistenziale che hanno raggiunto livelli di intensità talmente elevati da giungere fino alla cancellazione del primordiale istinto di conservazione. Questioni, pertanto, che escludono a priori la categoria del crimine intesa come violazione del diritto dell’altro ed includono invece la drammatica domanda sulla possibilità di disporre della “propria” vita.

Si possono distinguere almeno tre livelli di discussione inevitabilmente intrecciati: la questione religiosa, quella etica e quella politica.

Molti sono gli approcci dal punto di vista religioso. Solo delimitando la riflessione all’interno del dibattito tra le confessioni cristiane, si possono trovare posizioni diverse, quando non addirittura opposte: mentre il cattolicesimo ritiene la “buona morte” una forma di ribellione a Dio, dal momento che definisce principio non negoziabile la tutela della vita umana “a qualsiasi condizione”, alcune chiese evangeliche sostengono che tale condivisa difesa non contrasta affatto con la liceità dell’eutanasia e comunque rilevano l’inopportunità dell’interferenza di principi desunti direttamente dalla fede sul normale svolgersi dell’esercizio del potere legislativo. È interessante approfondire questa differenza perché illuminante sull’attuale stato del dibattito anche al di fuori delle accademie teologiche. Il ragionamento del magistero della chiesa cattolica è fondato essenzialmente sulla determinazione del rapporto intercorrente tra fede e ragione: dal momento che Dio – che in quanto principio e fine di tutte le cose può essere conosciuto con il lume naturale dell’intelletto – ha voluto rivelare se stesso ed il mistero della sua volontà, la sua Parola valorizza ulteriormente la ragione; ciò significa che tra rivelazione soprannaturale accolta nella fede e manifestazione naturale corrispondente alla ragione non può esistere contraddizione perché tutte provengono dall’unica divina volontà; la sacra Scrittura e la Tradizione comunicano il “Verbo”, ma richiedono un’interpretazione autorevole in grado di determinare il suo significato nei diversi contesti dello spazio e del tempo: è il compito del magistero della Chiesa, che non si rivolge soltanto a chi crede nel Dio rivelatore, ma ad ogni essere umano in quanto compartecipe dell’opera del divino creatore. Il papa ed i vescovi si propongono di sostenere la “giusta fede” (l’ortodossia) dei credenti, ma anche di illuminare la ragione dei non credenti con la conseguente “imposizione” di norme valide per tutti, di fatto necessariamente influenzate da uno specifico contesto filosofico e culturale. La posizione degli evangelici è maggiormente orientata verso l’affermazione di una radicale differenza fra fede e ragione, dove la prima illumina le scelte del credente che si affida a Dio e la seconda è chiamata ad affrontare volta per volta i nodi da sciogliere con la consapevolezza del limite e della relatività delle decisioni umane; in questo modo, la dimensione religiosa incide sulla profondità della relazione con Dio attraverso l’unica indicazione assolutamente autorevole dell’evangelo, ma non toglie a ciascun credente la responsabilità ermeneutica e, di conseguenza, la necessità di determinare autonomamente le sempre mutevoli regole dell’agire individuale e sociale, ponendo al centro di ogni riferimento la specificità del soggetto personale per il quale Gesù Cristo ha donato la sua vita. In sintesi, da una parte si enunciano principi universali fondati sull’indiscutibile riferimento trascendente, dall’altra si sottolinea la peculiarità della situazione particolare.

Si potrebbe obiettare che lo stesso deciso trattamento “a favore della vita” non viene riservato dal magistero cattolico ad altre forme di evidente trasgressione, quali l’uccisione del “nemico” in guerra, la violenza esercitata per legittima difesa o, fino a non molti anni fa, la pena di morte; in realtà, dietro alla reticenza sta l’idea della salvaguardia del bene maggiore, nello specifico la patria, la propria vita o la società minacciata. Il problema morale relativo all’eutanasia non è legato infatti all’uccisione dell’”altro”, bensì ad una libera decisione di porre fine, attraverso il decisivo aiuto di qualcun altro, alla propria vita. In un certo senso, si può dire che in determinate gravi circostanze sembra ritenuto meno grave uccidere piuttosto che uccidersi. Dunque, è moralmente accettabile la possibilità di togliersi la vita o esporsi alla morte senza ulteriori motivazioni che non siano riconducibili alla stanchezza di vivere? Se la fede nel Dio che ha consegnato a Mosè i “comandamenti” si incarna immediatamente in un atto di ragione, evidentemente no, il suicidio e l’eutanasia costituiscono una grave trasgressione dell’ordine divino in quanto rifiuto di una “natura” che manifesta in ogni sua piega la volontà del creatore; se, invece, la ragione è autonoma, altrettanto evidentemente non può che svincolarsi da qualsiasi identificazione tra dato rivelato ed acquisito attraverso la ragione, affrontando quindi la questione attraverso l’esercizio di un’assoluta libertà; assoluta nel senso di svincolata dal riferimento eteronomo ed ancorata al confronto con le concezioni culturali, etiche e politiche dei diversi momenti della storia. Se da una parte il principio universale deve essere applicato in ogni singola circostanza, con il rischio di perdere il contatto con il soggetto personale “unico ed irripetibile”, dall’altra risulta impossibile addivenire alla formulazione di un principio riconosciuto come universalmente valido, con il rischio di smarrirsi nei tortuosi meandri del relativismo etico. La questione dell’eutanasia viene allora a richiamare un altro possibile capitolo della decisiva urgenza di trovare un “tavolo di trattativa” tra gli arroccati, “ultimi dei Moihani”, sostenitori di un aristotelismo filosofico dentro un orizzonte religioso, non scevro da tentazioni integraliste ed i deboli assertori della crisi della ragione, in costante, difficile equilibrio tra sana laicità e deriva laicista. Un primo passo potrebbe essere il ritiro delle reciproche scomuniche, attraverso il superamento di atteggiamenti scandalosi come la negazione dei funerali cattolici a Piergiorgio Welby o, viceversa, la mancanza di disponibilità al dialogo con chi propugna il valore dei principi trascendenti.

La conseguenza politica è a questo punto abbastanza evidente, tenuto conto delle caratteristiche del sistema democratico che fa della maggioranza numerica il criterio non dell’assoluta bellezza, bontà e verità, bensì della costruzione sempre relativa di un diritto frutto di un complesso ed indispensabile compromesso tra le diverse concezioni della vita: per questo non esistono punti fermi affermati una volta per sempre e la giustizia viene di fatto scansionata da un’articolata trattativa fra le differenti prospettive culturali rappresentate in un mondo essenzialmente pluralista. La politica non può quindi affrontare un tema come quello dell’eutanasia identificandosi con “una” specifica posizione etica. Deve piuttosto cercare risposte per quanto possibile condivise in un orizzonte storico sempre parziale e frammentario, tanto più in un contesto di rapidissima transizione come quello della civiltà tecnologica contemporanea. In altre parole, ogni dibattito politico dovrebbe presupporre l’espressione “allo stato attuale delle cose…” perché i diritti ed i doveri non possono essere determinati una volta per tutte, ma sono il frutto di un inesauribile processo di contaminazione culturale. Fino a pochissimo tempo fa, gli epigoni del cristianesimo imperiale, in nome dei principi determinanti anche la coesione politica, negavano senza misericordia le esequie religiose ai suicidi ed influenzavano le legislazioni attraverso un’immediata identificazione fra eutanasia ed omicidio; oggi lo stato laico e plurale deve garantire, a determinate condizioni, la libertà di mettere fine alla propria vita perché non è chiamato a rispondere ad un’unica concezione del mondo, più o meno ispirata dalla fede in Dio, bensì a garantire l’esercizio democratico del consenso condiviso; domani è un altro giorno e non si sa quali nuove prospettive porterà. Chi non ha paura della democrazia e ritiene la laicità una conquista civile non può che intensificare le proprie convinzioni anche attraverso l’ascolto ed il rispetto di quelle altrui.

C’è forse il pericolo che in questo modo si perdano grandi conquiste di civiltà, come quelle contenute nella Dichiarazione universale dei diritti della persona umana oppure nel dettato della Costituzione italiana? Può darsi, nel momento in cui si verificassero epocali trasformazioni; tuttavia tali acquisizioni non saranno difese dall’arroccamento sulla pretesa superiorità di una cultura sull’altra, bensì dall’apertura illimitata al dialogo ed al confronto tra le diversità filosofiche, culturali e religiose. Del resto, un futuro sarà possibile soltanto nella valorizzazione convinta della reciprocità.

Andrea Bellavite
Ordinato prete nel 1984, insegnante di teologia, giornalista professionista,
sospeso dall’esercizio del ministero in quanto candidato sindaco della città di Gorizia, direttore della Comunità Arcobaleno.

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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